Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16601 del 28/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/07/2011, (ud. 12/05/2011, dep. 28/07/2011), n.16601

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Giancarlo – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MESSINA VINCENZO, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

MONTEPASCHI SE.RI.T. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE

II 326, presso lo studio dell’avvocato SCOGNAMIGLIO RENATO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6/2 007 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 07/02/2007 r.g.n. 1250/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO per delega RENATO SCOGNAMIGLIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.M. ha chiesto l’accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro con il quale era stata assunta dalla Montepaschi Serit spa per “far fronte ad eccezionali esigenze di lavoro a carattere straordinario e temporaneo per attività di notifica di atti esattoriali” per il periodo dal 27.2.2001 al 25.5.2001. Il Tribunale di Marsala ha accolto la domanda con decisione che è stata riformata dalla Corte di Appello di Palermo, che, accogliendo l’appello proposto dalla società, ha respinto l’originaria domanda, ritenendo che l’apposizione del termine fosse giustificata dalla clausola del contratto collettivo aziendale, che prevedeva la possibilità di assunzioni a termine di un determinato numero di dipendenti da adibire alla notifica degli atti di riscossione anche per periodi di tempo diversi da quelli previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro, e che la clausola del contratto collettivo nazionale (art. 27), secondo cui le assunzioni a tempo determinato potevano essere disposte entro il limite massimo del 100% del personale in servizio presso ciascuna concessione, doveva essere interpretata nel senso che tale percentuale andava calcolata con riferimento al numero complessivo dei dipendenti in servizio presso le singole strutture, e non con riferimento ai soli messi notificatori in servizio presso le stesse strutture.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione B.M. affidandosi a cinque motivi di ricorso cui resiste con controricorso la Serit Sicilia spa (già Montepaschi Serit spa). La controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 1 e della L. n. 56 del 1987, art. 23, comma 1 chiedendo a questa Corte di stabilire “se la contrattazione collettiva a livello aziendale, su rinvio o ad integrazione della contrattazione collettiva nazionale o locale, possa individuare o regolare ipotesi ulteriori e diverse – rispetto a quelle previste dalla L. n. 230 del 1962 di apposizione del termine finale al contratto di lavoro, ovvero se la ridotta forza negoziale delle oo.ss. renda inidoneo tale livello di contrattazione ad assicurare la salvaguardia contro gli abusi del precariato”.

2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 1 e L. n. 56 del 1987, art. 23, chiedendo a questa Corte di stabilire “se gli accordi aziendali per introdurre ipotesi di assunzione a termine diverse da quelle di legge debbano essere sottoscritti da tutte le oo.ss. firmatarie del ccnl, e debbano essere sufficientemente determinati e precisi nell’individuare la durata e la quantità delle assunzioni consentite”.

3.- Con il terzo motivo si deduce la violazione o la falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 3, art. 2697 e 2729 c.c., art. 116 c.p.c., artt. 26 e 27 ccnl 1995 dipendenti delle aziende concessionarie per la riscossione, chiedendo alla Corte di stabilire “se il ccnl o gli accordi aziendali, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, siano di per sè prova sufficiente della sussistenza delle circostanze legittimanti l’assunzione di lavoratori precari”.

4.- Con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e artt. 26 e 27 ccnl 1995 dipendenti delle aziende concessionarie per la riscossione, chiedendo alla Corte di stabilire “se il limite percentuale alle assunzioni di messi notificatori straordinari fissato dal ccnl 1995 aziende di concessione sia riferito all’intero personale aziendale ovvero soltanto a quello addetto all’attività di notifica, e se tale percentuale possa essere derogata da accordi di livello aziendale”.

5.- Con il quinto motivo la ricorrente lamenta l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione a tutti i punti sopra indicati.

6.- Il quesito di cui al primo motivo deve trovare risposta nel principio enunciato in materia dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr. ex plurimis Cass. n. 8317/2006, Cass. n. 7533/2006, Cass. n. 5793/2006, Cass. n. 5619/2006, Cass. sez. unite n. 4588/06), a cui questa Corte intende dare continuità, secondo cui la L. n. 56 del 1987, art. 23 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla legge – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti. Proprio perchè si tratta di una “delega in bianco”, secondo la citata giurisprudenza, non può dubitarsi della facoltà della contrattazione nazionale o locale di rimettere anche alla contrattazione aziendale l’individuazione del presupposto di fatto per la legittima apposizione del termine al contratto di lavoro.

Il che è quanto si è verificato nella fattispecie in esame, nella quale il contratto collettivo nazionale, art. 26, autorizzato dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 ha, a sua volta, demandato alla contrattazione aziendale (“salvo accordi in sede aziendale, per periodi diversi …”) la facoltà di individuare ulteriori ipotesi di assunzione a termine di personale da adibire alla notifica di atti di riscossione.

Il primo motivo deve essere pertanto respinto.

7.- Il secondo motivo, con il quale si contesta la legittimità di accordi aziendali che non siano stati sottoscritti da tutte le organizzazioni sindacali firmatarie del ccnl e si deduce la genericità degli accordi in questione, è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione: non si indicano, infatti, quali associazioni sindacali avrebbero stipulato il ccnl e quali non avrebbero sottoscritto gli accordi aziendali, nè viene riportato nel ricorso per cassazione il testo degli accordi di cui si deduce la genericità e quello delle clausole del contratto collettivo nazionale con cui è stata demandata alla contrattazione aziendale la facoltà di individuare ulteriori ipotesi di assunzione a termine (e tutto ciò a prescindere dalla pur assorbente considerazione che nè il contratto nazionale nè quelli aziendali sono stati prodotti in copia integrale unitamente al ricorso per cassazione).

