Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16587 del 03/07/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16587 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: LA TERZA MAURA

Rep.

ORDINANZA

Ud. 11/04/2013

sul ricorso 16808-2011 proposto da:
CASSA DI RISPARMIO DI RIETI SPA 00042440578,

i n CC

persona

di

del

Presidente

del

Consiglio

Amministrazione e legale rappresentante, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall’avvocato TOSI PAOLO giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente contro

ACCARDI SALVATORE, GATTI EUGENIO PAOLO, MADDALUNI
ELIANA, SIMEONI ALVARO, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA MAGNAGRECIA N. 13, presso lo studio
dell’avvocato AVANZINI FRANCESCA, (studio legale

Data pubblicazione: 03/07/2013

Sebastiano

Di

Lascio),

rappresentati

e

difesi

dall’avvocato MURATORI GENOVEFFA giusta procura in
calce al controricorso;
– controricorrenti nonchè contro

GUGLIELMO, SUPPLIZI NAZZARENO, LA VIGNA UMBERTO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 2351/2010 della CORTE D’APPELLO
di ROMA dell’11/03/2010, depositata il 23/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio dell’11/04/2013 dal Consigliere Relatore
Dott. MAURA LA TERZA;
è presente il P.G. in persona del Dott. COSTANTINO
FUCCI.

DEL MUTO ANTONIO, CAVOLI MARIA TERESA, BRANDI

16808/2011 Cassa di Risparmio di Rieti spa c. Accardi Salvatore e +
Corte Suprema di Cassazione
Sezione Sesta Civile
Ordinanza

Roma, che ha respinto l’appello contro la decisione con la quale il locale Tribunale aveva accolto il
ricorso di Accardi Salvatore ed altri dipendenti.
La domanda dei lavoratori era di inserimento, nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto e
dell’indennità di anzianità, dei contributi corrisposti dalla Cassa al Fondo integrativo pensioni (FIP)
istituito dalla banca con lo scopo di garantire agli iscritti in possesso di determinati requisiti un
trattamento pensionistico integrativo delle prestazioni erogate dal sistema previdenziale pubblico.
I lavoratori resistono con controricorso
Letta la relazione resa ex art. 380 bicod. proc. civ. di manifesta fondatezza del ricorso;
Viste le memorie depositate da entrambe le parti ed in particolare la memoria critica del lavoratori;
Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili;
Infatti il ricorso è manifestamente fondato;
Infatti con sentenza n. 8843/2012 pronunciata in fattispecie del tutto analoga, immutando il
precedente orientamento, si è negata l’esistenza del diritto fatto valere, sulla base delle seguenti
considerazioni: << 1. Recita l'art. 2121 cod. civ. in tema di indennità di anzianità, che è pur sempre in vigore per l'anzianità maturata prima del maggio 1982 ex art. 5 legge 297/82, che l'indennità deve essere computata << calcolando le provvigioni, i premi di produzione e la partecipaziopt agli utili o ai prodotti, con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.>>
Pertanto la nozione di retribuzione delineata dal questa norma presuppone che vi sia un effettivo
passaggio di ricchezza dal datore di lavoro al lavoratore e che le somme erogate si trovino in nesso
di corrispettività con la prestazione lavorativa; si deve quindi trattar di somme aventi carattere e
funzione retributiva, e proprio per questo motivo queste indennità vengono denominate come
“retribuzione differita”.
2. La indennità di anzianità e il TFR, devono quindi “rispecchiare” il trattamento economico
“corrisposto” durante lo svolgimento del rapporto medesimo, avendo la funzione di essere d’ausilio
al lavoratore nel periodo in cui, cessato il rapporto di lavoro, viene meno il diritto alla retribuzione
che prima veniva percepita, sicché sarebbe incongrua la inclusione di somme di cui durante lo
svolgimento non si è mai goduto.
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La Cassa di Risparmio di Rieti spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di

Ebbene, i versamenti effettuati dalla Banca a favore del Fondo, mai sono stati “corrisposti” ai
dipendenti, né dovevano esserlo, pena, ovviamente, la impossibilità di funzionamento del Fondo
medesimo.
3. Trattandosi, ed è pacifico, di fondo di previdenza integrativa, i versamenti erano preordinati non
certo all’ immediato soddisfacimento del lavoratore, ma, proprio in coerenza con la loro funzione,
sono stati, e dovevano essere, accantonati e non direttamente corrisposti, per garantire il
sopravvenuta, secondo le condizioni previste dal relativo statuto e con divieto di distrazione ai
sensi dell’art. 2117 cod. civ.
Vero è infatti che ai diritti ed obblighi nascenti dal rapporto di lavoro accede, in questi casi, un
ulteriore rapporto contrattuale, che obbliga il datore ai versamenti per garantire, in presenza delle
condizioni prescritte, il conseguimento di una pensione integrativa di quella obbligatoria.
Questo ulteriore rapporto costituisce un indubbio beneficio per il lavoratore, il quale però non
altera, né modifica, né si compenetra con i diritti ed obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, ed in
particolare, non incide sulle modalità di erogazione delle indennità ricollegate alla fme del rapporto
medesimo.
4. Il beneficio, che al lavoratore apporta il rapporto di previdenza integrativa, non è costituito dai
“versamenti” effettuati dal datore, ma dalla pensione che con essi verrà conseguita.
La contribuzione infatti, data la funzione del Fondo, per sua natura non può entrare nel patrimonio
dei lavoratori interessati, i quali possono solo pretendere che venga versata al soggetto indicato
nello Statuto. Il lavoratore non la riceve né nel corso del rapporto, né alla sua cessazione, essendo
solo il destinatario di una aspettativa al trattamento pensionistico integrativo, che si concreterà
esclusivamente al maturarsi di certi requisiti e condizioni.
Il rapporto di previdenza integrativa ha certamente come necessario presupposto l’esistenza del
rapporto di lavoro subordinato, ma ha poi regole proprie, tra le quali quella essenziale è certamente
l’obbligo del versamento, a carico del datore di una contribuzione, ed a favore non certo del
lavoratore ma, necessariamente, a favore del soggetto onerato della prestazione integrativa.
Questo obbligo non può però “rifluire” sul rapporto di lavoro ed alterarne la fisionomia, perché non
è in nesso di corrispettività diretta con la prestazione lavorativa.
La prova evidente si ravvisa considerando che, in caso di cessazione del rapporto senza diritto alla
pensione integrativa, perché non si sono verificati i requisiti prescritti, il dipendente nulla ha diritto
di ricevere dal fondo.
5. Il carattere non retributivo dei versamenti effettuati dal datore per la previdenza integrativa è
avvalorato dal regime previdenziale che li regola.
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trattamento integrativo in caso di cessazione del rapporto di lavoro, o in caso di invalidità

L’annosa vicenda è nota e si può riassume come segue: sull’obbligo ( invero da molti contestato),
previsto dall’art. 12 della legge 12 aprile 1969, n. 153, di includere nella retribuzione imponibile ai
fmi previdenziali anche i contributi versati dai datori di lavoro per trattamenti di previdenza
integrativa, istituiti da contratti collettivi anche aziendali o da regolamenti, il legislatore intervenne
con l’art. 9- bis del d.l. n. 103 del 1991, introdotto in sede di conversione dalla legge n. 166 del
1991.
doveva essere interpretato nel senso che fossero escluse dalla base imponibile dei contributi di
previdenza e assistenza sociale le contribuzioni e somme versate o accantonate per il finanziamento
dei trattamenti integrativi previdenziali o assistenziali; b) che restavano salvi i versamenti effettuati
anteriormente all’entrata in vigore della legge; c) che dal primo periodo di paga successivo
all’entrata in vigore della nuova normativa, per le contribuzioni o le somme destinate al
fmanziamento dei trattamenti integrativi era dovuto, ad esclusivo carico dei datori di lavoro, un
contributo di solidarietà del dieci per cento in favore delle gestioni pensionistiche di legge cui erano
iscritti i lavoratori.
5.2. Fu sollevata questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3, primo comma,
Cost., del citato art. 9-bis, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 103 del 1991, nella parte in cui
disponeva che per i contributi versati anteriormente all’entrata in vigore di tale norma valesse il
principio della soluti retentio in favore delle gestioni degli istituti ed enti previdenziali esercenti la
previdenza e l’assistenza obbligatorie.
Con la sentenza n. 421 del 1995, la Corte Costituzionale, nel motivare la statuizione di
accoglimento, individuò i principi costituzionali cui il legislatore avrebbe dovuto uniformarsi nel
disciplinare la materia.
Il Giudice delle leggi definì la norma non di interpretazione autentica, bensì innovativa “con
efficacia retroattiva” e rilevò che non era la retroattività a determinarne l’illegittimità, quanto
piuttosto l’aver essa stabilito per gli inadempienti l’esonero totale dal versamento dei contributi
senza alcuna “contropartita”, in contrasto con il principio di razionalita-equità (art. 3 Cost.)
coordinato con il principio di solidarietà (art. 2 Cost.) col quale deve integrarsi l’interpretazione
dell’art. 38, secondo comma, Cost.
5.3. Con tale pronuncia, chiarita dalla successiva sentenza n. 178/2000, la Corte ha affermato che,
per rendere la normativa esaminata conforme alla Costituzione, sarebbe stata necessaria l’istituzione
anche per il passato di una contropartita analoga al contributo di solidarieta, idonea a dare ragione
dell’esonero dalla contribuzione in favore della previdenza obbligatoria. In ottemperanza alla
suindicata decisione, i commi 193 e 194 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, hanno
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5.1. Con tale disposizione, defmita di interpretazione autentica, si stabili: a) che l’art. 12 citato

nuovamente disciplinato la materia. Con la prima delle citate disposizioni è stato riprodotto,
privandolo della definizione di interpretazione autentica, il comma 1 dell’art. 9-bis del d.l. n. 103 del
1991; con la seconda è stato istituito per il passato il richiesto contributo di solidarietà.
5.4. In conclusione la Corte Costituzionale ha affermato che il legislatore ha inserito la previdenza
integrativa nel sistema dell’art. 38 Cost., per cui le contribuzioni degli imprenditori al
finanziamento dei fondi non possono più definirsi “emolumenti retributivi con funzione
6. Va così definitivamente stabilito che i versamenti effettuati dal datore ai fondi di previdenza
complementare, quali che siano i lineamenti del Fondo, non sono assoggettati a contribuzione Inps
ma solo ad un contributo di solidarietà ( valido a regime e riferito anche al passato ma solo per gli
anni dal 1 settembre 1985 al 30 giugno 1991), così escludendosi che questi abbiano natura
retributiva.
Si badi poi che l’esonero dalla contribuzione AGO non vale solo per il periodo successivo
all’entrata in vigore del DL 103/91, ma anche anteriormente, fin dal’inizio della istituzione di detti
fondi, stante il carattere retroattivo di questa disposizione, come espressamente confermato dall’art.
1 comma 193 della legge 662/96 che ha sostituito l’art. 9 bis del DL 103/91, convertito in legge
166/91. Quindi i predetti contributi hanno, ed hanno sempre avuto, natura previdenziale e non
retributiva, onde è infondata la pretesa al loro inserimento nelle indennità conseguenti alla
cessazione del rapporto di lavoro.
Va ancora considerato che i versamenti effettuati dal datore alle forme pensionistiche
complementari non concorrono neppure a formare il reddito da lavoro dipendente, ai sensi dell’art.
3 comma 2 lettera a) d.lgs. 314/97.
7. E’ pur vero che la giurisprudenza di questa Corte si era orientata in senso contrario, a partire dalla
sentenza delle Sezioni unite n. 974/97 ( seguita da numerose altre, cfr. da ultimo Cass. 13558/2001).
Con dette pronunzie si è fatto riferimento ad un’ ampia nozione di retribuzione che consentirebbe di
distinguere fra le erogazioni corrispettive in senso stretto, adeguate perciò inderogabilmente alla
quantità e qualità di lavoro, e quelle con funzione previdenziale o assistenziale.
Ma la evoluzione della legislazione successiva, in specie appunto l’esonero dalla contribuzione
ordinaria dei versamenti effettuati dal datore per la previdenza integrativa, esonero che vale anche
per il passato stante il suo carattere retroattivo, convince della necessità di superare questo
orientamento, considerato anche il rilievo sempre maggiore attribuito dal legislatore alle forme
integrative di previdenza, che si considerano ormai rientrare nell’alveo dell’art. 38 Costituzione.
Detta evoluzione, attraverso le numerose norme emanate (d.lgs. 124/93 e d.lgs. 5 dicembre 2005 n.

