Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16579 del 15/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 15/07/2010, (ud. 23/02/2010, dep. 15/07/2010), n.16579

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

IMPREGILO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARBERINI 86, presso lo studio

dell’avvocato CARDIA MARCO, che lo rappresenta, e difende unitamente

all’avvocato ROTONDI FRANCESCO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.V.A.L., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA SABOTINO 22, presso lo studio dell’avvocato TARDELLA CARLO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato JUCCI GUIDO, giusta

delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 751/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/11/2005 R.G.N. 622/04;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

23/02/2010 dal Consigliere Dott. MONACI Stefano;

udito l’Avvocato PETRACCA NICOLA per delega ROTONDI FRANCESCO;

udito l’Avvocato TARDELLA CARLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PIVETTI Marco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Dott. B.V.A.L. (d’ora innanzi, per razionalita’, dr. B.) ha convenuto in giudizio la Impregilo s.p.a. esponendo:

di aver lavorato all’estero per conto della societa’ con contratti di lavoro succedutisi nel tempo;

che nell’ultimo rapporto egli aveva lavorato quale addetto all’ufficio di rappresentanza della societa’ a (OMISSIS);

che aveva goduto di benefits quali autovettura e appartamento;

che nel settembre del 1998 la Impregilo gli aveva comunicato telefonicamente di essere impossibilitata a ricollocarlo in (OMISSIS) (come previsto da accordi presi all’inizio della collaborazione) o in altra sede;

che egli aveva quindi chiesto di usufruire di un periodo di aspettativa;

che il 18 dicembre 1998 la societa’ gli aveva comunicato il licenziamento, motivando il recesso con la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, dovuto alla riorganizzazione e razionalizzazione dell’organico a (OMISSIS).

Il dr. B. ha lamentato la illegittimita’ del licenziamento chiedendo la condanna della societa’ alla reintegrazione ed al risarcimento del danno.

La Impregilo si era costituita eccependo la carenza di legittimazione passiva sostenendo che il dr. B. non sarebbe mai stato suo dipendente, ma dipendente di societa’ estere (la Impregilo (OMISSIS) e la Impregilo (OMISSIS)), eccependo nel merito la inapplicabilita’ della legge italiana, in base alla L. n. 218 del 1995, in subordine la violazione dell’art. 412 c.p.c. sul tentativo obbligatorio di conciliazione, comunque sostenendo che le parti avrebbero disciplinato in maniera esclusiva il rapporto con il contratto dell'(OMISSIS) stipulato nelle (OMISSIS), e che questo contratto prevedeva un’espressa deroga ad ogni “relativa diversa previsione di legge e contrattuale vigente..”; in subordine sosteneva la sussistenza delle ragioni addotte per il licenziamento.

La convenuta proponeva anche una domanda riconvenzionale subordinata di condanna del ricorrente a restituire, in caso di accoglimento delle sue domande, le somme percepite a titolo di indennita’ di preavviso.

Il Tribunale di Monza accoglieva il ricorso ordinando la reintegrazione del dr. B..

Questa pronunzia e’ stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 751, depositata in cancelleria l’otto novembre 2005, e che non risulta notificata.

Avverso la sentenza di appello la societa’ Impregilo ha proposto ricorso per cassazione, con sette motivi di impugnazione, notificato, in termine, il 7 novembre 2006.

L’intimato dr. B. ha resistito con controricorso notificato, in termine, il 5 dicembre 2006.

La Impregilo, infine, ha depositato una memoria integrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nei primi due motivi di impugnazione si denunzia la violazione e falsa applicazione di una serie di disposizioni normative, e, tra le altre, specificamente dell’art. 5 della convenzione OCSE 18 ottobre 1989, ed il vizio di motivazione, eccependo, nel primo motivo, la carenza di legittimazione passiva della Impregilo e, nel secondo motivo, che la legge applicabile non poteva essere quella italiana (ma semmai quella delle (OMISSIS)), in quanto il prestatore non era stato dipendente della societa’ stessa, ma di societa’ estere che costituivano entita’ autonome.

