Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16579 del 05/07/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. lav., 05/07/2017, (ud. 07/03/2017, dep.05/07/2017),  n. 16579

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18616/2011 proposto da:

D.G.L., C.F. (OMISSIS), C.A.M. C.F. (OMISSIS),

D.L.G., C.F. (OMISSIS), CA.FR., C.F. (OMISSIS),

D.R. C.F. (OMISSIS), L.S. C.F. (OMISSIS),

M.S. C.F. (OMISSIS), tutti elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA BOCCA DI LEONE 78 (Studio Legale BDL) presso lo studio

dell’avvocato MAURIZIO CINELLI, che li rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– ricorrenti –

contro

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, C.F. (OMISSIS);

– intimato –

nonchè da:

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato MICHEL

MARTONE, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.G.L., C.F. (OMISSIS), C.A.M. C.F. (OMISSIS),

D.L.G., C.F. (OMISSIS), CA.FR., C.F. (OMISSIS),

D.R. C.F. (OMISSIS), L.S., C.F. (OMISSIS),

M.S., C.F. (OMISSIS), tutti elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA BOCCA DI LEONE 78 (Studio Legale BDL) presso lo studio

dell’avvocato MAURIZIO CINELLI, che li rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 618/2010 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/01/2011 R.G.N. 314/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/03/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per rigetto di entrambi i ricorsi;

udito l’Avvocato CARLO ALBERTO NICOLINI per delega Avvocato MAURIZIO

CINELLI;

udito l’Avvocato ANTONIO MARTONE per delega Avvocato MICHEL MARTONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Brescia con sentenza n. 618/2010 ha accolto, nei soli limiti della differenza tra quanto trattenuto dall’INAIL a titolo di oneri riflessi e quanto in effetti da ciascuno dovuto in considerazione della posizione contributiva e di anzianità individuale, l’appello proposto dagli avvocati D.G.L., D.R., M.S., L.S., D.L.G., Ca.Fr., C.A.M.. La sentenza appellata, pronunciata dal Tribunale della stessa città, dato atto dell’avvenuta restituzione da parte dell’Inail di quanto trattenuto a titolo di Irap, aveva rigettato la domanda proposta dai predetti avvocati tutti dipendenti dell’INAIL, tendente a riconoscerne il diritto a percepire gli emolumenti loro spettanti a titolo di compensi professionali (ai sensi dell’art. 3 del Regolamento interno, emanato nel 2003, per la corresponsione dei compensi professionali agli avvocati) per i periodi indicati, senza le decurtazioni per gli oneri riflessi che l’Istituto aveva operato interpretando la disposizione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 208, come eccezione al principio della ripartizione dell’onere contributivo tra datore di lavoro e dipendente, giustificata dalla finalità di ridurre la spesa sostenuta dalle pubbliche amministrazioni.

La Corte territoriale, condividendo quanto espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.33/2009, ha respinto la tesi dei legali secondo la quale la disposizione oggetto di causa era destinata esclusivamente a dettare regole uniformi di evidenza contabile degli oneri contributivi posti a carico delle amministrazioni pubbliche datrici di lavoro ed ha interpretato la medesima disposizione come intesa a porre a solo carico dei dipendenti gli oneri contributivi.

