Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16596 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/06/2021, (ud. 14/04/2021, dep. 11/06/2021), n.16596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37603-2019 proposto da:

E.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE BELLE

ARTI 7, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA FERRANTI,

rappresentato e difeso dagli avvocati FABRIZIO PANZAVUOTA, GIACOMO

MARIA PERRI;

– ricorrente –

contro

R.M.;

– intimato –

avverso l’ordinanza della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA n.

24466/19 depositata il 01-10-19;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/04/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie del ricorrente.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

E.R. impugna per revocazione sulla base di un unico motivo l’ordinanza di questa Corte n. 24466 del 1/10/2019.

Gli intimati non hanno svolto difese in questa fase.

La decisione gravata ha così statuito.

“Rilevato:

che il sig. E.R., quale titolare dell’omonima impresa edile, ha proposto ricorso, sulla scorta di sette motivi, per la cassazione della sentenza con cui la corte d’appello di Ancona, accogliendo solo parzialmente l’appello da lui avanzato contro la sentenza di primo grado del tribunale di Fermo, l’ha condannato a pagare la sorte capitale di Euro 94.000 in favore degli eredi della sig.ra N.P., a titolo di risarcimento dei danni conseguenti ad errori progettuali ed a cattiva esecuzione di lavori di restauro su un immobile in (OMISSIS), rimasto danneggiato dal terremoto del 1997, che la stessa sig.ra N. gli aveva appaltato;

che gli eredi della sig.ra N.P. – signori R.M., W.E. e R.G. – hanno depositato controricorso, mentre gli altri intimati – l’ing. C.F. e il Comune di (OMISSIS) – non hanno spiegato difese in questa sede;

che la causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 15 febbraio 2019, per la quale solo il ricorrente ha depositato una memoria;

considerato:

che con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa fondando la responsabilità dell’impresa E. su circostanze di fatto (l’omessa rilevazione di vizi progettuali nella ricostruzione della copertura) diverse da quelle (l’omessa verifica della idoneità delle strutture preesistenti a reggere l’ulteriore opera oggetto dell’appalto alla stessa affidato) su cui si fondava l’accertamento di responsabilità della medesima impresa nella sentenza di primo grado;

secondo l’argomentazione svolta nel mezzo di impugnazione, la corte territoriale avrebbe in sostanza “enucleato un nuovo e diverso addebito, basato su diverse circostanze di fatto, che il ricorrente non aveva fatto oggetto di impugnazione in quanto la sentenza di primo grado aveva individuato la di lui responsabilità solo ed esclusivamente nella omessa valutazione della situazione fondale” (pag. 17 del ricorso); che il motivo è infondato, giacchè, non ricorre nè la lamentata violazione dell’art. 112 c.p.c., nè la lamentata violazione dell’art. 2909 c.c.;

che, sotto il primo profilo, è sufficiente considerare che la domanda risarcitoria su cui la corte territoriale si è pronunciata era stata spiegata dalla sig.ra N. fin dall’atto introduttivo del giudizio; d’altra parte è noto che non incorre nella violazione dei principi di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e del tantum devolutum quantum appellatum il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado (cfr. Cass. 513/19);

che, sotto il secondo profilo, il Collegio osserva che sulle argomentazioni spese dal primo giudice in ordine ai profili di responsabilità dell’appaltatore non può essersi formato alcun giudicato giacchè, come è noto, il giudicato si forma sui capi autonomi di sentenza e non sulle argomentazioni che tali capi sorreggono (cfr. Cass. 4732/12 e Cass. 21566/17, nella quale ultima si precisa che “in tema di appello, la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dar luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, avendo risolto questioni controverse che, in quanto dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente ad altri, concorrano a formare un capo unico della decisione”);

che con il secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, si lamenta l’omesso esame del fatto storico, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla certificazione rilasciata dal progettista in ordine alla stabilità della fondazione; tale fatto, ad avviso del ricorrente, risulterebbe decisivo per escludere qualsiasi responsabilità dell’appaltatore e la corte territoriale avrebbe errato nel non trarre da tale fatto la conseguenza che l’appaltatore operava quale nudus minister;

