Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16580 del 15/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 15/07/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 15/07/2010), n.16580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO

EMILIO 34, presso lo studio dell’avvocato DE NINNO MARCELLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato DE CESARIS ANDREA, giusta delega

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE PITIGLIANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55, presso lo studio

dell’avvocato DI PIERRO NICOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato

TAMBURRO NICOLA, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1127/2007 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 26/10/2007 R.G.N. 688/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/03/2010 dal Consigliere Dott. DI CERBO Vincenzo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il comune di Pitigliano proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Grosseto, giudice del lavoro, che aveva condannato il comune stesso al pagamento, in favore del dipendente M. F., della somma di Euro 20.000,00 a titolo di risarcimento del danno per dequalificazione e mancata progressione in carriera.

La Corte d’appello di Firenze, in accoglimento del gravame e in riforma della sentenza di prime cure, rigettava la domanda del M..

La Corte di merito, dopo aver affermato la giurisdizione del giudice ordinario trattandosi di controversia concernente un rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, riteneva la piena legittimita’ del provvedimento del sindaco di Pitigliano in data 24 settembre 1998 col quale era stata revocata la nomina dell’istruttore M. a responsabile del servizio di vigilanza. Osservava, in particolare, che il suddetto incarico non aveva comportato alcuna retribuzione di posizione ne’ il riconoscimento di una posizione apicale. Inoltre il M. aveva mantenuto non solo lo stesso livello stipendiale e di inquadramento, ma anche la responsabilita’ propria dell’istruttore (in posizione (OMISSIS)) e di responsabile del procedimento.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M. F. affidato a tre motivi. Il Comune di Pitigliano resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario proposta dal Comune di Pitigliano, eccezione fondata sull’assunto della natura organizzativa del provvedimento del sindaco in data 24 settembre 1998, in quanto tale non sindacabile da parte del giudice ordinario.

L’eccezione e’ priva di fondamento.

Va premesso che alla fattispecie si applica, ratione temporis, la disposizione di cui al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 15, comma 17 che ha trasferito al giudice ordinario le controversie in materia di pubblico impiego privatizzato. In applicazione di tale norma, poi confermata dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7 deve ritenersi la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario nella presente controversia in quanto la revoca dell’incarico disposta dal Sindaco del Comune di Pitigliano deve essere considerata come atto di gestione del rapporto di lavoro assunto con capacita’ e poteri propri del privato datore di lavoro. Bastera’ ricordare in proposito il principio enunciato da Cass. S.U. 12 giugno 2006 n. 13538 (ordin.) secondo cui e’ devoluta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia concernente l’accertamento dell’illegittimita’ della revoca ante tempus, disposta dal sindaco, dell’incarico di direttore generale del Comune (nella specie conferito ad un soggetto gia’ in servizio quale segretario generale), e la condanna del Comune al pagamento di somme a titolo di retribuzione o di risarcimento del danno, trattandosi in ogni caso di atto, concernente l’organizzazione dell’ufficio, appartenente alla gestione del rapporto di lavoro ed assunto con la capacita’ e i poteri del privato datore di lavoro.

Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 12 preleggi, della L. n. 65 del 1986, artt. 5, 7, 9 e 11, della L.R. Toscana n. 17 del 1989, della L. n. 142 del 1990, art. 36, comma 5 ter, e art. 51, comma 3 bis. Deduce in particolare che il comandante dei vigili urbani deve essere necessariamente un vigile urbano e cio’ anche quando il comune, per la sua dimensione, non sia dotato di un corpo di polizia municipale. Nel caso di specie al posto del ricorrente era stato nominato un altro dipendente del comune che non era vigile urbano e pertanto la delibera del sindaco doveva ritenersi illegittima. Secondo il ricorrente, in particolare, la normativa sopra richiamata deve essere applicata analogicamente anche ai casi, come quello in esame, in cui vi sia un responsabile del servizio atteso che vi sono le medesime esigenze di salvaguardia della professionalita’, dell’autonomia e della particolarita’ della posizione del “comandante” dei vigili urbani.

Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 142 del 1990, art. 36, comma 5 ter, e art. 51, comma 3 bis, della L. n. 241 del 1990, art. 3, del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19, dell’art. 9, comma 3, del c.c.n.l. comparto enti locali e regioni, nonche’ dell’art. 97 Cost.. Deduce in particolare l’illegittimita’ della delibera del sindaco per illogicita’ della motivazione e per la sua natura comunque discriminatoria e persecutoria. Osserva che l’amministrazione, nel rispetto dei principi di buon andamento e imparzialita’, avrebbe dovuto rispettare gli aspetti di professionalita’ specifici richiesti dall’incarico.

Nel caso di specie il ricorrente, vigile urbano, era stato sostituito con un soggetto privo di professionalita’ specifica. Il provvedimento impugnato non ha spiegato quali fossero le ragioni di pubblico interesse e di organizzazione poste alla base della sostituzione.

