Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16595 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. II, 05/08/2016, (ud. 14/07/2016, dep. 05/08/2016), n.16595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25537-2012 proposto da:

C.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentato e difeso

dagli Avv. GAETANO NAPOLITANO e CINZIA NAPOLITANO, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.F., V.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, V.S.TOMMASO D’AQUINO 80, presso lo studio dell’avvocato

SEVERINO GRASSI, che li rappresenta e difende giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 469/2012 del TRIBUNALE di AVELLINO, depositata

il 16/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Cinzia Napolitano per il ricorrente e l’Avvocato

Severino Grassi per i controricorrenti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.F. e V.G. proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 320/02 con il quale il Giudice di Pace di Avellino li aveva condannati al pagamento in favore di C.G. del compenso per prestazioni professionali rese nell’interesse degli ingiunti. In dettaglio, oltre ad eccepire l’incompetenza per territorio del giudice adito, invocando la competenza del Giudice di Pace di Montoro Superiore, deducevano il difetto di legittimazione passiva del B., in quanto non proprietario dell’immobile relativamente al quale era stata prestata l’attività professionale, ed in ogni caso l’infondatezza nel merito.

All’esito dell’istruttoria, il giudice adito, con la sentenza n. 342 del 10 febbraio 2003, rigettava l’opposizione, e contro tale decisione gli opponenti proponevano appello al Tribunale di Avellino.

Assumevano che in realtà nessun incarico era stato conferito al ricorrente finalizzato alla ristrutturazione di un immobile, in quanto era stato officiato unicamente di provvedere alla sistemazione degli interni, e ciò in un diverso periodo, essendo stato in ogni caso interamente soddisfatto delle proprie pretese, in parte con un assegno ed in parte in contanti.

Ribadivano le difese di merito già svolte in primo grado nonchè l’eccezione di incompetenza per territorio.

Si costituiva l’appellato che concludeva per il rigetto del gravame.

Ammessi gli interrogatori formali delle parti ed assunta la prova testimoniale, il Tribunale di Avellino, con la sentenza n. 469 del 16 marzo 2012, accoglieva l’appello, revocando il decreto ingiuntivo, con la condanna del C. al rimborso delle spese del doppio grado.

Dopo aver ribadito la correttezza della decisione del giudice di primo grado quanto alla competenza, rilevava che le prove testimoniali avevano confermato la bontà della tesi degli appellanti.

Infatti, l’edificio della V. era stato oggetto di demolizione e successiva ricostruzione, e gli incarichi professionali relativi a tali lavori, finanziati ai sensi della L. n. 219 del 1981, erano stati svolti da altro professionista, ing. B.M., come confermato in sede testimoniale dalle maestranze dell’impresa che aveva curato la materiale esecuzione delle opere di ricostruzione.

Nessuno aveva mai riferito della presenza del C. sul cantiere ed anche le pratiche amministrative presentate al Comune non recavano traccia dell’intervento dell’appellato.

Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Avellino ha proposto ricorso C.G. articolato in quattro motivi.

B.F. e V.G. hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione degli artt. 2909 e 2733 c.c.

Deduce il ricorrente che in realtà il conferimento dell’incarico in suo favore emergeva dalle dichiarazioni confessorie rese dalla V. in sede di libero interrogatorio. Inoltre sarebbe stata trascurata l’ulteriore circostanza che, con l’atto di appello, si era negato il conferimento al C. di un incarico di ristrutturazione, ma non anche quello di curare la sistemazione interna dell’immobile, dovendosi ritenere formato sul punto il giudicato.

Con il secondo morivo si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, che la sentenza sarebbe nulla in quanto priva di motivazione, avendo mostrato adesione, in maniera acritica, alla ricostruzione dei fatti fornita dai testi di parte avversa.

Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata ai sensi dei nn. 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c., in relazione alla pretesa violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c.

Il Tribunale, infatti, avrebbe attribuito alla parte un bene diverso rispetto a quello richiesto, in particolare pronunciandosi su di una domanda diversa da quella proposta.

Ed, infatti già il giudice di primo grado aveva chiarito che al C. era stato conferito un incarico per la ristrutturazione interna del bene, e tale affermazione non era stata contestata con l’atto di appello.

Inoltre, la decisione impugnata avrebbe del tutto omesso di prendere in considerazione la dichiarazione confessoria resa dalla V. all’udienza del 27/11/02, dando esclusivo rilievo alle prove testimoniali.

Infine con il quarto motivo di ricorso si lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, in quanto avendo il Tribunale dato credito unicamente alle deposizioni dei testi escussi in grado di appello, pervenendo quindi all’affermazione secondo cui non era stato conferito alcun incarico al ricorrente, in realtà avrebbe omesso di prendere in esame le dichiarazioni rese dalla stessa appellante in primo grado, gli esiti della prova raccolta dinanzi al giudice di pace, e la produzione documentale, che invece deponevano per l’effettività dell’incarico professionale conferito al C..

A ciò deve poi aggiungersi che le prove testimoniali sarebbero state rese da soggetti di scarsa attendibilità, e che hanno riferito di fatti avvenuti in epoca anteriore all’effettivo svolgimento dell’attività professionale per la quale viene richiesto il pagamento del compenso.