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previdenziale”, ma sono strutturalmente contributi di natura previdenziale.

252) ha ormai marcato irreversibilmente la distinzione tra trattamenti retributivi e accreditamenti
per la previdenza integrativa.
E d’altra parte sarebbe incongruo riconoscere natura retributiva, tale quindi da determinarne la
inclusione nel computo delle indennità spettanti alla fine del rapporto, a somme su cui non si versa
la contribuzione previdenziale propriamente detta e che non entrano neppure tra i redditi da lavoro
dipendente ai fini fiscali.
e TFR che si compendia con i commi 755 e 756 dell’articolo unico della legge finanziaria
296/2006.
Si tratta delle disposizioni che prevedono il conferimento del TFR alla previdenza complementare:
all’esito della parabola sopra illustrata non sono dunque i versamenti contributivi per la previdenza
complementare che vengono inclusi nel TFR, ma è quest’ultimo che serve ad alimentare la
previdenza complementare.
Ai sensi di questa norme le quote di TFR che matureranno dal primo gennaio 1997 verranno versate
presso le forme pensionistiche complementari di cui al d.lvo 5 dicembre 2005 n. 252. Più
precisamente ciò accadrà ove i lavoratori manifestino detta opzione, mentre, in mancanza di
opzione, nelle aziende con meno di 50 addetti, il TFR maturando resterà come prima presso i datori
di lavoro, mentre nelle aziende con almeno 50 addetti, le quote di TFR non destinate alle forme
pensionistiche complementari, confluiranno nell’istituito “Fondo per l’erogazione ai lavoratori
dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’art. 2120 del codice civile”,
che è un fondo a ripartizione, gestito dall’Inps per conto dello Stato.
9. Né si può dubitare che detta interpretazione sia in contrasto con norme del diritto dell’Unione
Europea, donde la non necessità di rinvio alla Corte europea, giacché nessuna disposizione di
quell’ordinamento regola la misura del trattamento di fme rapporto.
10. In definitiva il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, enunciandosi il principio di
diritto per cui «Le somme accantonate dal datore di lavoro per la previdenza complementare quale che sia il soggetto tenuto alla erogazione dei trattamenti integrativi e quindi destinatario degli
accantonamenti – non si computano né nella indennità di anzianità (maturata fino al 31 maggio
1982) né nel trattamento di fine rapporto.»
Non essendovi necessità di ulteriori accertamenti, la causa va decisa nel merito con il rigetto della
domanda di cui al ricorso introduttivo.
Il mutamento di giurisprudenza giustifica la compensazione delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
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8. Mette conto infine di segnalare la recente legislazione sul rapporto tra previdenza complementare

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la

domanda di cui al ricorso introduttivo. Compensa le spese dell’intero processo.
Il presidente
Così deciso in Roma 1′ 11 aprile 2013.

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