Col terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 c.c. e del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 nonche’, in generale, del principio di divieto di dequalificazione per fini punitivi e discriminatori espresso dalla L. n. 300 del 1970;

denuncia altresi’ violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 e dell’art. 97 Cost. oltre che vizio di motivazione. Deduce in particolare l’erroneita’ della statuizione della corte territoriale secondo cui la professionalita’ del M. sarebbe stata salvaguardata non soltanto con il mantenimento dello stesso livello stipendiale di inquadramento, ma anche con il permanere in capo medesimo dei compiti propri dell’istruttore (posizione (OMISSIS)) e di responsabile del procedimento.

Osserva infatti, quanto profilo della dequalificazione, che c’era stata lesione dell’immagine professionale non potendo la nuova posizione assegnata al dipendente essere equiparata a quella precedente di responsabile del servizio. Sotto il profilo economico, inoltre, il lavoratore aveva perso le indennita’ proprie del ruolo di responsabile e i miglioramenti stipendiali legati alla progressione di carriera.

I tre motivi, che, in quanto logicamente connessi, devono essere esaminati congiuntamente, sono privi di fondamento.

E’ pacifico che il comune di Pitigliano non ha costituito, in relazione alle sue dimensioni (popolazione inferiore a cinquemila abitanti), un corpo di polizia municipale che, a norma della L. 7 marzo 1986, n. 65 (Legge-Quadro sull’ordinamento della polizia municipale) puo’ essere istituito (art. 7) solo quando il servizio di polizia municipale sia espletato da almeno sette addetti. Nel caso di specie il servizio di polizia municipale era affidato a tre dipendenti del comune.

Le norme invocate dal ricorrente presuppongono tutte, come egli stesso riconosce, la costituzione di un corpo di polizia municipale.

E’ pertanto evidente che non sussistono i presupposti per invocare l’applicazione delle suddette norme alla fattispecie in esame.

Di tale impossibilita’ e’ sostanzialmente consapevole lo stesso ricorrente il quale sostiene che le suddette norme dovrebbero essere interpretate estensivamente ovvero utilizzando l’istituto dell’analogia assumendo che, anche nel caso in esame, vi sarebbero le medesime esigenze di salvaguardia della professionalita’, dell’autonomia e della particolarita’ della posizione del comandante dei vigili urbani.

Tale tesi non puo’ essere condivisa. La legge ha delimitato esplicitamente il proprio ambito di applicazione individuando un presupposto (l’esistenza di un corpo di polizia municipale) e le condizioni (tassative) perche’ tale presupposto possa sussistere (l’esistenza di almeno sette addetti al servizio di polizia municipale). Non vi sono pertanto margini per un’interpretazione estensiva della suddetta normativa atteso che il contenuto delle singole disposizioni, accertato correttamente attraverso i mezzi consentiti dalla logica e dalla tecnica giuridica, coincide pienamente con quello che emerge dalle espressioni letterali che compongono le disposizioni stesse.

Non ci sono inoltre i presupposti per un’applicazione analogica della normativa citata, atteso che il ricorso all’analogia e’ consentito dall’art. 12 preleggi solo quando manchi nell’ordinamento una specifica norma regolante la concreta fattispecie e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti incolmabile in sede giudiziaria (Cass. 6 luglio 2002 n. 9852).

Nel caso in esame la normativa applicabile e’ quella prevista dalla L. n. 142 del 1990 che disciplina le autonomie locali, e, in particolare, dall’art. 51 della stessa legge che contiene disposizioni in materia di organizzazione degli uffici e del personale. E non giova rilevare che la normativa da ultimo citata non disciplina direttamente la materia concernente i servizi di polizia municipale atteso che dall’esame della normativa sopra citata si evince chiaramente che il legislatore ha inteso dettare specifiche disposizioni in subjecta materia solo quando sussistano determinati presupposti di natura dimensionale e lasciando che le situazioni come quelle proprie dei piccoli comuni trovino la loro disciplina nella normativa generale concernenti le autonomie locali.

Tutto cio’ premesso deve escludersi in primo luogo la fondatezza della tesi dell’illegittimita’ del provvedimento del sindaco basata sull’assunto che tale incarico dovesse comunque essere affidato ad un vigile urbano. Come si e’ visto la disciplina invocata a sostegno di tale assunto non e’ applicabile alla fattispecie.

Con riferimento al secondo e terzo motivo di ricorso va in primo luogo rilevato che il ricorrente, istruttore di vigilanza inquadrato al (OMISSIS) livello, poi passato in posizione economica (OMISSIS), aveva avuto l’incarico (e la relativa responsabilita’) di coordinare i tre addetti alla vigilanza municipale. Il provvedimento del sindaco, oggetto del presente giudizio, aveva avuto ad oggetto la revoca del suddetto incarico (appare pertanto fuorviante la tesi del ricorrente che qualifica se stesso come comandante dei vigili urbani, e che da tale qualifica fa discendere le proprie richieste).