8.- Anche il terzo motivo è inammissibile poichè muove dal presupposto che il giudice d’appello abbia ritenuto che la contrattazione collettiva, autorizzata ad individuare ipotesi ulteriori di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro, costituisca, per sè sola, prova sufficiente della sussistenza delle circostanze che legittimano l’apposizione del termine, ciò che sarebbe in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale che ritiene che, anche nella vigenza della L. n. 56 del 1987, debba essere posto a carico del datore di lavoro l’onere della prova delle condizioni che giustificano l’apposizione del termine (cfr. ex multis, Cass. n. 14877/2006); laddove, la Corte territoriale non ha affatto affermato siffatto principio – che sarebbe effettivamente in contrasto con quanto ripetutamente affermato da questa Corte in materia – ma ha ritenuto che sull’effettiva esistenza delle esigenze straordinarie ed urgenti connesse al servizio di notificazione degli atti di riscossione, per le quali era stata prevista la possibilità del ricorso alle assunzioni a termine, non vi fosse contestazione tra le parti (cfr.

pag. 13 della sentenza impugnata) e che, quindi, i presupposti indicati dagli accordi aziendali (incremento straordinario del lavoro dei concessionari), quali legittimanti l’apposizione del termine al contratto di lavoro, in realtà sussistessero in concreto. La ricorrente ha contestato che il ricorso ai contratti a termine fosse giustificato da un reale incremento straordinario del fabbisogno di manodopera e che si fosse creata una mole di lavoro arretrato da esaurire inderogabilmente nel periodo dal 1996 al 1997, ma non ha specificamente indicato gli elementi probatori, eventualmente trascurati o insufficientemente valutati dal giudice d’appello, dai quali ha tratto tali valutazioni, e neppure ha indicato in quali atti del giudizio precedente abbia proposto tali questioni al giudice di merito, sicchè le censure espresse con il terzo motivo – pure a voler prescindere, anche in questo caso, dalla mancata produzione del ccnl e degli accordi aziendali – rimangono comunque confinate ad una mera contrapposizione rispetto alla valutazione di merito operata dalla Corte d’appello, inidonea a radicare un vizio deducibile in questa sede di legittimità.

9.- Il quarto motivo, con il quale si contesta l’interpretazione data dalla Corte territoriale alla clausola contrattuale con cui viene fissata la percentuale del personale che può essere assunto a tempo determinato, è inammissibile per diverse ragioni. La ricorrente, con violazione ancora una volta del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui cfr. ex multis Cass. n. 21388/2005, Cass. n. 16132/2005, Cass. n. 12775/2004), non riporta nel ricorso il contenuto integrale delle clausole delle quali lamenta l’erronea interpretazione (nè produce il testo integrale del contratto collettivo e degli accordi aziendali ai quali fa riferimento). Ma il ricorso è carente anche sotto altro determinante profilo. Sempre in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, è necessario, infatti, che, nel caso sia stata denunciata la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti collettivi, siano motivatamente specificati i canoni ermeneutici negoziali in concreto violati, nonchè il punto e il modo in cui il giudice del merito si sia da essi discostato, restando altrimenti la censura confinata ad una mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta dalla sentenza impugnata (Cass. n. 1582/2008, Cass. n. 10374/2007). Le carenze sopra riscontrate conducono, quindi, all’affermazione della inammissibilità anche del quarto motivo di ricorso.

10.- Fermi restando i rilievi che precedono, e che assumono già valore decisivo e assorbente ai fini della valutazione dell’ammissibilità del motivo in esame, va comunque sottolineato, per completezza, che la doglianza della ricorrente in ordine alla interpretazione delle norme di legge e della contrattazione collettiva in esame dovrebbe ritenersi comunque infondata, atteso che questa Corte, in una fattispecie del tutto analoga a quella ora in esame (cfr. Cass. n. 23455/2009), ha già affermato il principio secondo cui, in tema di assunzioni a tempo determinato, la L. n. 56 del 1987, art. 23 va interpretato, alla luce di una esegesi letterale e sistematica, nel senso che la norma, nel prevedere che tali rapporti costituiscono una percentuale del personale con rapporto a tempo indeterminato rimettendone l’esatta definizione alla contrattazione collettiva, fa riferimento al numero complessivo di lavoratori a tempo indeterminato occupati nell’azienda presso la quale devono essere effettuate le assunzioni a termine. Con la stessa sentenza si è altresì precisato che, in tema di interpretazione del contratto collettivo nazionale per i dipendenti dei concessionari del servizio di riscossione dei tributi, è conforme alla regola legale del l’interpretazione letterale la decisione della corte territoriale che, in riferimento agli artt. 33 del ccnl del 1991 e 27 del ccnl del 1995, ritenga la percentuale del cento per cento, prevista dalle norme pattizie per le assunzioni a tempo determinato del personale con mansioni di messo notificatore, riferita non a tutti i dipendenti a tempo determinato dell’istituto di credito, ma solo a quelli della “concessione” nel cui ambito operano gli addetti alla riscossione del ruolo oggetto della concessione da parte dell’ente impositore, ed escluda che la locuzione “del personale in servizio presso ciascuna concessione gestita”, sia rapportata al solo personale a tempo indeterminato adibito alle medesime mansioni di messo notificatore.

11.- 11 quinto motivo è inammissibile per le stesse ragioni già illustrate sub 8), in relazione alle censure di cui al terzo motivo di gravame.

12.- Il ricorso va, dunque, rigettato.

13.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2011

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