Nel terzo motivo si lamenta la violazione degli artt. 410, 410 bis e 412 bis, ed il connesso vizio di motivazione, per omesso espletamento preventivo del tentativo di conciliazione, in quanto la richiesta della controparte alla Direzione Provinciale del Lavoro era incompleta, perche’ si era limitata ad impugnare la legittimita’ del licenziamento, e non conteneva in se’ tutte le domande proposte successivamente.

Nel quarto motivo si denunzia la violazione di legge ed il difetto di motivazione perche’ la sentenza aveva ritenuto l’illegittimita’ del licenziamento per mancanza di un giustificato motivo oggettivo.

La Impregilo ribadisce, invece, l’impossibilita’ di ricollocare il dr. B. presso l’ufficio di (OMISSIS) e la soppressione del posto di lavoro prima occupato dal dr. B.: questo costituiva giustificato motivo di recesso, ed il relativo motivo di impugnazione non era stato esaminato dalla Corte d’Appello.

Nel quinto motivo la societa’ lamenta, sotto gli stessi profili della violazione di legge e vizio di motivazione, la lesione del principio della liberta’ di impresa, criticando la sentenza di appello per aver ritenuto che sussistesse un obbligo di “repechage”; nel caso di specie la sentenza aveva ritenuto che il datore di lavoro fosse tenuto a fornire una prova negativa in questo senso, e non fosse, invece, il prestatore ad essere tenuto ad indicare in positivo quali possibilita’ sussistessero per una sua riutilizzazione, motivando che in una struttura complessa, e dispersa in piu’ territori, come quella della Impregilo, il singolo prestatore si trovava nell’impossibilita’ di conoscere in maniera non sommaria l’organizzazione dell’azienda.

Nel sesto motivo si ripropongono sostanzialmente gli stessi vizi denunziati nel motivo precedente criticando il passaggio della sentenza in cui il giudice era giunto alla conclusione che la decisione di licenziare il dr. B. piu’ che da una impossibilita’ di ricollocazione fosse frutto della convinzione della datrice di lavoro di poter licenziare liberamente il dipendente, e contesta la rilevanza di un documento (il verbale di una riunione tenutasi a (OMISSIS), mesi prima del recesso, tra i rappresentanti di alcune imprese, tra cui appunto l’italiana Impregilo), che – secondo la ricorrente – sarebbe stata alla base di questa conclusione del giudice.

Infine, nel settimo motivo di impugnazione, la societa’ denunzia ulteriori violazioni di legge e vizi di motivazione, lamentando che la Corte d’Appello non aveva motivato in alcun modo sul mancato accoglimento delle prove articolate sull’eccezione dell’aliunde perceptum.

Sostiene di aver corrisposto al dr. B., in esecuzione della sentenza di primo grado, l’equivalente di 15 mensilita’ di retribuzioni globale di fatto (avendo l’interessato, dopo la pronunzia di primo grado, optato per questa soluzione in luogo della reintegrazione), mentre invece lo stesso dr. B. aveva precisato in sede di interrogatorio di essersi rioccupato in un tempo piu’ breve, dopo circa 12 mesi.

2. Il ricorso e’ infondato, e non puo’ trovare accoglimento.

Il primo motivo sulla pretesa insussistenza di un contratto di lavoro subordinato del dr. B. con l’attuale ricorrente Impregilo s.p.a (bensi’ solamente con la Impregilo s.p.a. (OMISSIS)), con conseguente carenza di legittimazione passiva della stessa societa’ ricorrente, si risolve in una diversa interpretazione e valutazione dei fatti materiali.

In realta’ la ricorrente non ha dedotto di avere dato la prova del fatto che la Impregilo s.p.a. (OMISSIS) costituisse una entita’ effettivamente autonoma, e non semplicemente – come induce a ritenere la sua stessa denominazione, e come esattamente ritenuto dalla sentenza impugnata – una articolazione organizzativa della societa’ italiana.

