Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16595 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/06/2021, (ud. 14/04/2021, dep. 11/06/2021), n.16595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28740-2019 proposto da:

D.P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TREMITI, 10,

presso lo studio dell’avvocato MARCO LUCCHETTI, che lo rappresenta e

difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

N.M.A.;

– intimata –

avverso l’ordinanza n. 11477/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 30/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/04/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

D.P.L. impugna per revocazione sulla base di un unico motivo l’ordinanza di questa Corte n. 11477 del 30/4/2019. L’intimata N.M.A. non ha svolto difese in questa fase.

Il ricorrente ha depositato memorie in prossimità dell’udienza. La decisione gravata nella controversia tra N.M.A. e l’odierno ricorrente ha così statuito.

” F.R., con atto in data 3-10-2002, conferiva procura speciale a D.P.L., affinchè questi potesse vendere, per suo conto e nome suo, un terreno sito in (OMISSIS). Con contratto del (OMISSIS), D.P.L., in esercizio della suddetta procura, vendeva il terreno alla società Al.ma.ro. Immobiliare S.r.l. per il prezzo di Euro 184.000,00.

In data (OMISSIS) F.R. decedeva.

La figlia N.M.A., che aveva accettato l’eredità della “de cuius” in data (OMISSIS), chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Roma, decreto ingiuntivo nei confronti del D.P. per la somma di Euro 61.333,34 – oltre interessi legali e spese corrispondenti ad un terzo del prezzo di vendita, in ragione del suo diritto di successione rispetto ai due fratelli N.G. e No.An.Gi..

D.P.L. proponeva opposizione e il Tribunale di Roma, con sentenza del 12-6-2008, confermava il decreto ingiuntivo e condannava l’opponente alle spese. D.P.L. proponeva appello, chiedendo la riforma integrale della sentenza impugnata.

N.M.A. si costituiva, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 6150 del 2013, rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese del giudizio. Secondo la Corte distrettuale, le richieste istruttorie avanzate dall’appellante non sono state specificate con l’atto di appello. Infondata era la tesi sostenuta dall’appellante del diretto acquisto dell’immobile in suo favore dalla venditrice F. con il rilascio della procura a vendere, al fine di evitare il doppio passaggio di proprietà in favore dell’acquirente finale non essendo stata offerta la relativa prova. Neppure fondata era la deduzione che esso appellante fosse esonerato dall’obbligo di rendiconto in virtù della clausola di promessa di “rato e valido” del suo operato, contenuto nella procura, stante che detta clausola risultava dettata, soltanto, allo scopo di considerare ratificato l’operato del mandatario, ai sensi dell’art. 1711 c.c., e non poteva assumere il significato di escludere l’obbligo di rendere il conto della trasmissione alla parte mandante del corrispettivo riscosso.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da D.P.L. con ricorso affidato a due motivi. N.M.A. ha resistito con controricorso.

Ragioni della decisione

1. = Con il primo motivo di ricorso D.P.L. lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1713 c.c. per avere la Corte distrettuale applicato, al caso in esame, la normativa di cui all’art. 1713 c.c., ovvero, l’obbligo del rendiconto in capo all’odierno ricorrente, non tenendo conto che quell’obbligo era stato escluso esplicitamente dalle parti e, comunque, sarebbe superato dalla circostanza di aver corrisposto direttamente alla F. il corrispettivo della vendita.

1.1. = Il motivo è inammissibile perchè si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali e/o di una diversa ricostruzione fattuale della fattispecie concreta, e/o in una diversa interpretazione di una clausola dell’atto di procura non proponibile nel giudizio di cassazione.

Infatti, va qui osservato che la ricostruzione della fattispecie concreta effettuata dalla Corte di merito, quale ipotesi di mandato a vendere con l’obbligo del mandatario di rendiconto ai sensi dell’art. 1713 c.c., è del tutto coerente con i dati processuali e, cioè: con l’esistenza di una procura speciale a vendere e con l’esistenza di una successiva vendita del procuratore ad un terzo soggetto.