che il motivo è inammissibile perchè la doglianza emergente dal suo sviluppo argomentativo consiste nel rilievo che la certificazione rilasciata dal progettista per escludere la instabilità del terreno fondale sarebbe stata valutata dalla corte territoriale “per la finalità di ricercare una diversa estensione dell’accaduto… anzichè… per valutare la antigiuridicità o meno della condotta dell’odierno ricorrente” (pag. 19, ultimo capoverso, del ricorso); il ricorrente cioè si duole, in sostanza, non dell’omesso esame di un fatto (l’avvenuta certificazione della stabilità del terreno fondale da parte del progettista), ma delle deduzioni che da tale fatto la corte territoriale ha ritenuto di dover trarre; la doglianza si risolve, dunque, in una contestazione di puro merito, in nessun modo riconducibile al paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

che con il terzo motivo si svolgono quattro distinte censure: la prima, riferita all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in relazione all’art. 132 c.p.c. ed all’art. 118 disp. att. c.p.c., denuncia la nullità della sentenza impugnata per non essere nella stessa indicate le conclusioni delle parti; la seconda, riferita all’art. 360 c.p.c., n. 5, lamenta l’omesso esame del fatto decisivo dell’inesistenza di un significativo aumento di peso derivante dalla sostituzione della preesistente copertura lignea con quella realizzata dall’appaltatore in latero-cemento; la terza e la quarta, entrambe riferite all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1669 c.c., lamentano l’errore in cui la corte territoriale sarebbe incorsa, per un verso, non rilevando che gli eventuali errori progettuali non potevano essere rilevati dall’appaltatore alla stregua del diligenza e della perizia dal medesimo esigibili e, per altro verso, addossando alle imprese E. l’onere di sostituirsi alle valutazione tecniche del progettista nell’apprezzamento di un progetto già corredato dalla certificazione del medesimo progettista circa l’idoneità geologica dell’area e la stabilità delle fondazioni, già approvato dalle autorità tecniche comunali e già ammesso al finanziamento pubblico;

che la prima censura (rubricata in ricorso 3.a), va disattesa alla stregua del principio che “la mancata o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una mera irregolarità formale, irrilevante ai fini della sua validità, salvo che abbia in concreto inciso sull’attività del giudice, traducendosi in tal caso in vizio con effetti invalidanti della sentenza stessa, per omessa pronuncia sulle domande o eccezioni delle parti, oppure per difetto di motivazione in ordine ai punti decisivi prospettati dalle parti” (così Cass. n. 18609/15);

nella specie, il vizio di omessa pronuncia non sussiste, non essendo tale vizio riferibile a conclusioni istruttorie e, d’altra parte, il vizio di omessa motivazione non risulta censurato nel rispetto del paradigma fissato dal vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

che la seconda censura (rubricata in ricorso 3.b), va disattesa perchè si risolve in una doglianza di puro merito: l’assunto della “irrilevanza di un aumento significativo di peso della copertura in laterocemento” (ricorso, pag. 22, penultimo capoverso) rappresenta un giudizio di fatto e non un fatto storico il cui omesso esame possa essere censurato in cassazione sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

che la terza e la quarta censura (rubricata in ricorso 3.c e 3.d) pongono anche esse questioni di puro merito, perchè non indicano quale sarebbe la regula juris esplicitamente enunciata o implicitamente applicata nell’impugnata sentenza in contrasto con il disposto dell’art. 1669 c.c., ma, in sostanza, si dolgono dell’apprezzamento di fatto della corte territoriale secondo cui il vizio progettuale che ha determinato i danni per i quali si controverte poteva, e quindi doveva, essere riconosciuto e segnalato dall’appaltatore;

