Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16584 del 15/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 15/07/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 15/07/2010), n.16584

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

STAZIONE DI MONTE MARIO 9, presso lo studio dell’avvocato GULLO

ALESSANDRA, rappresentato e difeso dall’avvocato MAGARAGGIA GIUSEPPE,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, GIANNICO GIUSEPPINA, giusta mandato in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI LECCE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2209/2007 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 08/11/2007 r.g.n. 1340/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2010 dal Consigliere Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.R. proponeva appello contro la sentenza del Tribunale di Lecce che ne aveva respinto la domanda intesa ad ottenere la indennita’ di accompagnamento.

Con sentenza in data 8 novembre 2007, la Corte d’appello di Lecce, previa rinnovazione della c.t.u., ha ritenuto sussistente il diritto all’indennita’, sia pure con decorrenza non dalla data della domanda amministrativa (17.5.2002), bensi’ dal successivo 1 novembre 2005.

Il C. chiede la cassazione della suddetta sentenza con ricorso fondato su tre motivi. L’INPS resiste con controricorso. Il Comune di Lecce, anch’esso intimato, non si e’ costituito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo, denunciando omessa e insufficiente motivazione in relazione alla L. n. 18 del 1980, art. 1, alla L. n. 508 del 1988 e al D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 6, il ricorrente sostiene che la valutazione relativa al momento di insorgenza dello stato invalidante non terrebbe conto della documentazione richiamata nei motivi di appello, dalla quale risultava l’esistenza, gia’ al tempo della istanza amministrativa, di numerose affezioni non considerate dal ctu di primo grado (poliartrosi diffusa con “claudicatio intermittens neurogeno”, cardiopatia ipertensiva, insufficienza respiratoria) e comportanti, nel loro insieme, la impossibilita’ di compiere gli atti quotidiani della vita.

2. Nel secondo motivo, sempre con denuncia di violazione delle indicate norme di legge e degli stessi vizi di motivazione, si sostiene che la Corte di merito non ha tenuto conto della “ratio” normativa, cosi’ come evidenziata dalla giurisprudenza di legittimita’, la quale riconosce il diritto alla indennita’ di accompagnamento non solo in caso di impossibilita’ di compiere gli atti della vita vegetativa ma, altresi’, quando, pur essendo possibili i primi, il soggetto non sia in grado di svolgere quelli della cosiddetta vita sociale o di relazione.

3. Nel terzo motivo e’ denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, del D.M. n. 127 del 2004 nonche’ della L. n. 248 del 2006 (decreto Bersani) e dell’art. 92 c.p.c. oltre a vizio di motivazione, assumendo il ricorrente che, stante la produzione di una nota specifica delle spese, il giudice di appello non poteva determinare globalmente – e in misura inferiore a quelle specificamente indicate – le voci relative ai diritti di procuratore e agli onorari di difesa.

4. Il ricorso non e’ fondato.

5. Quanto al primo motivo, e’ principio ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte, quello secondo cui in materia di prestazioni previdenziali o assistenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute del richiedente, il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio e’ ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non puo’ prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre, al di fuori di tale ambito, le censure alle valutazioni operate dall’ausiliare tecnico (e fatte proprie dal giudice di appello) costituiscono un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale e si traducono, quindi, in una inammissibile critica al convincimento del giudice (cfr., da ultimo, Cass. n. 9988 del 2009, n. 8654 del 2008).

Si e’ altresi’ affermato, con principio che il Collegio condivide e ribadisce, che “non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca “per relationem” le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica di ufficio di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, tale motivazione e’ necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza gia’ dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame da parte del medesimo giudice; al contrario una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimita’ (Cass. n. 10222 del 2009).

Detti principi tornano pienamente applicabili nel caso concreto, nel quale il giudice d’appello non si e’ limitato a dichiarare di condividere le risultanze della consulenza tecnica espletata in secondo grado quanto al momento in cui le patologie rilevate a carico del C. (poliartrosi diffusa, scompenso cardiorespiratorio e metabolico) avevano raggiunto, nel loro complesso, una evoluzione peggiorativa tale da compromettere la capacita’ del ricorrente di attendere autonomamente agli atti della vita quotidiana e da giustificare, quindi, la necessita’ di un aiuto costante attraverso l’attribuzione del trattamento assistenziale richiesto, ma ha dato, altresi’, motivata risposta alle osservazioni critiche che l’appellante aveva formulato alla CTU di secondo grado, definendole generiche, perche’ non supportate da nuovi probanti elementi obiettivi e inidonee, comunque, a porre in dubbio l’approfondita analisi del quadro patologico d’assieme effettuata dall’ausiliare tecnico. I rilievi che in questa sede il ricorrente muove alla sentenza impugnata non sembrano tener conto della suddetta, articolata, motivazione, che, in sostanza, si censura, per un verso, sostenendosi che la Corte di merito non ha tenuto conto delle critiche formulate, con i motivi di appello, nei confronti della consulenza espletata in primo grado (e si tratta di censura inammissibile costituendo risposta adeguata a tali critiche la rinnovazione della CTU disposta dal giudice d’appello: vedi Cass. n. 334 del 1998, n. 7985 del 2000, n. 8571 del 2004) e, sotto altro profilo, contrapponendosi (altrettanto inammissibilmente, giusta il principio su enunciato) alla valutazione dell’ausiliare tecnico, recepita dal giudice di appello, un diverso apprezzamento della rilevanza delle patologie ai fini della richiesta tutela assistenziale, posto che il ricorso non contiene una specifica indicazione delle critiche alla consulenza tecnica di secondo grado che non sarebbero state esaminate dal medesimo giudice, ne’ evidenzia l’esistenza, nell’indagine medico – legale, di errori scientifici tali da comportare, se opportunamente rilevati, una decisione diversa da quella adottata.

6. Priva di fondamento e’ anche la tesi, espressa nel secondo motivo, secondo cui il presupposto che la legge richiede per l’attribuzione della indennita’ di accompagnamento sussisterebbe non solo nel caso di impossibilita’ di deambulare ma anche nel caso di deambulazione che avviene autonomamente ma con difficolta’, specie quando il soggetto che richiede la tutela sia – come nel caso controverso – un ultrasessantacinquenne.

Invero la piu’ recente giurisprudenza della Corte e’ nel senso che “Le condizioni previste dalla L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1 (nel testo modificato dalla L. 21 novembre 1988, n. 508, art. 1, comma 2 per l’attribuzione dell’indennita’ di accompagnamento consistono, alternativamente, nell’impossibilita’ di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure nell’incapacita’ di compiere gli atti quotidiani della vita senza continua assistenza; ai fini della valutazione non rilevano episodici contesti, ma e’ richiesta la verifica della loro costante inerenza al soggetto, non in rapporto ad una soltanto delle possibili esplicazioni del vivere quotidiano, ovvero della necessita’ di assistenza determinata da patologie particolari e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita quotidiana, rilevando, quindi, requisiti diversi e piu’ rigorosi della semplice difficolta’ di deambulazione o di compimento degli atti della vita quotidiana e configuranti impossibilita’. Tali requisiti sono richiesti anche per gli ultrasessantacinquenni, poiche’ il D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, art. 6 (che ha aggiunto il comma 3 alla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 2), lungi dal configurare un’autonoma ipotesi di attribuzione dell’indennita’, pone solo le condizioni perche’ detti soggetti siano considerati mutilati o invalidi – in analogia a quanto disposto per i minori di anni diciotto dalla L. n. 118 del 1971, art. 2, comma 2 nel testo originario – non potendosi, per entrambe le categorie, far riferimento alla riduzione della capacita’ lavorativa” (cfr. Cass. n. 12521 del 2009; conf. Cass. n. 10281 del 2003).

7. Inammissibile e’ il terzo motivo di ricorso, poiche’ il ricorrente si limita a trascrivere i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimita’ a proposito dell’obbligo per il giudice, in presenza di una specifica nota spese prodotta dalla parte, di dare adeguata motivazione della eliminazione o della riduzione di voci da lui operata, mentre non indica nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza dell’atto, le singole voci della nota spese, dal giudice ridotta globalmente, che sarebbero state liquidate in misura inferiore a quella esposta, cosi’ da non consentire la verifica della pretesa violazione dei minimi, sia per i diritti che per gli onorari (cfr., tra tante, in punto di inammissibilita’ del ricorso che non specifichi gli errori commessi dal giudice di merito e non precisi le voci di tabella degli onorari e dei diritti di procuratore che si ritengono violate, Cass. n. 22287 del 2009, n. 14455 del 2009, n. 14744 del 2007, n. 21325 del 2005).

8. In conclusione il ricorso va rigettato.

9. Il soccombente e’ condannato, in favore dell’INPS, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. (nel nuovo testo, applicabile ratione temporis, introdotto dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11 convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326), non risultando dagli atti essere titolare di un reddito imponibile ai fini IRPEF che ne giustifichi l’esenzione dal detto pagamento.

10. Nulla deve disporsi per le spese nei confronti del Comune di Lecce, in difetto di attivita’ difensiva dell’intimato.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del presente giudizio, liquidandole in Euro 10,00 per esborsi e in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) per onorari; nulla per le spese nei confronti del Comune di Lecce.

Cosi’ deciso in Roma, il 26 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2010

 

 

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