Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16597 del 15/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 15/07/2010, (ud. 16/06/2010, dep. 15/07/2010), n.16597

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.G.M., in proprio e nella qualita’ di liquidatore e

legale rappresentante pro tempore della SAVE SOUL S.r.l..

elettivamente domiciliato in Roma, Via delle Medaglie d’Oro n. 157,

presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Cipriani, rappresentato e difeso

dall’Avv. Borri Paolo del foro di Arezzo come da procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO DI AREZZO, in persona del Direttore

pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12,

domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 975/05 del Tribunale di Arezzo

del 6.1 2.2005 nella causa n. 4076 R.G. 2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

16.06.2010 dal Cons. Dott. De Renzis Alessandro;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. SEPE Ennio

Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso, depositato il 27.11.2003, G.G.M. proponeva opposizione contro l’ordinanza dell’8.10.2003, notificata il 30.10.2003, con la quale la Direzionione Provinciale del Lavoro di Arezzo aveva intimato il pagamento della somma di Euro 7632,00, a titolo di sanzione amministrativa in relazione ad irregolare assunzione di alcuni lavoratori, reclutati come collaboratori coordinati e continuativi, ma di fatto dipendenti.

L’opponente chiedeva l’annullamento dell’ordinanza – ingiunzione opposta deducendo insussistenza delle violazioni contestate. Si costituiva la Direzione Provinciale del Lavoro di Arezzo contestando le avverse deduzioni e chiedendo il rigetto dell’opposizione.

All’esito il Tribunale di Arezzo con sentenza n. 975 del 2005 rigettava l’opposizione.

Il G., in proprio e nella qualita’ di legale rappresentante della Save Soul S.r.l, propone ricorso per cassazione con quattro motivi.

La Direzione Provinciale del Lavoro di Arezzo resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., sui caratteri identificativi del rapporto di lavoro subordinato (art. 360 c.p.c., n. 3).

In particolare il G. contesta al giudice di merito di avere trascurato l’esame dei principi di diritto che presiedono all’identificazione del rapporto di lavoro subordinato e alla sua distinzione da quello autonomo, omettendo di verificarne l’applicazione ai casi dedotti.

Il semplice richiamo all’analogia di attivita’ e non gia’ delle concrete modalita’ di svolgimento di essa, ad avviso del ricorrente, non puo’ costituire un valido fondamento giuridico della decisione di ritenere sussistente l’elemento della subordinazione, laddove peraltro era stato espressamente escluso dalle parti. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, quale quello della sussistenza della natura subordinata del rapporto (art. 360 c.p.c., n. 5).

Al riguardo sostiene che il giudice di primo grado e’ incorso nel vizio di mancata o insufficiente motivazione, in quanto senza alcuna spiegazione ha privato di valore la circostanza, decisiva, che nella specie l’elemento della subordinazione, come degli altri elementi residuali, non solo non era stata provata l’esistenza, ma addirittura dimostrata l’inesistenza, come risultante dalle dichiarazioni dei testi escussi.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. sui principi che regolano l’onere probatorio in giudizio e della L. n. 689 del 1981, art. 23 nella parte in cui dispone che l’opposizione debba essere accolta, quando non vi siano prove sufficienti della responsabilita’ dell’opponente (art. 360 c.p.c., n. 3).

Il G. osserva che l’onere di provare la pretesa sanzionatorio incombeva sull’ente asseritamene creditore, onere che non avrebbe potuto essere invertito da un verbale predisposto da un funzionario amministrativo, non spiegando la ed. presunzione di legittimita’ degli atti amministrativi alcun effetto nell’ordinario giudizio di cognizione e le dichiarazioni stragiudizialmente rilasciate all’ispettore facendo prova, fino a querela di falso, della loro sussistenza, ma non della veridicita’ del loro contenuto. Le censure esposte negli anzidetti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro stretta connessione, sono infondate e non meritano di essere condivise.

L’impugnata decisione non e’ incorsa nelle lamentate violazioni e carenze di motivazione, in quanto il giudice di merito ha esaminato gli elementi probatori acquisiti, ritenendo, nell’esercizio del suo potere di valutazione delle dichiarazioni rese dai lavoratori agli ispettori nel corso degli accertamenti, di confermare l’ordinanza – ingiunzione riscontrando posizioni lavorative caratterizzate da vincolo di subordinazione. Il giudice invero ha posto in evidenza come nello svolgimento delle attivita’ lavorative, connesse all’esercizio di una discoteca con servizio guardaroba, bar e ristorazione, l’organizzazione era rimessa in loto ai gestori del locale, che individuavano di volta in volta le mansioni cui adibire i lavoratori.

A tale apprezzamento delle risultanze ed accertamento dei fatti la ricorrente ha opposto un diversa valutazione, non sindacabile in sede di legittimita’, rispetto a quella del giudice di primo grado, sorretta da congrua e logica motivazione.

2. Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda, formulata in subordine, di modifica dell’ordinanza – ingiunzione (art. 360 c.p.c., n. 3).

Il G. contesta l’impugnata sentenza per avere omesso di prendere in considerazione la richiesta di riduzione delle sanzioni irrogate fino al minimo legislativamente previsto, anche con riguardo al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 19, comma 3, modificativo della L. n. 608 del 1996, art. 9, comma 2 bis. Le doglianze sono prive di pregio e vanno disattese. Il giudice di primo grado si e’ pronunciato sull’adeguatezza delle sanzioni irrogate con valutazione complessiva dei fatti e della personalita’ dell’autore delle violazioni, senza essere tenuto a specificare i criteri seguiti nella commisurazione delle stesse sanzioni (ex plurimis Cass. n. 6555 dell’11 maggio 2001;

Cass. n. 10113 del 2 agosto 2000).

Non assume valore decisivo poi il riferimento alla disposizione normativa, contenuta nel D.Lgs. n. 276 del 2003, non trovando la stessa applicazione al caso di specie ratione temporis, risalendo le infrazioni in questione al periodo dicembre 2000 – maggio 2001 e il relativo accertamento at periodo novembre 2001 – aprile 2002.

3. In conclusione il ricorso e’ manifestamente infondato e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 11,00 oltre Euro 2.00,00 per onorari ed oltre accessori di legge.

Cosi deciso in Roma, il 16 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2010

 

 

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