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia i legali hanno proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi cui resiste l’INAIL con controricorso e ricorso incidentale fondato su tre motivi cui resistono i ricorrenti con controricorso. Tutte le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale viene dedotta la violazione e o falsa applicazione dell’art. 1, comma 208 nonchè dei commi 176-179, 181, 183, 186, 189-192, 195-198, 207 della L. n. 266 del 2005 e dell’art. 12 preleggi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ed all’uopo si rileva che la Corte territoriale avrebbe errato nell’interpretazione del comma 208, tradendo l’effettiva “ratio” della disposizione da ravvisare nella imposizione di una regola contabile uniforme di indicare, in bilancio, le somme destinate ai compensi professionali al lordo degli oneri contributivi. L’interpretazione suggerita sarebbe confermata dal contenuto dei commi compresi dai numeri 176 e ss. ispirati alla trasparenza di bilancio e non smentita dalla sentenza della Corte costituzionale n. 33/2009. Peraltro, la stessa sentenza impugnata avrebbe implicitamente ammesso l’irrazionalità della interpretazione adottata riconoscendo l’erroneità dell’applicazione indistinta della medesima aliquota a tutti gli avvocati ed a prescindere dalla aliquota effettivamente dovuta per ciascuno di essi. Si avversa, inoltre, la tesi interpretativa sostenuta dall’Inail ribadendo la necessità di negare l’interpretazione accolta dalla Corte d’appello di Brescia in ragione del fatto che la ratio della disposizione in esame dovrebbe essere ravvisata nella finalità di superare la disomogeneità dei criteri di redazione dei bilanci dei diversi enti per ottenere quella trasparenza contabile che costituisce strumento ineliminabile per il buon esito di ogni politica nazionale di riduzione della spesa pubblica. Pertanto, l’interpretazione andrebbe condotta in via sistematica, anche considerando che i compensi in questione sono voci retributive che compensano qualità specifiche e che la provenienza dei relativi fondi da soggetti diversi dallo Stato non giustifica alcuna logica di risparmio pubblico. Una diversa lettura, poi, sarebbe in pieno contrasto con la disciplina generale di cui all’art. 2115 c.c. senza avvalersi di alcuna espressa previsione testuale; violerebbe, peraltro, gli artt. 2, 36, 38, 117 e 119 Cost.. Con la memoria difensiva, poi, i ricorrenti hanno accostato le ragioni predette alla diversa esplicita portata delle leggi più recenti che hanno previsto decurtazioni agli stipendi pubblici.

2. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e o falsa applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 208 qualora lo si applicasse anche alle quote di retribuzione corrispondenti agli onorari riscossi da terzi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, giacchè in tal caso non si tratterebbe di somme dovute in base a specifiche disposizioni contrattuali, ma derivate dai pagamenti effettuati dalle parti soccombenti e, dunque, solo distribuite agli avvocati da parte dell’Inail.

3. Il primo motivo del ricorso incidentale ha per oggetto la violazione e o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ai sensi dell’art. 360, n. 3 con riferimento al quantum di trattenute effettuate a titolo di oneri previdenziali riflessi. In breve, il ricorrente incidentale conferma che non intende mettere in discussione la necessità di erogare i compensi secondo la logica che prevede la pre deduzione degli oneri riflessi dall’importo pro capite di ogni singolo avvocato e ribadisce di aver provveduto a rettificare la corresponsione ma contesta che la Corte territoriale, nonostante tale posizione processuale, abbia ugualmente formulato condanna al pagamento di generiche differenze;

4. Il secondo motivo del ricorso incidentale ha per oggetto la violazione e o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 208 ai sensi dell’art. 360, n. 3 e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento al quantum di trattenute effettuate a titolo di IRAP. In breve, il ricorrente conferma che non intende mettere in discussione la necessità di restituire quanto trattenuto a titolo di IRAP in quanto non previsto dalla disposizione di cui si discute, come chiarito dall’Agenzia delle entrate con la risoluzione 327/E/2007, tuttavia lamenta che la Corte territoriale abbia aderito acriticamente ai conteggi proposti dai legali senza tener conto dei rilievi sollevati dallo stesso Istituto che aveva inizialmente trattenuto sul monte compensi complessivo l’aliquota dell’8,50 %. Al momento della restituzione individuale di quanto decurtato a titolo di IRAP, poi, era stata applicata, anche sulle somme restituite la decurtazione per oneri diretti e riflessi.

5. Il terzo motivo è consequenziale all’accoglimento dei precedenti ed ha per oggetto la violazione dell’art. 92 c.p.c. sulla regolamentazione delle spese del giudizio.

6. I due motivi del ricorso principale, in quanto fortemente connessi dall’unico tema dell’interpretazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 208, vanno trattati congiuntamente e sono infondati.

