Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16592 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/06/2021, (ud. 14/04/2021, dep. 11/06/2021), n.16592

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35889-2018 proposto da:

G.L., G.E., rappresentati e difesi

dall’avvocato VINCENZO FIORILLO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

D.S.M., DE.BA.MA., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA LUCREZIO CARO 67, presso lo studio dell’avvocato MONICA

SCHIPANI, rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSANDRO BONIFACIO

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

M.V.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 905/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 20/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

14/04/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie dei ricorrenti.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

M.V. e M.C. convenivano in giudizio la sorella V., deducendo che, a seguito di successione testamentaria del padre M.G., erano comproprietarie di un fondo in Castellabate località Lago con retrostanti fabbricati rurali, avendo in precedenza provveduto ad assegnarsi la proprietà di altri beni caduti in successione, conformemente alle volontà testamentarie. Chiedevano pertanto procedersi alla divisione dei beni tuttora indivisi.

Si costituiva la convenuta che contestava l’esistenza di una divisione bonaria, ed in via riconvenzionale chiedeva procedersi ad una nuova divisione comprendente tutti i beni appartenenti al genitore.

A seguito della morte della convenuta, si costituivano i suoi eredi G.E. e G.L. che aderivano alle difese della madre.

Ammessa CTU, il Tribunale di Vallo della Lucania, con la sentenza non definitiva n. 423/2008, dichiarava aperta la successione e valida ed efficace la scrittura privata di divisione parziale sottoscritta dalle parti in data 24/6/1993, rimettendo la causa sul ruolo per il prosieguo dell’istruttoria.

Si costituiva De.Bo.Ma., quale erede della defunta madre M.C., ed all’esito di una seconda CTU, il Tribunale adito, con la sentenza n. 345/2013, dichiarava esecutivo il progetto di divisione redatto dall’ausiliario quanto ai beni non oggetto di assegnazione diretta testamentaria.

La Corte d’Appello di Salerno, con la sentenza n. 905 del 20/6/2018, ha rigettato l’appello proposto dai germani G. avverso entrambe le sentenze del Tribunale.

Quanto alla contestazione circa la validità della scrittura del 24/6/1993, la Corte distrettuale osservava che il de cuius nel testamento, oltre a designare le tre figlie quali uniche eredi, aveva anche assegnato vari immobili a ciascuna di esse, e che tale assegnazione prescindeva dall’eguaglianza di valore dei beni attribuiti.

Con la scrittura invocata dalle attrici, le sorelle avevano provveduto, con l’ausilio di un tecnico, a specificare le generiche previsioni del de cuius ed ad individuare in concreto i beni assegnati singulatim, beni in relazione ai quali era esclusa la stessa insorgenza di una comunione.

In questa parte la scrittura non aveva carattere divisionale ma era un’operazione meramente esecutiva delle attribuzioni testamentarie, mentre aveva contenuto divisionale in relazione al riparto di alcuni dei beni non assegnati dal de cuius, quali l’appartamentino in Castellabate ed il lastrico solare.

In relazione al secondo motivo di appello che, in relazione alla divisione del terreno, lamentava che le quote fossero eguali, senza invece tenere conto anche del diverso valore dei beni già assegnati in testamento, la Corte rilevava che effettivamente nel testamento il fondo era stato assegnato in pari quote alle tre sorelle, così che per dedurre la differenza di valore dei beni ricevuti dall’appellante all’esito del riparto del patrimonio, la stessa avrebbe dovuto proporre azione di riduzione, denunciando la lesione della sua quota di riserva, domanda che però non era stata avanzata.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione G.E. e G.L. sulla base di due motivi, illustrati da memorie.

De.Bo.Ma. e D.S.M., quale erede di M.V., deceduta nelle more del giudizio di appello, hanno resistito con controricorso.

Il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4, denuncia la violazione dell’art. 111 Cost e dell’art. 132 c.p.c.

Si deduce che la sentenza di appello ha reputato che la scrittura privata del 24/6/1993 fosse in parte un negozio di accertamento della già compiuta divisione del testatore ed in parte una divisione dei beni rimasti in comunione, senza motivare sulle ragioni in base alle quali è pervenuta a tale conclusione.

La scrittura in esame, invece, è pervenuta alla divisione prescindendo dall’esistenza del testamento, considerando comuni non solo i beni assegnati dal de cuius ma anche quelli dal medesimo non espressamente contemplati come oggetto di assegnazione individuale.

Manca una motivazione circa le ragioni per le quali si è escluso che la scrittura avesse dato vita ad una divisione ex novo.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 1362 c.c. con riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si assume che l’interpretazione della scrittura privata alla quale è pervenuta la Corte di merito confligge con l’effettivo tenore della medesima atteso che, alla luce delle espressioni letterali utilizzate dalle contraenti, doveva reputarsi che, anzichè voler concludere due negozi, di cui uno di accertamento ed uno di divisione, intendevano in realtà procedere ad un’unica divisione comprensiva di tutti beni in vita appartenenti al de cuius.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

Occorre ricordare, quanto alla denuncia di nullità della sentenza per la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, che ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dalla L. n. 134 del 2012, il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata così sostituita la precedente formulazione (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio). La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. 8053/2014). Pertanto, non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorietà delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio è deducibile quale violazione della legge processuale ex art. 132 c.p.c.).

Nel caso in esame, alla luce del tenore della sentenza impugnata, deve escludersi che ricorra una delle situazioni che, come individuate dalle Sezioni Unite, possa condurre alla nullità della sentenza.