A) Intanto, il ricorrente non tiene conto che la Corte distrettuale ha chiarito che D.P.L. non ha fornito la prova del versamento alla mandante, quando questa era in vita, del corrispettivo della vendita, che soltanto asseriva di aver reso nella mani di quella. Non solo, ma, neppure, in questa sede, il ricorrente indica gli elementi da cui dovrebbe risultare provato l’avvenuto versamento del corrispettivo della compravendita nelle mani della de cuius, anzi tale circostanza appare semplicemente affermata (pag. 6 del ricorso).

B) Il ricorrente, a sua volta, pur affermando l’esistenza di “una dispensa dall’obbligo del rendiconto contenuta nella procura” omette di riportare il contenuto dell’atto di procura che consentirebbe di apprezzare l’esistenza di quella clausola. Tuttavia, la censura non è neppure apprezzabile dovendosi considerare che la Corte distrettuale ha avuto cura di specificare che la deduzione, secondo cui l’attuale ricorrente fosse esonerato dall’obbligo del rendiconto, era infondata perchè la clausola “rato e valido”, contenuta nella procura, risultava dettata soltanto allo scopo di considerare ratificato l’operato del mandatario, ai sensi dell’art. 1711 c.c. e non assumeva significato negoziale di escludere l’obbligo di rendere conto della trasmissione alla parte mandante del corrispettivo riscosso per la vendita.

Ed è questa, l’osservazione della Corte distrettuale, comunque, un’interpretazione di clausola negoziale non censurabile nel giudizio di legittimità, dato che l’attività finalizzata a determinare il significato di un contratto o di una sua singola clausola, è una tipica attività di accertamento in fatto, istituzionalmente riservata al Giudice del merito, censurabile in cassazione solo e nell’ipotesi in cui il Giudice del merito abbia violato uno dei canoni interpretativi di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., oppure abbia applicato in modo scorretto quei canoni, se tale risulta dalla motivazione della sentenza, e tanto non ricorre nel caso in esame.

2. = Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe ritenuto non depositato in atti il presunto contratto preliminare intercorso tra lo stesso e la F. senza tener conto che ripetutamente il D.P. aveva ripetutamente parlato del deposito del contratto preliminare.

2.1. = Il motivo è inammissibile. a) Il ricorrente, pur ribadendo di aver depositato il contratto preliminare di cui si dice, tuttavia, non indica e/o non riporta il contenuto dello stesso (e lo avrebbe dovuto fare nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione), al fine di dar modo a questa Corte di valutare la valenza e l’effettiva incidenza nella ricostruzione del significato del contratto di cui si dice. Il ricorrente, per altro, si limita inammissibilmente, a dichiarare di aver segnalato nei gradi del giudizio di merito l’esistenza del contratto preliminare di cui si dice, senza, per altro, specificare in quale parte dell’incartamento processuale, quel contratto avrebbe potuto essere rinvenuto.

b) E, comunque, ove il contratto di cui si dice risulti nell’incartamento del processo, come ritiene il ricorrente, e il Giudice non l’abbia riscontrato, l’ipotesi integrerebbe gli estremi di un errore revocatorio e, pertanto, lo strumento per far valere tale errore non sarebbe quello del ricorso per cassazione.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione a favore di N.M.A., che vengono liquidate con il dispositivo.

Si dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla parte contro ricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 5.000,00, di cui Euro 200 per esborsi oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori, come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile di questa Corte di Cassazione, il 9 Gennaio 2019″.

L’unico motivo di ricorso denuncia ex art. 391 bis c.p.c. ed ex art. 395 c.p.c., n. 4, un errore di fatto risultante dagli atti e dai documenti della causa ed in forza del quale la decisione è stata fondata sulla supposta inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita.