2. I motivi, attesa l’intima connessione che li avvince, possono essere esaminati congiuntamente, occorrendo però rilevare che, sebbene con gli stessi si denunzino errores in iudicando ovvero in procedendo, in realtà prospettano censure riconducibili unicamente ad un vizio motivazionale.

Ed, invero, deve sicuramente escludersi, in ragione del contenuto della sentenza impugnata, che le seppur sintetiche argomentazioni del giudice di appello possano determinare la nullità della sentenza per assenza della motivazione, così come del pari deve escludersi la pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c..

Ed, infatti, assume il ricorrente che la difesa delle controparti non aveva in alcun modo negato che un incarico fosse stato conferito al professionista, laddove invece la sentenza gravata, nell’accogliere l’appello, aveva affermato l’inesistenza di qualsivoglia incarico, accogliendo quindi un’eccezione non proposta.

Ed, invero, posto che, come si dirà in prosieguo, la effettiva materia controversa tra le parti, è quella concernente l’individuazione dell’incarico relativamente al quale è stato richiesto il decreto ingiuntivo (dibattendosi se esso concerna la ristrutturazione dell’immobile ovvero la sola esecuzione di lavori di sistemazione interna), l’addebito mosso al giudice di appello, lungi dal configurarsi come idoneo a determinare la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto c pronunciato, involge piuttosto la corretta interpretazione delle eccezioni sollevate dagli opponenti.

A tal proposito occorre richiamare il costante orientamento di questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 1545/2016) per il quale l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, la cui statuizione, ancorchè erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione dovesse ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato la erroneità di quella motivazione, sicchè, in tal caso, il dedotto errore non si configura come “error in procedendo”, ma attiene al momento logico dell’accertamento in concreto della volontà della parte.

Infine appare evidente che le contestazioni mosse dal C. alla valutazione dei mezzi istruttori ed alla rilevanza attribuita ad alcuni di essi, a discapito di altri, investe direttamente la ricostruzione del fatto, attività riservata esclusivamente al giudice di merito, ma suscettibile, in base alla formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 applicabile ratione temporis, di essere censurata esclusivamente sotto il profilo dell’insufficienza ovvero dell’illogicità della motivazione.

Ed, invero, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile.

Reputa il Collegio che le doglianze del ricorrente siano fondate.

Ed, invero a fronte della specificazione contenuta in ricorso monitorio dell’incarico professionale, sebbene indicato come finalizzato alla ristrutturazione dell’immobile, ma chiaramente riferibile, anche in ragione della documentazione allegata in sede monitoria, all’opera di adeguamento degli interni, relativamente ad un immobile già in precedenza oggetto di interventi di ristrutturazione, così qualificati in senso proprio ed alla luce della disciplina urbanistica, e sebbene, in considerazione del complessivo tenore delle difese degli opponenti e delle risposte fornite in sede di interrogatorio libero, non fosse contestata l’esistenza di un rapporto professionale con l’opposto (assumendosi peraltro che le pretese di questi sarebbero state già integralmente soddisfatte mediante il versamento di una somma, sebbene di importo inferiore rispetto a quella richiesta dall’odierno ricorrente), la decisione impugnata, prescindendo in toto dalla disamina degli elementi che avrebbero dovuto condurlo ad una puntuale interpretazione della domanda, si è soffermato unicamente sul termine utilizzato dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio. Ed, infatti, sulla base di un approccio essenzialmente formalistico, e legato ad una interpretazione fondata sulla sola specifica valenza semantica del termine “ristrutturazione” contenuto nel ricorso monitorio, ma omettendo di verificare, anche alla luce del tenore complessivo delle difese degli opponenti che, come detto, non negavano, quanto meno la V., l’esistenza di un incarico professionale conferito al C., il giudice di appello è pervenuto al rigetto della domanda, offrendo una complessiva valutazione del quadro probatorio partendo dal presupposto, assolutamente non scontato, che la ristrutturazione cui faceva riferimento il C., fosse quella in senso tecnico involgente anche la necessità di provvedimenti amministrativi, traendo da tale fallace premessa, il convincimento che la effettiva ristrutturazione fosse stata eseguita da un professionista diverso dal C. e peraltro in epoca diversa.

Viceversa nell’interpretare la domanda, non poteva attestarsi solo sul termine di cui si era avvalso la parte, ma avrebbe dovuto verificare, anche in ragione della previa collocazione cronologica dell’intervento ascrivibile al C. e della natura delle prestazioni eseguite, così come evincibili anche dalla documentazione posta a supporto della pretesa monitoria, se il richiamo alla ristrutturazione dovesse essere inteso in maniera atecnica, come comunque riferibile, come appunto sostenuto dal ricorrente, ad interventi limitati alla sola sistemazione interna dell’appartamento, per i quali si poneva anche come superflua la necessità di interessare la P.A. (circostanza questa che invece è stata valorizzata in chiave negativa per la posizione del C. dal giudice di appello).

In tale prospettiva deve ritenersi che l’interpretazione della domanda non si connoti per coerenza e sufficienza argomentativa, e che tale carenza motivazionale si sia poi ripercossa anche sulla successiva valutazione del materiale probatorio, determinando quindi la fondatezza delle censure mosse sul punto dal ricorrente.

Il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata con rinvio al Tribunale di Avellino, in diversa composizione, per un nuovo esame del merito, che tenga conto delle sollecitazioni che precedono.

3. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente grado.

PQM

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese, al Tribunale di Avellino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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