Che invece si trattasse proprio di questo lo si ricava dall’ultima parte del motivo (alle pagg. 30 e seguenti) dove si invocano disposizioni (contenute in apposite convenzioni internazionali) di carattere tributario, dirette ad evitare doppie imposizioni a carico del medesimo soggetto giuridico operante in piu’ stati, ma che non hanno nulla a che fare con i rapporti strettamente contrattuali e con quelli di lavoro in particolare. D’altra parte la stessa ricorrente ammette, a pag. 24 del ricorso, che l’accertamento dell’esistenza di una contemplatici domini e’ compito istituzionalmente devoluto al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimita’ se non per vizio di motivazione.

La sentenza ha ritenuto che la scelta della legge italiana, pur se non espressa, risultava in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto.

Va tenuto presente che entrambe le parti contrattuali erano italiane (il dr. B. quale prestatore di lavoro di nazionalita’ italiana, e con normale residenza in (OMISSIS), la Impregilo quale societa’ di capitali con sede in (OMISSIS) e disciplinata dal diritto italiano), e queste circostanze non sono state neppure poste in dubbio in alcun modo, e che il dr. B. prestava la propria attivita’ nell’interesse della stessa Impregilo: sussistono percio’ elementi indiziari piu’ che consistenti per ritenere (del resto secondo logica) che il contratto di lavoro sia stato posto in essere appunto tra la societa’ italiana ed il lavoratore italiano, e che la Impregilo s.p.a. (OMISSIS) (vale a dire con la filiale (OMISSIS) della ricorrente) agisse per conto della Impregilo s.p.a.

italiana, e non il contrario, e che appunto per conto dell’attuale ricorrente abbia formalizzato per iscritto il contratto di lavoro con il dr. B..

Ne’ sussiste il lamentato difetto di motivazione, perche’ nella sentenza impugnata la Corte d’Appello di Milano ha motivato in maniera ampia e con coerenza su questi punti, e le sue argomentazioni non vengono scalfite in alcun modo dalle considerazioni astratte e generiche della ricorrente.

La sentenza sottolinea, infatti, in particolare, che dalla documentazione in atti si ricavava senza ombra di dubbio che il contratto di lavoro era stato concluso in (OMISSIS) tra la Impregilo s.p.a. ed il dr. B., ancorche’ la sede di lavoro fosse nelle (OMISSIS), che la stessa societa’, attuale ricorrente dava atto in una propria dichiarazione di avere ottenuto l’apposita autorizzazione (richiesta dalla normativa interna italiana) per l’assunzione all’estero del lavoratore, ed infine, che la lettera di licenziamento era stata sottoscritta dalla medesima Impregilo s.p.a., senza fare alcun riferimento alla Impregilo (OMISSIS), ne’ al fatto di agire nella qualita’ di “mandatario” di questa ultima.

3. Ne’ e’ fondato il secondo motivo di impugnazione in cui si allega che il contratto di lavoro dovrebbe essere regolato dalla legge locale delle (OMISSIS), e non – come giustamente ritenuto nella sentenza impugnata – da quella italiana, perche’ il testo del contratto, riportato dalla ricorrente alle pagg. 37 – 44 del ricorso, fa riferimento chiaramente al diritto interno italiano, richiamando istituti specifici (ad esempio, a pag. 38, la tredicesima mensilita’) peculiari alla normativa interna italiana ed inesistenti, di regola, in quelle degli altri stati. Ne’ avrebbe senso, se non fosse un contratto stipulato tra soggetti italiani e regolato dal diritto interno italiano, il richiamo (sempre a pag. 38 del testo) alla legge a tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei lavoratori italiani impegnati in paesi extracomunitari, in relazione alle responsabilita’ dell’impresa per cio’ che concerne i rischi ambientali locali, ne’ quello al rientro in patria (a p. 40), ne’, tanto meno, l’indicazione del foro di Milano (a p. 44) come competente per alcuni tipi di possibili controversie.

Ne’, del resto, la ricorrente chiede l’applicazione della legge (OMISSIS), ne’ precisa in alcun modo quale sarebbe stato il contenuto concreto di essa, ne’ perche’ avrebbe dovuto condurre alla reiezione delle domande del lavoratore.

