Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16597 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/06/2021, (ud. 13/05/2021, dep. 11/06/2021), n.16597

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5645-2019 proposto da:

COMITATO ORGANIZZATORE DEI XVI GIOCHI DEL MEDITERRANEO PESCARA 2009,

in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato VINCENZO DI CENSO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 771/1/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’ABRUZZO, depositata il 12/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

 

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Comitato organizzatore dei XVI giochi del Mediterraneo Pescara 2009 ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, contro l’Agenzia delle entrate, impugnando la sentenza resa dalla CTR Abruzzo indicata in epigrafe, con la quale è stato rigettato l’appello proposto dalla contribuente avverso la sentenza che aveva ritenuto legittimo l’avviso di accertamento relativo alla ripresa a tassazione di IVA per gli anni 2010 e 2012. Secondo la CTR la sentenza impugnata non poteva dirsi affetta da nullità sotto il profilo del deficit di motivazione, avendo espresso le ragioni del rigetto del ricorso in ragione della mancata dimostrazione che le operazioni dedotte fossero di natura commerciale e che i beni acquisiti ed utilizzati fossero detraibili in quanto finalizzati all’attività commerciale nemmeno dimostrata. A nulla valeva, secondo la CTR, il fatto che la contribuente si fosse avvalsa della tenuta della contabilità separata, non essendo questa idonea a fornire alcuna prova. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione.

Con il secondo motivo viene dedotta la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 ter, nonchè degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c.. La CTR avrebbe omesso di considerare che enti non commerciali avrebbero la possibilità di detrarre l’IVA per l’attività commerciale o agricola svolta purchè queste risultino gestite con contabilità separata. Avrebbe dunque errato la CTR nell’addossare sul contribuente l’onere della prova in ordine alle operazioni di natura commerciale, incombendo tale onere sul fisco.

Il primo motivo è palesemente infondato, avendo la CTR assolto all’obbligo della motivazione nel suo contenuto minimo, alla stregua dei principi espressi a Sezioni Unite da questa Corte – cfr. Cass. S.U. n. 8053/2014 -. La CTR, infatti, ha riportato, sia pure in maniera sintetica, gli elementi essenziali per individuare il contenuto della lite e l’esito della fase precedente, inoltre offrendo una motivazione che nel rifarsi alla decisione di primo grado ha compiutamente ripercorso l’intero del primo giudice dando conto delle ragioni della decisione.

Il secondo motivo è infondato.

A fronte della decisione della CTR che ha escluso il diritto a detrazione unicamente per il fatto che il ricorrente, ente non commerciale, si fosse avvalso del regime di contabilità separata per le attività commerciale svolta, richiedendo la prova dello svolgimento dell’attività commerciale e della prova circa il fatto che i costi si riferissero all’attività commerciale, infondatamente il ricorrente prospetta una violazione dei parametri normativi invocati.

Apparendo evidentemente corretta l’affermazione in base alla quale la sola tenuta del regime di contabilità separata non giustifica il riconoscimento della detrazione dell’IVA sui costi, valendo il regime ordinario che impone al contribuente l’onere di dimostrare non solo il costo, ma la sua inerenza all’attività commerciale. Un conto è infatti la necessità di istituire il regime di contabilità separata per l’ente non commerciale che svolga altresì attività commerciale, alla stregua del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 ter, altro è affermare, come vorrebbe il contribuente, che per il sol fatto di avere osservato il regime di contabilità separata sia dovuta la detrazione IVA sui beni indicati dal contribuente come ricadenti nell’attività stessa, dovendo per converso ritenersi validi anche per tali beni i principi generali espressi da questa Corte in ordine all’onere della prova circa l’esistenza e l’inerenza dei costi rispetto all’attività imprenditoriale.

Ed invero, la giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che il costo è deducibile dal reddito di impresa purchè il contribuente dia prova della riferibilità alla attività svolta e della sua congruità. A titolo esemplificativo, può ricordarsi Cass. n. 21184/2014, secondo la quale “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa”.

Da tale principio si è desunto che in caso di mancato superamento dell’onere della prova circa la destinazione imprenditoriale del costo e della sua congruità rispetto alla dimensione effettiva della medesima attività imprenditoriale, l’Amministrazione Finanziaria possa legittimamente fare ricorso all’accertamento analitico-induttivo del reddito di impresa previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), fondato su presunzioni gravi precise e concordanti, “potendosi, in tale ipotesi, evincere l’esistenza di maggiori ricavi o minori costi, i quali difettano del requisito dell’inerenza all’attività imprenditoriale” (Cass. 23550/2014).

Nella medesima prospettiva si è poi ritenuto che: “L’onere della prova dei presupposti costi e degli oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito di impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive e ricavi incombe sul contribuente, il quale è tenuto altresì a dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività di impresa, ove non sia contestata dall’amministrazione anche la congruità dei dati relativi a costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, in difetto di tale prova essendo legittima la negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto di impresa” – Cass. n. 1709/2007 -.

A tali principi si è dunque pienamente conformato il giudice di appello, ritenendo non provati i costi in quanto riferiti ad attività commerciali inerenti all’attività commerciale neppure dimostrata.

Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore dell’Agenzia delle Entrate in Euro (ndr: testo originale non comprensibile) per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

 

 

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