Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16582 del 28/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/07/2011, (ud. 22/03/2011, dep. 28/07/2011), n.16582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9517-2007 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BUCCARI 3,

presso lo studio dell’avvocato ACONE MARIA TERESA, rappresentata e

difesa dagli avvocati ACONE MODESTINO, DE LISIO LUIGI, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

la DIREZIONE AFFARI LEGALI POSTE ITALIANE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GUADAGNI SIMONETTA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 401/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 30/03/2006 r.g.n. 118/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato ACONE MODESTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 30 marzo 2006, la Corte d’Appello di Salerno accoglieva il gravame svolto dalla s.p.a. Poste italiane contro la sentenza di primo grado che aveva dichiarato il diritto di P. M. all’inquadramento nell’area Quadri di 2 livello con condanna della società al pagamento delle differenze retributive.

2. La Corte territoriale escludeva, preliminarmente, la tardività dell’impugnazione, proposta entro il termine lungo annuale, per non essere risultata la sentenza gravata notificata, ex art. 170 c.p.c., al procuratore costituito in prime cure della società, onde l’inapplicabilità del termine breve di impugnazione; nel merito, riteneva legittimo l’inquadramento della dipendente, indimostrato lo svolgimento della funzione vicaria, non assolto l’onere della prova in ordine all’intento fraudolento del datore di lavoro nella programmazione della molteplicità di incarichi ed escludeva, infine, la dequalificazione professionale.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, P. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi, illustrato con memoria. L’intimata ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità/improponibilità del ricorso per l’allegazione di fatti e documenti nuovi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 325, 326, 327, 345 e 434 c.p.c. e art. 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3); nullità della sentenza e del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4); omessa, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5). Si censura la sentenza per aver ritenuto tempestiva l’impugnazione sulla base degli atti, tra i quali constava la sola notificazione della sentenza in forma esecutiva, eseguita alla parte personalmente. Il ricorrente deduce di aver effettuato una doppia notifica della sentenza di primo grado, una alla parte personalmente, in forma esecutiva ai fini dell’azione esecutiva, l’altra, in copia conforme, presso il procuratore costituito, ai fini del decorso del termine breve, ma di aver prodotto, in sede di gravame, solo la sentenza notificata alla parte. La ricorrente, pertanto, esibisce e allega, in questo giudizio di legittimità, copia della sentenza notificata al fine di dimostrare la tardività dell’appello ed il passaggio in giudicato della sentenza di prime cure. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto con il quale si chiede alla Corte di dire se sia ammissibile l’esibizione, per la prima volta nel giudizio di cassazione, della sentenza di primo grado con la relata di notifica, eseguita a mente dell’art. 170 c.p.c., al fine di dimostrare l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza gravata per intempestività dell’appello.

5. Il motivo – con cui la ricorrente produce solo dinanzi a questa Corte la copia della sentenza di primo grado notificata, al fine di dimostrare il decorso del termine breve di impugnazione della decisione già passata in giudicato al momento dell’appello – non è meritevole di accoglimento.

6. Preliminarmente osserva il Collegio che dalla statuizione delle Sezioni Unite di questa Corte, sentenza n. 13916 del 2006, invocata dalla ricorrente, si evince, invero, che: “il divieto posto dall’art. 372 c.p.c., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato;

questi ultimi, d’altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una regula iuris alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso. La produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione;

qualora la produzione abbia luogo oltre il termine stabilito dall’art. 378 c.p.c. per il deposito delle memorie, dovendo essere assicurata la garanzia del contraddittorio, la Corte, avvalendosi dei poteri riconosciutile dall’art. 384 c.p.c., comma 3, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, deve assegnare alle parti un opportuno termine per il deposito in cancelleria di eventuali osservazioni” (Cass., SU 13916/2006 ed altre successive conformi).

7. La vicenda all’esame del Collegio concerne, invece, un giudicato, per inammissibilità dell’appello, che si sarebbe formato prima della proposizione del gravame e con riferimento al quale nulla le parti hanno eccepito nel giudizio di appello, onde non si rientra nell’alveo tracciato dalle citate Sezioni Unite, per cui “la produzione di tali documenti può, pertanto, aver luogo, unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione”.

8. Ciò premesso, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la parte cui sia stato notificato un atto di impugnazione della decisione di prime cure, nel termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c., che intenda, invece, invocare l’applicabilità del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. e l’avvenuto superamento del medesimo, è tenuta ad eccepire, nelle difese esperite nel giudizio di appello, l’avvenuta notifica della sentenza impugnata ed a produrre ritualmente, nell’ambito del giudizio di appello, la copia autentica di questa e della relativa notificazione (v., ex plurimis, Cass. 21938/2004; cfr., con riferimento al ricorso per cassazione, Cass. 12483/2003).

9. Inoltre, come già affermato da Cass. 19072/2004, grava sull’impugnante provare la tempestività dell’impugnazione e, ove intenda avvalersi del termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c., questi ha solo l’onere di dimostrare che la pubblicazione sia avvenuta entro l’anno precedente l’atto impugnatorio e non anche che la sentenza non gli sia stata notificata (prova negativa impossibile, non prevedendo il sistema processuale l’annotazione, sull’originale della sentenza, della sua notificazione, ma solo – all’art. 123 disp. att. c.p.c. – della sua eventuale impugnazione), mentre incombe alla parte cui sia stato notificato l’atto di impugnazione entro il predetto termine di cui all’art. 327 c.p.c., ed eccepisca l’avvenuto superamento del termine breve, provare la decorrenza del termine breve, producendo copia autentica della sentenza impugnata corredata dalla relata di notificazione.