Cio’ premesso deve in primo luogo osservarsi che la Corte di merito ha ritenuto la piena legittimita’ del provvedimento di revoca – motivato dalla necessita’ di risolvere un continuo e permanente dissidio interno insorto fra gli addetti alla vigilanza nella predisposizione dei turni settimanali, ordinari e festivi, e nella distribuzione degli orari di lavoro, e quindi ispirato alla necessita’ di riportare serenita’ e funzionalita’ nel servizio di vigilanza (con l’affidamento della connessa responsabilita’ alla figura apicale dell’area amministrativa) – atteso che, non essendo applicabile alla fattispecie la disciplina del c.c.n.l. del comparto degli enti locali in data 1 aprile 1999, gli incarichi di responsabilita’ affidati al personale proveniente dal (OMISSIS) livello erano privi di una specifica disciplina contrattuale e dovevano considerarsi revocabili secondo i normali criteri e poteri di autorganizzazione da riconoscersi agli enti locali.

Rispetto a tale statuizione il ricorrente deduce in primo luogo l’omesso rispetto dei principi del buon andamento della pubblica amministrazione e del rispetto della professionalita’ specifica richiesta dall’incarico e sostiene l’esistenza di una volonta’ ritorsiva, discriminatoria e disciplinare.

Tali argomentazioni sono infondate. La motivazione del provvedimento, sopra richiamata, e’ pienamente compatibile con i principi di buon andamento non potendo rilevare, per le ragioni precisate con riferimento al primo motivo di ricorso, il fatto che il nuovo responsabile non sia vigile urbano (bensi’, come rilevato dalla sentenza impugnata, la figura apicale dell’organizzazione amministrativa).

L’argomentazione basata sull’esistenza di intenti punitivi e discriminatori e’ da considerarsi inammissibile in applicazione del principio dell’autosufficienza. Essa fa riferimento, infatti, al testo del documento di revoca e a quanto dichiarato da alcuni testimoni. Deve applicarsi sul punto il principio piu’ volte enunciato da questa Corte di legittimita’ (cfr., ad esempio, Cass. 24 marzo 2006 n. 6679) secondo cui il controllo della congruita’ e logicita’ della motivazione, al fine del sindacato di legittimita’ su un apprezzamento di fatto del giudice di merito, postula la specificazione da parte del ricorrente – se necessario, attraverso la trascrizione integrale nel ricorso – della risultanza (in particolare, di un documento o di una deposizione testimoniale) che egli assume decisiva e non valutata o insufficientemente valutata dal giudice, perche’ solo tale specificazione consente al giudice di legittimita’ – cui e’ precluso, salva la denuncia di error in procedendo, l’esame diretto dei fatti di causa – di delibare la decisivita’ della risultanza non valutata. Nel caso in esame non e’ stato riportato il testo del documento ne’ quello delle prove testimoniali invocate.

Quanto alla tutela della professionalita’ del M., la motivazione della sentenza impugnata secondo cui questi, oltre a mantenere lo stesso livello stipendiale e di inquadramento, ha conservato i compiti di istruttore di vigilanza e di responsabile del procedimento in coerenza con la sua posizione di impiegato (OMISSIS), resiste agevolmente alle censure del ricorrente formulate, in particolare nel terzo motivo di ricorso, incentrate, oltre che sulla carenza di motivazione del provvedimento di revoca, sulla cui sufficienza gia’ si e’ detto, sulla dequalificazione, legata, in particolare, alla lesione dell’immagine professionale. Ed infatti il M. ha continuato a svolgere incarichi coerenti con il proprio inquadramento che, secondo la valutazione di merito della Corte territoriale, insindacabile in questa sede di legittimita’ in quanto logicamente motivata, erano equivalenti a quelle precedentemente esercitate, atteso che il lavoratore ha conservato la responsabilita’ per tutti gli adempimenti di particolare complessita’ implicanti “una conoscenza teorico – giuridica ed autonomia operativa, conoscenza ed applicazione di leggi, redazione di relazioni e rapporti giudiziari e amministrativi, predisposizione di atti del settore edilizio, urbanistico e commerciale e di infortunistica stradale”. In sostanza il M. ha conservato la massima parte delle attribuzioni, nelle quali poteva esercitare tutta l’esperienza professionale acquisita con piena responsabilita’ e in aderenza alla sua posizione di impiegato (OMISSIS).

Quanto all’assunto della sussistenza di un danno economico le argomentazioni del ricorrente sono formulate in modo del tutto generico e pertanto devono considerarsi inammissibili.

Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.

In applicazione del criterio della soccombenza il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 11,00, oltre Euro 2000,00 per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA. Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2010

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