Si deduce che la sentenza gravata ha condiviso la soluzione del giudice di merito che aveva negato tutela alle ragioni del ricorrente sul presupposto che non fosse stato prodotto in atti il contratto preliminare intercorso con la dante causa dell’attrice, affermando che anche in sede di legittimità il ricorrente non aveva indicato gli elementi da cui dovrebbe risultare provato l’avvenuto versamento del corrispettivo della compravendita nella mani della de cuius, essendo una circostanza meramente affermata.

In realtà il contratto preliminare era stato depositato dall’opponente già nel primo grado di giudizio, come allegato n. 1 alla memoria di cui all’art. 184 c.p.c. del 10 luglio 2006, e tale circostanza era stata ribadita dal difensore del ricorrente anche nei successivi gradi di giudizio.

Il ricorso è inammissibile in quanto non si confronta con il reale contenuto della decisione impugnata.

In disparte il profilo concernente la mancata censura dell’ordinanza gravata quanto all’affermazione in essa contenuta secondo cui in realtà l’errore revocatorio qui denunziato sarebbe stato commesso, ove sussistente, dal giudice di appello, sicchè, ad essere oggetto di revocazione avrebbe dovuto essere la decisione della Corte d’Appello di Roma, occorre in primo luogo evidenziare che è preclusa la possibilità di denunciare l’errore di fatto revocatorio (nella specie consistente, a detta del ricorrente, nell’avere sostenuto la mancata produzione di copia del contratto preliminare relativo all’immobile poi alienato dal D.P., laddove l’avvenuta produzione era positivamente stabilita), ove il fatto stesso abbia costituto un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.

Sicchè è nella stessa prospettazione del ricorrente che, alla luce del secondo motivo di ricorso a suo tempo proposto avverso la sentenza della Corte d’Appello, la decisione qui gravata sarebbe stata sollecitata a statuire in merito al riscontro dell’effettiva produzione del documento in oggetto (nel motivo di ricorso, infatti, si deduceva che la produzione del contratto emergeva dal contenuto dell’atto di appello e della memoria conclusionale in appello).

Ma ancor più risolutiva appare la considerazione che l’ordinanza impugnata, in realtà non ha negato l’avvenuta produzione del documento nelle precedenti fasi di merito, ma ha censurato il mancato rispetto del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto non ne sarebbe stato indicato o riportato il contenuto, al fine di dar modo alla Corte di valutare la valenza e l’effettiva incidenza nella ricostruzione del significato del contratto di cui si controverte (il secondo motivo di ricorso lamentava infatti, un omesso esame di fatto decisivo, rappresentato dal contratto, validamente prodotto).

Inoltre, si imputa al ricorrente, sempre in relazione al rispetto dei requisiti formali prescritti per la formulazione del ricorso, di essersi limitato a dichiarare di avere segnalato nei gradi di merito l’esistenza del contratto preliminare, senza peraltro specificare in quale parte dell’incartamento processuale quel contratto avrebbe potuto essere rinvenuto.

Risulta evidente che la decisione abbia fatto applicazione del principio reiteratamente affermato da questa Corte secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass. S.U. n. 34469/2019; Cass. n. 29093/2018; Cass. n. 27475/2017).

Il motivo è stato dichiarato inammissibile per ragioni legate al mancato rispetto della norma di rito quanto alla rituale predisposizione del contenuto del mezzo di impugnazione, essendo a tal fine irrilevante stabilire se il contratto preliminare fosse stato o meno depositato in sede di merito, rilevando unicamente che il ricorrente non aveva soddisfatto le condizioni poste dalla norma processuale per permettere alla Corte di accedere all’esame della doglianza.

Manca quindi la concreta affermazione circa il mancato deposito del documento nei precedenti gradi di giudizio, il che esclude evidentemente che ricorra l’ipotesi di errore revocatorio denunziato.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Nulla a disporre quanto alle spese nei confronti della parte rimasta intimata.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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