che con il quarto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1655,1667 e 1669 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa disconoscendo che l’appaltatore aveva operata quale nudus minister e, conseguentemente, affermandone la responsabilità per i vizi progettuali dell’opera; nel mezzo di gravame si denuncia altresì la violazione dell’art. 115 c.p.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa non ponendo a fondamento della propria decisione le prove offerte dalla difesa E. e il fatto, mai contestato nè dalla committente nè dal progettista, che, se l’appaltatore avesse voluto eseguire lavori o sondaggi sulle fondazioni, la conseguenza per la committente sarebbe stata la perdita del finanziamento pubblico;

che con il quinto motivo di ricorso, riferito al n. 2 (recte: n. 3) dell’art. 360 c.p.c., si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1669 e 1227 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa trascurando la circostanza che la stabilità dell’area di fondazione aveva fatto oggetto di apposita certificazione (allegata dalla stessa committente alla richiesta di concessione edilizia); circostanza che, si argomenta nel mezzo di gravame, avrebbe dovuto indurre la corte territoriale ad escludere qualunque responsabilità dell’appaltatore o, quanto meno, a riconoscere un concorso di colpa della committente; il ricorrente sottolinea altresì la malafede della sig. N., deducendo che costei sarebbe stata edotta della instabilità fondazione, e, sotto altro aspetto, sostiene che l’obbligo dell’appaltatore di verificare la validità tecnica del progetto fornitogli dal committente risulterebbe attenuato quando, ancor prima della stipula dell’appalto, la regolarità e fattibilità dell’opera progettata sia stata certificata da un ingegnere o un geologo e sia stata trasmessa alla Pubblica Amministrazione a corredo di una richiesta di finanziamento;

che il quarto e il quinto motivo possono essere trattati congiuntamente, per la loro intima connessione, e vanno complessivamente giudicati inammissibili, perchè prospettano doglianze di merito, insuscettibili di considerazione nel giudizio di legittimità; che infatti, a dispetto della rubrica, nei suddetti motivi di ricorso non si indica quale sarebbe la regula juris esplicitamente enunciata o implicitamente applicata nell’impugnata sentenza in contrasto con le disposizioni di cui si lamenta la violazione, ma si censura l’accertamento di fatto operato in sentenza sulla mancata dimostrazione, da parte dell’appaltatore, delle circostanze che consentirebbero di qualificarlo come nudus minister;

che, inoltre, non risulta concludente il riferimento del quarto motivo all’art. 115 c.p.c., giacchè, secondo l’insegnamento di questa Corte, “in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione”;

che, infine, non merita condivisione neppure l’assunto che l’obbligo dell’appaltatore di verificare la validità tecnica del progetto fornitogli dal committente si attenuerebbe in presenza di certificazioni qualificate sulla fattibilità dell’opera, giacchè la presenza di tali certificazioni non modifica la natura dell’obbligazione dell’appaltatore come obbligazione di risultato, salva l’apprezzamento (che costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) che, in concreto, l’errore progettuale non sia palese e la relativa rilevazione esuli dalle cognizioni dell’appaltatore (cfr. Cass. 23524/17: “l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, nè l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori”);

che con il sesto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 2 (recte: n. 4), in relazione agli artt. 111 Cost. e 132 c.p.c., si denuncia l’apparenza della motivazione dell’impugnata sentenza, “in quanto appiattita sulle risultanze della c.t.u.”;

che il motivo va disatteso, giacchè la motivazione dell’impugnata sentenza non è apparente ma, al contrario, esprime chiaramente le ragioni, non condivisa dal ricorrente, della decisione; è fermo e risalente insegnamento di questa Corte, d’altra parte, che, per soddisfare all’obbligo della motivazione il giudice non e tenuto ad analizzare e confutare tutte le argomentazioni svolte dalle parti nè singolarmente tutte le risultanze del processo, essendo sufficiente che con l’esposizione e la valutazione degli elementi apparsigli più attendibili e pertinenti al thema decidendum dia adeguata ragione del proprio convincimento sulle realtà processuali e sulle conseguenze logiche e giuridiche che ha creduto di ricavarne (si veda Cass. n. 600/68);

