Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16601 del 21/07/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16601 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

ORDINANZA
sul ricorso 28107-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585 – società con socio unico in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CLAUDIO MONTE VERDI 16, presso lo studio dell’avvocato
GIUSEPPE CONSOLO, che la rappresenta e difende, giusta procura
a margine del ricorso;
– ricorrente contro
LUCENTI MARINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la
rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del
controricorso;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 21/07/2014

avverso la sentenza n. 7779/2010 della CORTE D’APPELLO di
ROMA dell’11.10.2010, depositata il 18/11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
13/05/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA
PAGETTA;

agli scritti.
Fatto e diritto
Poste italiane chiede l’annullamento della sentenza della Corte
d’appello di Roma, pubblicata il 18 novembre 2010, che, ha
confermato la sentenza di primo grado la quale aveva dichiarato la
nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato stipulato
tra le parti con decorrenza dal 20 dicembre 1999 al 29 febbraio 2000
per ‘esigenze eccezionali’, e condannato la società convenuta al
risarcimento del danno ( commisurato alla retribuzione lorda mensile
pari a € 1.636,98) per il periodo dall’11.10.2007 e fino alla data di
effettivo ripristino del rapporto, oltre accessori.
Poste italiane propone un ricorso articolato in più motivi, concernenti
il mancato accoglimento dell’eccezione di mutuo consenso, la
legittimità della apposizione del termine in base a quanto previsto dalla
contrattazione collettiva; la violazione e falsa applicazione dello ius
superveniens costituito dall’art. 32 1. 183 del 2010.
Il lavoratore si è difeso con controricorso, successivamente illustrato
con memoria.
Il primo motivo, concernente il mancato accoglimento
dell’eccezione di mutuo consenso alla estinzione del contratto, è
privo di fondamento. La relativa censura viene proposta come vizio
di “erronea motivazione”.
In effetti, come questa Corte ha costantemente rilevato, il giudizio sulla
sussistenza di un accordo per facta concludentia, sulla estinzione del
contratto, viene devoluto al giudice di merito, la cui valutazione si
sottrae a censure in sede di controllo di legittimità della decisione,
se la motivazione non presenta i vizi indicati dall’art. 360, n. 5 (tra le
Ric. 2011 n. 28107 sez. ML – ud. 13-05-2014
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udito per la controricorrente l’Avvocato Roberto Rizzo che si riporta

Ric. 2011 n. 28107 sez. ML – ud. 13-05-2014
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molte e tra le ultime, cfr. Cass. 1 febbraio 2010, n. 2279, cui si rinvia
per ulteriori richiami).
Nel caso in esame la motivazione sussiste, è sufficientemente articolata
ed è priva di contraddizioni. Le critiche della società non integrano
uno di questi vizi, i soli idonei a comportare l’annullamento della
decisioni ai sensi dell’art. 360, n. 5 cpc, ma propongono una diversa
valutazione nel merito, il che non è possibile in sede di legittimità.
Quanto al problema posto con gli ulteriori motivi, la posizione
articolata da Poste italiane non è conforme alla giurisprudenza
costante di questa Corte in controversie del tipo di quella in esame:
contratto a termine, stipulato ai sensi dell’accordo integrativo del
25 settembre 1997, dopo la data del 30 aprile 1998.
Cass. n. 18272 del 2006; Cass. n. 13728 del 2009 e una lunga serie di
altre decisioni ricordano che l’art. 23 della legge 28 febbraio 1987 n. 56,
nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di
individuare -oltre le fattispecie tassativamente previste dall’art. 1
della legge 18 aprile 1962 n. 230 e successive modifiche nonché dall’art.
8 bis del d.l. 29 gennaio 1983 n. 17, convertito con modificazioni dalla
legge 15 marzo 1983 n. 79- nuove ipotesi di apposizione di un termine
alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria
delega in bianco all’autonomia collettiva, la quale, pertanto, non è
vincolata all’individuazione di figure di contratto a termine
comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito
dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo
2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le
parti collettive hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a
termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre
1997. Partendo da questo principio la giurisprudenza di questa Corte,
dopo aver ribadito la legittimità della formula adottata
nell’accordo integrativo, caratterizzata, in particolare, dalla
mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate le
decisioni dei giudici di merito che avevano affermato la natura
meramente ricognitiva dei c.d. accordi attuativi e conseguentemente il
carattere non vincolante degli stessi quanto alla determinazione della
data entro la quale era legittimo ricorrere a contratti a termine, atteso
che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono discostate dal
chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di
quella secondo cui .. per far fronte alle predette esigene si potrà procedere ad
assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al
30/4/98 (cfr. accordo del 16 gennaio 1998); ciò, fra l’altro, in
violazione del principio secondo cui nell’interpretazione delle
clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito

Ric. 2011 n. 28107 sez. ML – ud. 13-05-2014
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rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare
innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e,
quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri
interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e
complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a
interpretazioni contrastanti (cfr., exp/urimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n.
12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).
La stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle
suddette sentenze, di una violazione del canone ermeneutico di cui
all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le
singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere
qualche effetto, anziché in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed
infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso
introdurre limiti temporali alla previsione di cui all’accordo del
25 settembre 1997 implica la conseguenza che gli accordi attuativi,
così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così
testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).
La giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., exp/utitnis, Cass. 23
agosto 2006 n. 18378) ha, per contro, ritenuto corretta, nella
ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di
merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in
quanto stipulato dopo circa due anni dalla scadenza dell’ultima
proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed
infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare
autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di
sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura
dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi
attuativi), la suddetta conclusione deve comunque ritenersi
conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei
lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti
stipulanti avessero il potere, anche mediante lo
strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo
speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel
d.lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la
stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della
durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n.
5141).
Il motivo con il quale si chiede la applicazione dell’art. 32 della legge
183 del 2010 risulta inammissibile sotto un duplice profilo. Invero,
come eccepito dalla lavoratrice controricorrente, il motivo difetta
di autosufficienza con riferimento allo sviluppo della vicenda
processuale relativa alla determinazione del risarcimento del danno,
questione che non risulta affrontata nella decisione impugnata .

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna Poste Italiane spa alla rifusione
delle spese che liquida in € 4100,00 per compensi professionali oltre atc,5302: e_.
rimborso forfettario delle spese nella misura del 15%. Con distrazione
in favore dell’Avv. Roberto Rizzo.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Questa Corte ha chiarito che ” In tema di ricorso per cassazione,
qualora una determinata questione giuridica – che implichi
accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza
impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di
legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per
novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta
deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in
quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla
Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di
esaminare nel merito la questione stessa.” ( Cass.n. 1435 del 2013 , n.
6254 del 2004, n. 22540 del 2006 ) .
Premesso, inoltre, che il dispositivo della sentenza impugnata è stato
reso all’udienza dell’i 1 ottobre 2010 e, quindi, in epoca antecedente
alla data di entrata in vigore della legge n. 183 del 2010 ( pubblicata
sulla G.U. del 9.11.2010), costituiva condizione necessaria per poter
applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens, che aveva
introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto
controverso, il fatto che quest’ultima fosse in qualche modo pertinente
rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della
natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli
specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. n. 10547/2006 , n. 4070/2004).
Parte ricorrente non poteva, pertanto, limitarsi ad invocare
l’applicazione dell’art. 32 L. n. 183 del 20101 ma doveva investire,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta,
ed il relativo motivo doveva essere ammissibile, secondo la disciplina
sua propria ( exp/urimis : Cass. n. 80 del 2011) In particolare, ai fini
dell’applicazione dell’art. 32 era necessario che il motivo di ricorso
investisse specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata
nullita’ del termine, e che esso non fosse tardivo o generico, etc. .
Il ricorso deve essere pertanto integralmente rigettato.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

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