Il ragionamento dei giudici di merito, connotato da logicità e coerenza intrinseca, partendo dal contenuto dell’atto di divisione, e tenendo conto della volontà espressa nella scrittura privata del 24/6/1993, ha ritenuto che l’atto avesse una duplice funzione, in quanto volto da un lato a correttamente individuare i beni che il testatore aveva lasciato in proprietà individuale ad ognuna delle tre figlie, senza però individuarli specificamente nei loro identificativi sia catastali che grafici, e dall’altro a procedere ad una (parziale) divisione di alcuni dei beni che invece erano stati attribuiti in proprietà individuale alle tre sorelle M.. Nè tale motivazione risulta censurabile sotto il diverso profilo della violazione delle regole di ermeneutica contrattuale.

A tal fine va ricordato che costituisce principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimità quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 c.c. e ss., e sulla (in) coerenza e (il)logicità della motivazione addotta (cosi, tra le tante, Cass., Sez. 3, 10 febbraio 2015, n. 2465): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che non può trovare ingresso la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice a quo.

Nella sostanza il ricorso lungi dall’evidenziare una ben precisa violazione delle regole di interpretazione del contratto, atteso anche il richiamo generico alle norme a tal fine dettate dal codice civile, si è limitato a riportare il contenuto della scrittura, sollecitando una diversa lettura del contratto, alternativa a quella offerta dal giudice di merito, mostrando in tal modo come la doglianza più che volta a denunciare un errore di diritto sia finalizzata a sollecitare un diverso apprezzamento di merito, risultato questo non conseguibile in sede di legittimità.

Nè si palesa l’assoluta implausibilità della soluzione ermeneutica alla quale è approdata la Corte distrettuale.

Infatti, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte a mente della quale (Cass. n. 6595/1988) non osta al ricorrere della divisione fatta dal testatore, la circostanza che il de cuius, in relazione alla disposizione di fondi rustici, faccia riferimento a beni che non siano già stati distaccati sul terreno, ma si limiti a descriverne la superficie ed i confini, cosicchè gli eredi debbano compiere soltanto una attività esecutiva consistente nel riportare sul terreno e nelle planimetrie i dati letterali relativi alla individuazione dei beni oggetto del lascito testamentario (conf. Cass. n. 2210/1976).

E proprio in relazione a tale ipotesi, nella quale si impone agli eredi il compimento di un’ulteriore attività esecutiva ed attuativa delle volontà testamentarie, questa Corte ha affermato che (Cass. n. 22183/2014) l’atto con il quale gli eredi individuano i beni immobili oggetto di un testamento olografo, specificando i relativi dati catastali, non esaurisce la propria causa nella strumentalità alla trascrizione, in quanto definisce il contenuto delle disposizioni testamentarie, svolgendo la funzione, tipica del negozio di accertamento, di ricognizione del contenuto del precedente negozio dispositivo, e determina l’effetto dell’attribuzione, in favore di ciascuno dei soggetti nominati nel testamento, di determinati beni (si veda anche Cass. n. 13655/2009, quanto ai profili di carattere fiscale).

La soluzione interpretativa alla quale è giunta la sentenza gravata trova conforto, quanto all’astratta ammissibilità di un negozio di accertamento delle volontà testamentarie nella giurisprudenza di questa Corte, a nulla rilevando la circostanza che il testamento sia stato pubblicato in data successiva, nulla escludendo che le parti avessero conoscenza del suo contenuto anche in epoca anteriore all’adempimento pubblicitario di cui all’art. 620 c.c., che incide al più sulla sua esecuzione, ma non anche sull’efficacia delle disposizioni ivi contenute.

Nè appare risolutivo il mancato richiamo al contenuto del testamento, avendo la sentenza osservato che nella formazione delle quote, peraltro di valore differente tra le tre sorelle (conclusione questa che asseconda l’intento di dare effettiva attuazione alla divisione del testatore, posto che ove la divisione fosse avvenuta nell’ignoranza del testamento o con la volontà di prescindere da quanto in esso contenuto, si sarebbe dovuti pervenire alla formazione di quote di eguale valore) erano state rispettate le assegnazioni individuali fatte dal genitore, il che confortava l’idea che per tali beni la scrittura avesse essenzialmente valore accertativo della loro effettiva individuazione, onde superare i profili di genericità di cui alle dichiarazioni contenute nell’atto di ultima volontà.

Quanto infine alla deduzione secondo cui con la scrittura privata in esame, dei beni ancora indivisi ivi contemplati, alla dante causa dei ricorrenti non ne sarebbe stata assegnata alcuna parte materiale, in disparte la sua novità, non emergendo che fosse stata espressamente dedotta in sede di merito, con la necessità di accertamenti in fatto, preclusi in questa sede, si rileva che il motivo non si confronta con il tenore della decisione gravata, la quale ha valorizzato, anche in relazione alla divisione di parte dei beni indivisi con la detta scrittura privata, la conformità della stessa all’autonomia negoziale delle parti (cfr. pag. 8).

I giudici di appello hanno poi aggiunto che, sul presupposto che in relazione ai beni non assegnati dal de cuius, la divisione del 24/6/1993 avesse carattere parziale, la contestazione circa il progetto di divisione del fondo non ricompreso nella scrittura de qua, volta a far valere la mancata considerazione anche delle assegnazioni avvenute in precedenza con la medesima scrittura, presupponeva un’impugnativa tesa a recuperare alla massa i beni non contemplati nel testamento.

Trattasi di ratio che non risulta attinta dal motivo di ricorso e che, partendo dalla necessità di valutare unitariamente le attribuzioni contenute nel testamento ed il successivo riparto dei beni indivisi, rimarca come la convenuta non avesse mai inteso far valere una lesione della sua quota di legittima, o in alternativa, una lesione rilevante ex art. 763 c.c.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla a disporre quanto alle spese nei confronti della parte rimasta intimata.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma degli stessi artt. 1 bis e 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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