7. La materia dei compensi professionali percepiti dagli avvocati dipendenti dagli enti “parastatali” (e quindi anche dall’INAIL), ha formato oggetto della previsione della L. 20 marzo 1975, n. 7, art. 26, comma 4, che stabilisce: “Gli accordi sindacali prevederanno la misura percentuale della partecipazione degli appartenenti al ruolo professionale, per l’attività da essi svolta, alle competenze e agli onorari giudizialmente liquidati a favore dell’ente”. Con delibera del Commissario straordinario dell’INAIL del 25 settembre 2003, n. 788, è stato approvato il regolamento attuativo del verbale d’intesa con le organizzazioni sindacali del 30 luglio 2003, ai sensi del quale l’importo delle competenze professionali deve essere ripartito, ogni quattro mesi, tra i singoli aventi diritto, secondo i medesimi criteri già previsti dalla D.P.R. 29 maggio 1976, n. 411, art. 30 (Disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70, che fanno riferimento all’anzianità di servizio ed alla eventuale abilitazione al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori. Gli importi individuali risultanti dalla ripartizione “sono soggetti alle contribuzioni previdenziali ed assistenziali, nonchè alle ritenute erariali previste dalle vigenti disposizioni di legge” (art. 5).

8. In definitiva, la nozione di “compensi professionali” da liquidare agli avvocati interni, contenuta nei CCNL e nei regolamenti interni, va riferita ai diritti ed onorari di avvocato liquidati dal giudice e la questione che forma oggetto del giudizio è se tali compensi devono considerarsi al lordo dei c.d. “oneri riflessi”.

9. Il testo della disposizione è il seguente: “Le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell’avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro”.

10. La questione interpretativa, alla luce del quadro d’insieme che ha registrato anche l’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 33/2009 di rigetto della questione di costituzionalità, deve prendere le mosse dall’individuazione degli effetti di tale pronuncia sull’ordinario esercizio del potere di interpretare la norma scrutinata dalla Corte costituzionale da parte del giudice che deve farne applicazione.

11. Non pare dubbio che non si versi in ipotesi di sentenza cd. interpretativa di rigetto, dunque, deve essere affrontata la questione dell’ambito di autonomia interpretativa consentito al giudice della controversia in cui la legge, nei cui confronti è stata rigettata puramente la questione di costituzionalità, va applicata.

12. Sul punto va ricordato che questa Corte di cassazione con la sentenza n. 5747 del 12/03/2007, ha affermato che è vero che l’interpretazione che, di una norma sottoposta a scrutinio di costituzionalità, offre la Corte costituzionale in una sentenza di non fondatezza non costituisce un vincolo per il giudice successivamente chiamato ad applicare quella norma; ma è altrettanto vero che quella interpretazione, se non altro per l’autorevolezza della fonte da cui proviene, rappresenta un fondamentale contributo ermeneutico che non può essere disconosciuto senza l’esistenza di una valida ragione.

13. Questa Corte ha pure stabilito che qualora una determinata materia venga sottoposta al vaglio sia della Corte costituzionale che della Corte di cassazione, “il fondamento comune delle due distinte attività, finalisticamente diverse, esige che, al fine dell’utile risultato della certezza del diritto oggettivo, le interpretazioni non vengano a divergere se non quando sussistano elementi sicuri per attribuire prevalenza alla tesi contraria a quella in precedenza affermata” (Cass., SS.UU. 20 giugno 1969, n. 2175; Cass., SS. UU. 2 dicembre 2004, n. 22601).

14. Nel caso di specie il valore della massima va confermato alla luce della obiettiva conferma dell’interpretazione seguita della Corte costituzionale da parte della successiva giurisprudenza, contabile o ordinaria, come è avvenuto nel caso in esame, bastando indicare in proposito la deliberazione della Corte dei Conti a Sezioni Riunite n. 33/2010 che ha motivato la decisione proprio prendendo le mosse dalla sentenza della Corte costituzionale n. 33/2009 e la pressochè univoca giurisprudenza di merito da cui pare essersi discostata solo taluna pronuncia.