Al contrario, la normativa del lavoro delle (OMISSIS) stabilisce, nel Codice del Lavoro delle (OMISSIS) contenuto nel Decreto Presidenziale n. 442 e successive modificazioni, all’art. 279, che il lavoratore a tempo indeterminato non possa essere licenziato se non per giusta causa (vale a dire nelle ipotesi indicate nel successivo art. 282) e che se viene licenziato illegittimamente abbia diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni perdute.

4. Il terzo motivo di impugnazione e’ palesemente infondato. Manca della necessaria autosufficienza, in quanto la ricorrente non riporta il contenuto della richiesta di tentativo di conciliazione.

E’ infondato, inoltre, nel merito perche’ ai fini almeno del tentativo di conciliazione e’ sufficiente che il lavoratore abbia esposto la sua domanda in senso sostanziale, ma non ne discente alcuna preclusione quanto alla possibilita’ di prospettare nuove causae petendi, oppure nuovi profili; d’altra parte, dato che aveva dichiarato di impugnare il licenziamento nei confronti della Impregilo s.p.a., era implicito che intendeva anche affermare che il rapporto era intercorso con tale societa’, e chiedere il riconoscimento di questa circostanza di fatto.

5. Sono infondati anche i successivi tre motivi, tutti in materia di obbligo di repechage.

Lo e’ il quarto motivo, perche’ la critica proposta e’ inconferente:

la sentenza, infatti, afferma soltanto che la societa’ convenuta non aveva effettuato il repechage del dipendente, non che non era possibile sopprimere quel posto certo posto da lui occupato a (OMISSIS).

La societa’ avrebbe dovuto dimostrare che non era possibile impiegare il dr. B. altrove, ne’ in Italia, ne’ in altre sedi estere diverse dalle (OMISSIS).

Sono infondati il quinto ed il sesto motivo, connessi strettamente tra loro e come tali da trattare unitariamente. Secondo quanto risulta in linea di fatto dalla sentenza (a pag. 7 della motivazione), il lavoratore interessato aveva adempiuto al suo onere di allegazione indicando una serie di uffici di rappresentanza dove, a suo parere, avrebbe potuto essere impiegato senza, d’altra parte, che la societa’ avesse eccepito nulla sul punto, ne’ in termine di inesistenza di tali uffici, ne’ di mancanza di posizioni vacanti presso di essi.

La sentenza rileva inoltre che il ricorrente aveva dedotto che anzi i dirigenti della societa’ avevano previsto, in un incontro tenuto a (OMISSIS), che il dr. B. sarebbe stato trasferito ed assegnato a nuove funzioni, e che anche questa affermazione non era stata smentita dalla societa’, che si era limitata ad affermare che era irrilevante.

La sentenza percio’ ne deduce correttamente che il successivo ripensamento aziendale non era dovuto ad una mancata possibilita’ di collocare altrove il dr. B., ma alla erronea convinzione di poterlo licenziare liberamente.

Infine, una serie di ulteriori profili di censura, esposti, in particolare, nel sesto motivo di impugnazione, consistono nella riproposizione di questioni di fatto, relative in particolare alla valutazione dell’accordo intervenuto a (OMISSIS) ed alla necessita’, o meno, di assumere ulteriori prove (richieste dalla societa’), che appunto perche’ sono di fatto, non sono suscettibili di riesame in questa fase di legittimita’.

6. Infine, il settimo motivo, e’ inammissibile perche’ di carattere meramente esplorativo; la ricorrente non ha neppure allegato (e, tanto meno, dimostrato) di avere offerto la prova che il dr. B. abbia percepito altre retribuzioni (l’aliunde perceptum) nel periodo cui fa riferimento il risarcimento riconosciuto al lavoratore.

7. Concludendo, dunque, il ricorso non puo’ che essere rigettato.

Le spese, liquidate nell’importo indicato in motivazione, seguono la soccombenza a carico della societa’ ricorrente.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida che liquida Euro 35,00, oltre Euro 5.000,00 (cinquemila/00) per onorari, ed alle spese generali, IVA e CPA. Cosi’ deciso in Roma, il 23 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2010

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