Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16598 del 05/07/2017

Cassazione civile, sez. VI, 05/07/2017, (ud. 24/05/2017, dep.05/07/2017),  n. 16598

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11521-2015 proposto da:

R.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

48, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CORVASCE, rappresentato

e difeso dall’avvocato CLAUDIO RIVELLINI;

– ricorrente –

contro

L.N.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G.

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO SADURNY, che la

rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato PAOLO

TOFFOLI;

– controricorrente –

nonchè contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE;

– intimato –

sul ricorso 11584-2015 proposto da:

R.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

48, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CORVASCE, rappresentata

e difesa dall’avvocato CLAUDIO RIVELLINI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati ANTONINO SGROI, EMANUELE

DE ROSE, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO ed ESTER

ADA VITA SCIPLINO, giusta procura in calce al ricorso notificato;

– resistente –

nonchè contro

L.N.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 501/2014 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 22/12/2014;

udita la relazione della cause svolte nella camera di consiglio non

partecipata del 24/05/2017 dal Consigliere Dott. DORONZO ADRIANA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. R.D. ha assunto di aver lavorato dal gennaio 2009 al settembre 2011 come assistente familiare di C.C., madre di L.N., di non aver percepito una retribuzione adeguata, di aver subito danni per la mancata fruizione di permessi e di non aver ricevuto i contributi previdenziali;

2. ella ha quindi convenuto in giudizio L.N. chiedendo la sua condanna al pagamento delle differenze retributive e al versamento dei contributi omessi, nonchè al risarcimento del danno alla salute ed esistenziale;

3. il Tribunale di Udine ha rigettato la domanda e la Corte d’appello di Trieste, con sentenza pubblicata il 22/12/2014, ha dichiarato l’appello proposto dalla R. inammissibile per violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., come novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 54, comma 1, lett. a);

4. contro la sentenza, la R. ha proposto due distinti ricorsi per cassazione, entrambi notificati il 1/4/2015 e iscritti con due diversi numeri di ruolo (11521 e 11584 del 2015), articolando tre motivi;

5. la L. ha resistito con controricorso solo nel primo giudizio, mentre l’Inps ha rilasciato procura in calce alla copia notificata del ricorso nel procedimento n. 11.584, mentre non ha svolto attività difensiva nel primo giudizio;

6. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

7. il collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. in via preliminare i ricorsi, entrambi chiamati alla stessa adunanza camerale, devono essere riuniti ex art. 335 c.p.c.;

1.1. il primo ricorso iscritto al n. di R.G. 11521/2015 è senz’altro ammissibile in quanto notificato nel termine previsto dall’art. 325 c.p.c.;

1.2. il secondo ricorso, iscritto al n. 11.584, è identico al primo ed è rivolto contro la medesima sentenza, sicchè in quanto successivo al primo, deve essere dichiarato inammissibile avendo la parte già esaurito la facoltà di critica della decisione che lo pregiudica e così consumato, con il primo ricorso, il potere di impugnazione: in tal senso vi sono pronunce di questa Corte, alle cui ragioni si rinvia (per tutte, Cass. ord. 29/11/2016, n. 24332);

2. nel merito, i tre motivi di ricorso con cui la R. censura la sentenza (violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c.; violazione degli artt. 111, 24 e 3 Cost.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti) non possono essere accolti, in ragione degli evidenti profili di inammissibilità;

2.1. come rilevato da ultimo da Cass. 5/2/2015, n. 2143, l’art. 434 c.p.c., comma 1, nel testo introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. c) bis, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, (applicabile al ricorso in appello all’esame in quanto depositato il 3/2/2014), in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c., pur non richiedendo una determinata forma dei motivi di appello nè che essi ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, impone all’appellante di individuare in modo chiaro ed esauriente, sotto il profilo della latitudine devolutiva, il quantum appellatum e di circoscrivere l’ambito del giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza del Tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono;

2.2. sotto il profilo qualitativo, le argomentazioni formulate devono proporre le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice ed esplicitare in che senso tali ragioni siano idonee a determinare le modifiche della statuizione censurata;

2.3. a tale premessa va aggiunto che la denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, integra un vizio processuale ricompreso nella previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

2.4. si tratta di un error in procedendo: le Sezioni Unite, con la sentenza 22/5/2012, n. 8077, hanno chiarito che, ove i vizi del processo si sostanzino nel compimento di un’attività deviante rispetto alla regola processuale rigorosamente prescritta dal legislatore, così come avviene nel caso in cui si tratti di stabilire se sia stato o meno rispettato il modello legale di introduzione del giudizio, il giudice di legittimità non deve limitare la sua cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere – dovere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda;

2.5. affinchè la Corte di legittimità possa fare tale riscontro, è tuttavia necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi caratterizzanti il fatto processuale di cui si chiede il riesame, nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr., ex plurimis, Cass., ord. 18/11/2014, n. 24481; Cass. 17/1/2014, n. 896; Cass. Sez. Un. n. 8077 del 2012, cit.); 3. il ricorso della R. non si informa alle predette prescrizioni;

3.1. la Corte territoriale ha puntualmente enunciato le ragioni per le quali ha ritenuto il ricorso in appello inammissibile: ha rilevato che esso non conteneva alcuna indicazione delle parti della sentenza che si intendevano censurare e modificare, nè delle circostanze da cui sarebbe derivata la violazione di legge; che mancava una precisa disamina dei passi motivazionali criticati, nè era riscontrabile una diversa ricostruzione dei dati di causa; che in sostanza il ricorso si sostanziava nella mera riproposizione delle tesi difensive già svolte nel primo grado, attraverso il richiamo agli scritti già depositati; ha poi segnalato che nessuna censura era svolta sul passaggio motivazionale relativo alla individuazione della reale datrice di lavoro, che secondo il tribunale la stessa ricorrente aveva indicato con un “atto di suo pugno in C.C.”;

3.2 l’atto d’appello trascritto nel ricorso per cassazione (pag. 3 e ss.) conferma la correttezza dell’analisi della corte territoriale, dal momento che in esso non è possibile desumere quali siano state le ragioni della decisione del tribunale, e quindi quali siano stati gli errori di giudizio censurati devoluti al giudice superiore;

3.3. l’intero ricorso è sostanzialmente incentrato sulla tesi difensiva per la quale il rapporto di lavoro sarebbe sorto fin dal gennaio del 2009, e non invece nel momento in cui esso era stato regolarmente dichiarato agli enti previdenziali, ma non spiega le ragioni per le quali il Tribunale ha ritenuto di non poter accogliere la sua tesi nè, conseguentemente, quali siano le ragioni del dissenso rispetto a tale ricostruzione; neppure specifica quali siano le prove da lei offerte e che il giudice di primo grado non avrebbe esaminato, apparendo del tutto generico il richiamo a “riferimenti, debitamente offerti in ricorso anche ai fini istruttori”; così come non specifica quali prove non sarebbero state ammesse e quali poteri ufficiosi, debitamente sollecitati, non sarebbero stati esercitati; non riporta le affermazioni del tribunale in contrasto con i principi in tema di onere della prova e di efficacia delle prove orali e documentali; nulla infine è dedotto circa l’affermazione contenuta in sentenza circa il difetto di legittimazione passiva della L.;

4. il ricorso in appello si presenta generico e del tutto difforme dallo schema normativo tracciato dall’art. 434 c.p.c., nel testo novellato, con la conseguenza che correttamente la Corte d’appello di Trieste lo ha dichiarato inammissibile, dovendosi al riguardo ricordare che, già prima della riforma del 2012, i requisiti di redazione dell’atto d’appello, attenendo alla forma della impugnazione e alle relative decadenze, costituivano materia sottratta alla disponibilità delle parti, la cui mancanza non poteva essere sanata dopo la consumazione del diritto di impugnazione nè integrata utilizzando l’attività difensiva dell’appellato, dovendo quindi essere rilevata di ufficio (Cass. 23/02/2017, n. 4695; Cass. 27/10/2014, n. 22781; Cass. 14/11/2005, n. 22906);

4.1. a ciò deve aggiungersi, quale profilo di inammissibilità del presente ricorso per cassazione, che i documenti che la ricorrente indica a sostegno della sua tesi, e che sarebbero stati mal valutati dai giudici del merito, non sono trascritti neppure nelle loro parti salienti, non risultano depositati unitamente al ricorso per cassazione, nè vi sono indicazioni per un loro facile reperimento nei fascicoli di parte o d’ufficio delle pregresse fasi del giudizio, apparendo del tutto generica la indicazione del numero del documento depositato, senza alcuna precisazione sul luogo in cui esso sarebbe attualmente rinvenibile (v. da ultimo, Cass. 12/12/2014, n. 26174; Cass. 7/2/2011, n. 2966);

5. in definitiva, le censure alla pronuncia di inammissibilità – volte a dimostrare che nell’atto di appello non erano ravvisabili le carenze nessun provvedimento sulle spese deve invece essere adottato nei confronti delle parti che non hanno svolto attività difensiva;

poichè il ricorso è stato notificato in data successiva al 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.

PQM

 

La Corte riunisce al ricorso R.G. n. 11521/2015 il ricorso iscritto al R.G. n. 11584/2015 e li dichiara entrambi inammissibili; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate, quanto alla controricorrente, in Euro 2700,00 per compensi professionali e Euro 200,00 per esborsi, e, quanto all’INPS, in Euro 1.500,00 per compensi professionali e Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario del 15% per spese generali e altri accessori di legge per entrambe le parti. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2017

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