15. Va dato atto, dunque, che la Corte Costituzionale ha esaminato la questione di costituzionalità che le era stata prospettata attribuendo alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 208 il significato che la sentenza impugnata ha inteso negare. In particolare, riferisce la Corte costituzionale che “secondo il giudice a quo la norma censurata comporta che i compensi professionali corrisposti al personale dell’avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche debbano considerarsi al lordo di tutti gli oneri contributivi, anche di quelli posti a carico del datore di lavoro”.

Su tale base interpretativa, fatta propria dal Giudice delle leggi, si è svolto il giudizio di legittimità costituzionale e tale interpretazione è certamente conforme a quella patrocinata dalla sentenza impugnata e dagli odierni contro ricorrenti.

16. Ciò premesso, va altresì considerato che il testo della disposizione in commento appare estremamente chiaro laddove prevede che: “Le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali…. sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro”.

L’uso delle parole “le somme… sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro” nel comune significato della lingua italiana vuol dire che le somme da corrispondersi agli avvocati a titolo di compensi devono considerarsi comprensive e cioè al lordo degli oneri riflessi, mentre in nessun punto del testo si fa cenno alla imposizione, alle diverse pubbliche amministrazioni destinatarie, di indicazioni di esclusivo rilievo contabile, nè tale possibilità pare sostenibile proprio alla luce della diversa tipologia di enti pubblici cui la disposizione si rivolge (parastato, enti locali, etc..) cui si riconnettono situazioni gestionali e contabili assai diverse.

17. L’art. 12 preleggi impone che debba applicarsi la legge secondo il significato fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore.

Il criterio testuale, dunque, si basa sulla determinazione del significato dell’espressione legislativa in base al suo valore semantico secondo l’uso linguistico generale. Questa Corte di legittimità (vd. Cass. 11359/1993; SS.UU. 4000/1982; 5128/2001) ha, inoltre, avuto modo di chiarire che nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercè l’esame complessivo del testo, della “mens legis”, specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore.

18. Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l’elemento letterale e l’intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sì che il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all’equivocità del testo da interpretare, potendo, infine, assumere rilievo prevalente rispetto all’interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l’effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo consentito all’interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell’ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma stessa è intesa.

19. Quanto agli argomenti utilizzati per disconoscere la validità del criterio letterale, deve osservarsi che non attenua la chiarezza del testo la circostanza della soppressione della rubrica, contenente l’espresso richiamo alla finalità del risparmio di spesa, nella L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 208 all’atto dell’approvazione del disegno di legge. Tutti i 602 commi dell’unico articolo della L. Finanziaria n. 266/2005 sono stati approvati eliminando le rubriche ed anzi dalla lettura del gruppo di commi che immediatamente precedono e seguono il comma 208 si evince che tutti hanno ad oggetto interventi espliciti sulla spesa derivante dall’impiego pubblico (così ad es. il comma 213 che prevede la soppressione di diverse ipotesi di concessione di indennità di trasferta o il comma 210 che limita i criteri di computo dell’equo indennizzo per causa di servizio).

20. Infine, va osservato che, come già deciso dalla Corte Costituzionale, nessun dubbio di legittimità costituzionale può sorgere ed all’uopo basta richiamare la sentenza n. 33/2009, le cui ragioni continuano a dimostrarsi prevalenti anche rispetto ai dubbi suggestivi sollevati dai contro ricorrenti.

21. Va, dunque ribadito, come deciso dalla Corte costituzionale, che non risulta suffragata da idonea argomentazione l’affermazione del collegamento esistente tra l’art. 2 Cost. con il principio della parità degli oneri contributivi enunciato dall’art. 2115 c.c. salvo che la legge disponga diversamente.

22. Inoltre, va pure osservato che la deroga al principio del concorso negli oneri contributivi è, nel caso di specie, limitata alle sole somme erogate per compensi professionali che, seppure aventi natura retributiva, assumono un aspetto accessorio dell’intera retribuzione.