che con il settimo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 2 (recte: n. 3), in relazione agli artt. 2056,1223,1226 e 1227 c. c., il ricorrente lamenta che la corte territoriale abbia omesso di esaminare le doglianze, da lui prospettate nel sesto e settimo motivo di appello, concernenti la liquidazione del danno riconosciuto dal primo giudice alla sig.ra N. e, in particolare, la doglianza secondo la quale i conteggi operati dal c.t.u., e recepiti dal tribunale, comprendevano erroneamente il valore di lavori (tra cui, in particolare, le opere di finitura ed il rifacimento degli impianti) estranei al contratto di appalto;

che il motivo si palesa inammissibile perchè, pur denunciando il vizio di violazione di legge (senza, peraltro, indicare quale sarebbe la regula juris espressamente enunciata o tacitamente applicata dalla corte territoriale in contrasto con le disposizioni di cui lamenta la violazione), lamenta, in sostanza, un vizio di omessa pronuncia su taluni profili dei motivi di appello (si veda pag. 33, terzo capoverso, del ricorso: “si era richiesto al giudice del gravame, senza esserne tuttavia ascoltati, di valutare il fatto che il rifacimento di opere non previste nell’appalto avrebbe comportato alla N. di beneficiare di una casa perfettamente restaurata” e del ricorso, pag. 34, primo capoverso: “Ha omesso invece il Giudice a quo di esaminare il profilo del motivo relativo alla contabilizzazione dei lavori che non potevano considerarsi ripristinatori del danno subito”); anche la doglianza di omessa pronuncia, tuttavia, va giudicata inammissibile, perchè non corredata da alcun univoco riferimento alla nullità della decisione (vedi SSUU 17931/13:” Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge”);

che quindi, in definitiva, il ricorso va rigettato, per l’inammissibilità o l’infondatezza di tutti i motivi in cui esso si articola;

che le spese seguono la soccombenza;

che deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2019.

In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato memorie.

L’unico motivo di ricorso denuncia ex art. 391 bis ed ex art. 395 c.p.c., n. 4, un errore di fatto risultante dagli atti e dai documenti della causa.

Si deduce che, con il primo motivo di ricorso avverso la sentenza di appello, il ricorrente aveva lamentato che l’ing. Cocci, direttore dei lavori, di intesa con la committente aveva emesso un certificato con valore fidefaciente in base al quale non era necessario alcun intervento sulle fondazioni, al fine di conseguire il finanziamento regionale. Ne deriva che l’ E. non aveva alcun motivo per ritenere che tale attestazione fosse falsa, e quindi non aveva alcun obbligo di intervenire sulle fondazioni.

Tale punto non è stato in alcun modo esaminato dalla ordinanza di questa Corte e ciò concreta un’errata/mancata percezione di un fatto materiale oggettivamente ed immediatamente rilevabile.

La doglianza era stata poi reiterata nel secondo motivo di ricorso nel quale si lamentava che la Corte distrettuale non avesse esaminato tale certificazione, che era idonea ad escludere qualsivoglia responsabilità dell’appaltatore.

Questi non poteva intervenire sulle fondazioni e ciò a prescindere dal fatto che la sua posizione fosse o meno quella di nudus minister.

Su tale deduzione nulla si legge nel provvedimento impugnato.

Il ricorso per revocazione è inammissibile.

La doglianza non contesta che tutti i motivi di ricorso a suo tempo proposti siano stati esaminati e decisi nell’ordinanza oggi impugnata, ma deduce che la soluzione alla quale sarebbe giunta la Corte non avrebbe tenuto conto della rilevanza che invece assumeva nei rapporti tra le parti, e quindi ai fini dell’individuazione della responsabilità dell’appaltatore, una certificazione rilasciata dal progettista e direttore dei lavori, anche al fine di non precludere la perdita del finanziamento regionale, che aveva attestato la superfluità di interventi sulle fondazione.

Per l’effetto l’appaltatore non avrebbe potuto contestare tale certificazione, sia perchè avente carattere fidefaciente sia perchè, operando altrimenti, avrebbe pregiudicato l’interesse della committente a conservare le erogazioni pubbliche.

La decisione impugnata ha ribadito la correttezza della decisione di appello, quanto all’affermazione di responsabilità dell’ E., anche in relazione alla “omessa valutazione della situazione fondale”, ribadendo, in occasione della disamina del secondo motivo, come non potesse inficiare la correttezza della sentenza d’appello la dedotta omessa disamina della certificazione de qua, posto che l’invito a valutare la decisività di tale documento, in quanto ne era stata omessa la disamina, denuncia non già l’omesso esame di un fatto, quanto la rilevanza sul piano valutativo delle conseguenze che se ne dovevano trarre, rientrando quindi nelle prerogative riservate al giudice di appello.

Così precisati i termini della questione, come detto, si palesa con evidenza l’inammissibilità della doglianza del ricorrente in questa sede proposta che mira nella sostanza a sollecitare una nuova decisione di merito, non già prospettando l’esistenza di un errore di fatto revocatorio, ma piuttosto, in maniera evidente, un errore di giudizio, in quanto non sarebbe stata adeguatamente apprezzata la valenza della certificazione ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’appaltatore.

Depone per l’inammissibilità in primo luogo il principio secondo cui (Cass. n. 9527/2019), ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis c.p.c., rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; pertanto, non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice.

Nella fattispecie, i motivi di ricorso, come emerge dalla stessa prospettazione del ricorrente, sollecitavano una diversa valutazione della certificazione, sicchè proprio la rilevanza della stessa ai fini della soluzione da dare al caso sottoposto all’esame dell’autorità giudiziaria, costituiva un punto controverso sul quale questa Corte ebbe a pronunciarsi.

Inoltre, poichè l’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, deve consistere in una disamina superficiale di dati di fatto che abbia quale conseguenza l’affermazione o la negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, la domanda di revocazione è inammissibile ove vengano dedotti errori di giudizio concernenti motivi di ricorso esaminati dalla sentenza della quale è chiesta la revocazione (Cass. n. 27451/2013).

Infatti (cfr. Cass. n. 22868/2012) in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia incorsa in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati. Ne consegue che non risulta viziata da errore revocatorio la sentenza della Corte di cassazione nella quale il collegio abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso per motivi attinenti al merito delle questioni ed a valutazioni di diritto, e segnatamente alla irrilevanza di una produzione documentale, vertendosi, in tali casi, su pretesi errori di giudizio della Corte, con conseguente inammissibilità del ricorso per revocazione.

Ne deriva che risulta inammissibile, come nella vicenda in esame, pur a fronte della proposizione di motivi di ricorso fondati sulla rilevanza della certificazione, rilevanza invece esclusa dalla decisione del giudice di legittimità (come chiaramente ricavabile dalla lettura dell’ordinanza impugnata), sostenere che sia un errore revocatorio la non soddisfacente comprensione del contenuto del documento e degli effetti che lo stesso avrebbe prodotto ai fini dell’accertamento della responsabilità del ricorrente, ove invece correttamente apprezzato.

La censura odierna del ricorrente lungi dal denunciare un errore di fatto revocatorio, si sostanzia in una critica al modo in cui questa Corte avrebbe in precedenza valutato i motivi di ricorso, il che costituisce in maniera evidente una denuncia di errori di giudizio, non suscettibile di essere dedotta ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. (Cass. n. 8615/2017), e ciò anche quando si assuma che non siano state adeguatamente considerate alcune delle argomentazioni contenute nell’atto di impugnazione (Cass. n. 3760/2018; Cass. S.U. n. 31032/2019, secondo cui deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perchè in tal caso è dedotto non già un errore di fatto – quale svista percettiva immediatamente percepibile bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Nulla a disporre quanto alle spese nei confronti della parte rimasta intimata.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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