10. Ciò perchè, come detto, nel giudizio di cassazione non è ammissibile il deposito tardivo di documenti diretti a dimostrare l’ammissibilità o inammissibilità dell’appello. Nè vale, al riguardo, il richiamo al disposto dell’art. 372 c.p.c. che consente le produzioni aventi ad oggetto la nullità della sentenza e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso (v. Cass., SU, 28505/2005; Cass. 5480/2006; Cass. 10689/2004; Cass. 1061/1999). Ed invero, la ratto della suddetta norma di rito, per individuarsi nel divieto di introdurre nel giudizio di cassazione nuovi elementi di fatto, ne impedisce un’interpretazione estensiva ed induce, di contro, ad un’interpretazione ermeneutica della disposizione in connessione con la struttura e funzione propria del giudizio di cassazione, volto alla verifica della legittimità della decisione del giudice secondo i rigorosi limiti della materia del contendere consacrati nella sentenza impugnata (cfr., per riferimenti in tali sensi, Cass. 7 marzo 1977 n. 923).

11. Alla stregua delle argomentazioni svolte, il motivo di ricorso in esame risulta destituito di giuridico fondamento avendo il Giudice d’appello correttamente deciso sulla base della documentazione fornitagli dall’attuale ricorrente che, in questa sede di legittimità, a sostegno della deduzione, non eccepita in sede di gravame, incentrata sulla doppia notificazione della sentenza di primo grado – una alla parte personalmente, in forma esecutiva, ai fini dell’azione esecutiva (prodotta nel giudizio di gravame) e l’altra, in copia conforme, presso il procuratore costituito, ai fini del decorso del termine breve d’impugnazione – chiede, ora, l’acquisizione del documento che avrebbe potuto e dovuto esibire, tempestivamente, assumendo l’avvenuta notificazione nel termine breve già innanzi al Giudice del gravame.

12. Per andare in contrario avviso non vale neanche il richiamo, operato dal ricorrente a conforto del suo assunto, ad alcuni precedenti giurisprudenziali (cfr., tra questi, anche Cass. 13 settembre 2005 n. 18129), perchè ragioni di nomofilachia portano a ribadire i principi già ricordati dalla più recente decisione delle Sezioni Unite (cfr., al riguardo, Cass. n. 13916 del 2006 cit.), non essendo state prospettate ragioni capaci di metterne in dubbio la validità.

13. Per di più, nel caso scrutinato dal Collegio, la censura non può trovare accoglimento alla stregua del principio d’ordine generale secondo cui la parte non può far valere la nullità cui essa stessa ha dato causa (art. 157 c.p.c., comma 3), oltrechè alla stregua del principio costituzionale del processo “giusto” e di “ragionevole durata” (art. 111 Cost., commi 1 e 2) e dei principi di economicità e di inutile dispendio di attività processuali.

14. La censura in esame si connota, pertanto, per l’evidente infondatezza. Ragioni di nomofilachia portano ad enunciare, alla stregua dell’art. 384 c.p.c., comma 1, il seguente principio di diritto: “la parte cui sia stato notificato l’atto di impugnazione della decisione di prime cure nel termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c. che intenda, invece, invocare l’applicabilità del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. e l’avvenuto superamento del medesimo, ove non abbia eccepito, nelle difese esperite nel giudizio di appello, l’avvenuta notifica della sentenza impugnata, nè abbia prodotto, nel giudizio di appello, la copia autentica della sentenza corredata dalla relata di notificazione, non può dedurre, per la prima volta, nel giudizio di cassazione, l’intempestività dell’appello, e l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, alla stregua del principio d’ordine generale secondo cui la parte non può far valere la nullità cui essa stessa ha dato causa (art. 157 c.p.c., comma 3), oltrechè alla stregua del principio costituzionale del processo “giusto” e di “ragionevole durata” (art. 111 Cost., commi 1 e 2) e dei principi di economicità e di inutile dispendio di attività processuali”.

15. Con il secondo e terzo motivo si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) e violazione e falsa applicazione dell’ordinamento del personale dell’amministrazione P.T. qualifiche funzionali e professionali riportato nel D.M. 18 maggio 1980; artt. 40, 41, 43, 44, 48 e 53 CCNL dipendenti postali del 26/11/1994; degli artt. 2103 e 1418 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Entrambi i motivi si concludono con la formulazione del quesito di diritto ex art. 366-bis c.p.c..

16. La ricorrente, con le censure in esame, si limita a prospettare una lettura delle risultanze istruttorie diversa da quella fornita dal giudice del merito, mentre secondo giurisprudenza unanime di questa Corte il motivo di ricorso per Cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

17. In caso contrario, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (ex multis, Cass. 6064/08).

18. In relazione alla denuncia di violazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, non risulta, invece, osservata la prescrizione di cui all’art. 369 c.p.c., n. 4, non risultando depositato, unitamente al ricorso, l’integrale testo del contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente le disposizioni collettive di cui si denuncia la violazione da parte della Corte di merito, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale (v. Cass., SU, 20075/2010).

19. Il ricorso va, pertanto, respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 22 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2011

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