23. Peraltro, se non può negarsi che un diverso assetto, comunque si ripete selettivamente limitato ai soli compensi professionali, del riparto dell’onere contributivo incide necessariamente sul quantum della erogazione netta, va pure detto che la possibilità di operare tale deroga da parte della legge non lede la competenza della contrattazione collettiva perchè l’intervento, come rilevato dalla Corte costituzionale riguarda il regime degli oneri contributivi che accedono alla prestazione e non la regolamentazione dell’emolumento in sè considerato.

24. Va esclusa, poi, come rilevato dalla Corte costituzionale, la violazione dell’art. 3 Cost., poichè, quanto alla parità di trattamento, essendo il personale dell’avvocatura interna delle pubbliche amministrazioni il solo che percepisce compensi professionali, manca un tertium comparationis su cui operare un raffronto e, quanto alla manifesta irragionevolezza, poichè nell’ottica della traslazione degli oneri previdenziali è irrilevante la derivazione di quei compensi dalla condanna di controparte alle spese del giudizio, piuttosto che dalla loro compensazione tra le parti.

25. Non induce a diverso convincimento il rilievo dell’effetto discriminatorio nei loro confronti che i ricorrenti ravvisano, nella memoria ex art. 378 c.p.c., anche in conseguenza delle affermazioni di Corte costituzionale n. 223/2012. Infatti, tale pronuncia risulta riferita a fattispecie assai differente, incidente sul comma 10 del D.L. n. 78 del 2010, art. 12, il quale disponeva che sulle anzianità contributive maturate a fare tempo dal 1 gennaio 2011, si applicasse l’aliquota del 6,91%, senza determinare il venire meno della trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% della base contributiva della buonuscita, operata a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita, in combinato con il D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 37.

26. Il regime risultante è stato ritenuto in violazione degli artt. 3 e 36 Cost., in quanto la trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% della base contributiva della buonuscita, aveva prodotto una riduzione dell’accantonamento, illogica anche perchè in nessuna misura collegata con la qualità e quantità del lavoro.

27. Ben diversa, però, se non altro per la struttura complessiva legata all’accumulo di fondi attraverso ritenute contributive per l’intera durata del rapporto, è l’indennità di buonuscita dei pubblici dipendenti rispetto al compenso professionale di cui si discute che si risolve in una forma di emolumento con tendenziale finalità incentivante.

28. L’accostamento di due entità così diverse, senza alcuna ponderazione del complessivo trattamento retributivo di cui fruiscono i contro ricorrenti, oltre che mostrarsi irrilevante al fine di provare una intrinseca irrazionalità o disparità di trattamento, si pone in contrasto con la giurisprudenza costituzionale secondo la quale il giudizio sulla conformità al parametro dell’art. 36 Cost. non può essere svolto in relazione a singoli istituti, nè limitatamente a periodi brevi, poichè si deve valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza, alla luce del canone della onnicomprensività (Corte cost. n. 154 del 2014; 178/2015).

29. Non sussiste, infine, la violazione dell’art. 39 Cost., poichè la norma censurata non si sostituisce alla fonte contrattuale di regolamentazione dell’erogazione dei compensi professionali ma disciplina piuttosto la distribuzione del carico contributivo tra ente pubblico-datore di lavoro e dipendente che è esterno ed estraneo alla competenza contrattuale collettiva (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45).

30. I motivi del ricorso incidentale devono respingersi in quanto tutti privi di sufficiente specificità e di autosufficienza. Invero, il ricorrente incidentale non ha riportato in dettaglio il contenuto degli atti del giudizio di primo grado nei quali il medesimo Istituto ha contestato l’erroneità delle modalità di calcolo delle trattenute per oneri contributivi per ciascuna parte, nè ha indicato la loro sede processuale o li ha allegati al presente ricorso. Resta, dunque escluso che in sede di legittimità si possano verificare i termini della questione oggetto di doglianza.

31. Questa Corte di cassazione ha chiarito che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass. 14784/2015; 8569/2013).

32. In definitiva, vanno respinti sia il ricorso principale che quello incidentale.

33. La reciproca soccombenza determina la compensazione delle spese del presente giudizio.

PQM

 

Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale; dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA