Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16608 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/08/2016, (ud. 19/02/2016, dep. 05/08/2016), n.16608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per

legge;

– ricorrente –

contro

S.A., D.M.L., D.M.G., D.M.G.,

quali eredi di D.M.S.;

– intimati –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma, 20 DICEMBRE 2013

(r.g. n. 62202/2009);

udita la relazione della causa nella pubblica udienza del 19 febbraio

2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con ricorso depositato il 21 dicembre 2009 presso la Corte d’appello di Roma, S.A., D.M.L., D.M.G., D.M.G., quali eredi di D.M.S., chiedevano la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dell’indennizzo per la irragionevole durata di un giudizio civile iniziato dal loro dante causa con ricorso depositato il 5 giugno 1998 dinnanzi al Pretore di Santa Maria Capua Vetere, giudice del lavoro, e definito con sentenza di accoglimento della domanda del 15 gennaio 2009;

che l’adita Corte d’appello, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso perchè non notificato nel termine originariamente fissato, e rilevato che i ricorrenti erano eredi di D.M.S. e in tale qualità di erano già costituiti nel giudizio presupposto con comparsa all’udienza del 21 novembre 2007 a seguito del decesso del dante causa avvenuto il (OMISSIS), accoglieva la domanda ritenendo verificata una violazione del termine di ragionevole durata di quattro anni e quattro mesi nei confronti del de cuius e di un anno e due mesi nei confronti degli eredi; ritardo per il quale liquidava un indennizzo iure hereditatis di Euro 4.350,00 e un indennizzo iure proprio di Euro 1.200, applicando il criterio di liquidazione di Euro 1.000,00 per anno di ritardo;

che per la cassazione di questo decreto, il Ministero della giustizia ha proposto ricorso affidato a tre motivi;

che gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Considerato che il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione della sentenza in forma semplificata;

che con il primo motivo di ricorso il Ministero deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., rilevando che i ricorrenti, pur avendo agito nella qualità di eredi, avevano chiesto la condanna al pagamento dell’indennizzo loro dovuto in proprio e che la condanna al pagamento dell’indennizzo iure hereditatis sarebbe quindi avvenuta in assenza di domanda;

che con il secondo motivo il Ministero deduce violazione dell’art. 75 c.p.c., dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto sussistente la qualità di eredi in capo ai ricorrenti in base ad una dichiarazione sostitutiva, di per sè inidonea a dimostrare la detta qualità;

che con il terzo motivo il Ministero lamenta violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 75 c.p.c., sostenendo che la Corte d’appello avrebbe errato nell’accogliere la domanda iure proprio, atteso che i ricorrenti si erano costituiti nel giudizio presupposto nel novembre 2007, sicchè, detratta la durata ragionevole di tre anni, nessun indennizzo sarebbe loro spettato;

che il primo motivo di ricorso è infondato, atteso che la Corte d’appello ha interpretato la domanda proposta dai ricorrenti, nella qualità di eredi del loro dante causa, come volta ad ottenere l’indennizzo anche per il periodo del processo presupposto nel quale lo stesso era stato parte, prima del suo decesso; interpretazione, questa, non contrastata dalle argomentazioni svolte sul punto dalla difesa erariale e confortata dal rilievo che altrimenti i ricorrenti, pur costituitisi in proprio nel giudizio presupposto, non avrebbero avuto alcuna necessità di spendere anche la qualità di eredi;

che il secondo motivo è infondato, atteso che la stessa difesa erariale dà atto che i ricorrenti si sono costituiti nel giudizio presupposto quali eredi di D.M.S., sicchè la sussistenza della detta qualità, argomentata dalla Corte d’appello anche attraverso il riferimento a tale circostanza (e non solo alla dichiarazione sostitutiva), non può essere posta in discussione in questa sede;

che il terzo motivo è fondato;

che, invero, questa Corte ha avuto modo di affermare che, in linea di principio, “in tema di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, qualora la parte costituita sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo presupposto, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo iure proprio dovuto al superamento del predetto termine, soltanto a decorrere dalla sua costituzione in giudizio; ne consegue che qualora l’erede agisca sia iure haereditatis che iure proprio, non può assumersi come riferimento temporale di determinazione del danno l’intera durata del procedimento, ma è necessario procedere ad una ricostruzione analitica delle diverse frazioni temporali al fine di valutarne separatamente la ragionevole durata, senza, tuttavia, escludere la possibilità di un cumulo tra il danno morale sofferto dal dante causa e quello personalmente patito dagli eredi nel frattempo intervenuti nel processo, non ravvisandosi incompatibilità tra il pregiudizio patito iure proprio e quello che lo stesso soggetto può far valere pro quota e iure successionis, ove già entrato a far parte del patrimonio del proprio dante causa” (Cass. n. 21646 del 2011);

che è certo, quindi, che “qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta nel corso di un processo avente una durata irragionevole, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo iure proprio soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte; non assume, infatti, alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 c.p.c., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001, non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione” (Cass. n. 13083 del 2011; Cass. n. 23416 del 2009);

che, dunque, la Corte d’appello, nell’esaminare la domanda proposta dai ricorrenti iure proprio, avrebbe dovuto detrarre il periodo di durata ragionevole di tre anni, con la conseguenza che, con riferimento alla domanda a tale titolo proposta, nessuna violazione del termine di ragionevole durata è configurabile;

che, in conclusione, rigettati il primo e il secondo motivo ed accolto il terzo, il decreto impugnato va cassato in relazione alla censura accolta;

che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, provvedendosi ad escludere la condanna del Ministero della giustizia al pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti iure proprio, della somma di Euro 1.200,00, sicchè residua unicamente la condanna del Ministero al pagamento della somma di Euro 4.250,00 in favore dei ricorrenti a titolo ereditario, e quindi in ragione delle rispettive quote ereditarie;

che, ferma la statuizione del decreto impugnato in ordine alle spese, quelle del giudizio di cassazione possono essere compensate in considerazione del limitato accoglimento del gravame e dell’esito della lite.

PQM

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso; accoglie il terzo; cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore dei ricorrenti, nella qualità di eredi di D.M.S. e in ragione delle rispettive quote ereditarie, della somma di Euro 4.250,00, ferme le statuizioni relative alle spese; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 19 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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