Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16578 del 05/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 05/07/2017, (ud. 07/03/2017, dep.05/07/2017),  n. 16578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14258-2015 proposto da:

C.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ADDA 99, presso lo studio dell’avvocato BRUNO DE CICCIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato UGO DELLA MONICA, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

B.G.;

– intimato-

avverso la sentenza n. 1153/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 19/11/2014 R.G.N. 263/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/03/2017 dal Consigliere Dott. ESPOSITO LUCIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LUDOVICI LUIGI per delega Avvocato DELLA MONICA UGO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 19 novembre 2014, riformando parzialmente la decisione del giudice di primo grado che aveva ritenuto sussistente un unico rapporto di lavoro subordinato dal 10/6/1991 al 31/12/2005 tra C.G., titolare di un’officina meccanica, e B.G., operaio carburatorista, accertò che il rapporto tra i predetti si era svolto in due distinti periodi, dal giugno 1991 all’aprile 1996 e dal febbraio 1999 al dicembre 2005. Di conseguenza, dichiarata l’intervenuta prescrizione in relazione al primo periodo lavorativo, rideterminò l’importo dovuto al lavoratore a titolo di differenze retributive, tredicesima mensilità, indennità sostitutiva delle ferie non godute e trattamento di fine rapporto.

2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il C. sulla base di tre motivi. La controparte non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2722 c.c., nella parte in cui la Corte d’appello, sulla scorta delle prove testimoniali, ha ritenuto accertato lo svolgimento del rapporto di lavoro tra le parti nei periodi indicati. Osserva che i giudici d’appello non avevano sorretto la valutazione delle prove testimoniali e documentali mediante congrua motivazione, tenuto conto anche dei limiti all’ammissibilità della prova testimoniale e del principio di prova scritta desumibile dai documenti versati in atti. Rileva, inoltre, che gli stessi giudici avevano reputato attendibili solo alcune dichiarazioni testimoniali senza effettuare al riguardo congrua motivazione.

2. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente, infatti, si è limitato a proporre una valutazione delle risultanze istruttorie alternativa rispetto a quella offerta in sentenza, in tal modo sottoponendo alla Corte di legittimità questioni di mero fatto atte a indurre a un preteso nuovo giudizio di merito precluso in questa sede. Va rilevato che la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (Cass. 28/11/2014 n. 25332).

3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 c.c., nella parte in cui ha ritenuto prescritte le sole pretese relative al primo periodo lavorativo.

Rileva che egli aveva eccepito l’intervenuta prescrizione per l’intera pretesa. Osserva che poichè dal libro matricola risultava che il B. aveva lavorato dal 10/6/1991 al 30/4/1996 e dall’8/2/1999 al 21/9/2001, doveva ritenersi maturata anche la prescrizione di uno o tre anni per le retribuzioni, secondo se pagate mensilmente o con cadenza superiore al mese.

4. La censura è infondata. I giudici di merito, infatti, ritenendo superate le risultanze del libro matricola a seguito dell’esame delle prove testimoniali, hanno stabilito che il secondo rapporto di lavoro ha avuto termine nel mese di dicembre 2005. Le censure esposte, pertanto, non valgono a scalfire le predette conclusioni, formulate a seguito di valutazione dei fatti riservata al giudice del merito. A fronte del suddetto accertamento nessun termine prescrizionale può ritenersi decorso.

5. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione art. 112 c.p.c., con riferimento alla statuizione con la quale la Corte territoriale lo ha condannato al pagamento della metà delle spese processuali del doppio grado di giudizio, pur essendo stata formulata dal B. esclusivamente richiesta di rivalsa delle spese del grado d’appello.

6. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente, a pg. 3 del ricorso espone che nella sentenza di primo grado era stato condannato al pagamento dei due terzi delle spesse processuali. La statuizione della sentenza di secondo grado, pertanto, è per la stessa parte più favorevole, poichè le spese del doppio grado sono attribuite all’appellante nella misura della metà. L’impugnazione, di conseguenza, difetta d’interesse. Va ricordato in proposito che “il principio contenuto nell’art. 100 c.p.c., secondo il quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, in cui l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone” (Cass. del 15/01/2016 n. 594).

7. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va integralmente rigettato. Nulla va disposto in relazione alle spese di giudizio, in mancanza di svolgimento di attività difensiva ad opera della parte intimata. Alla soccombenza consegue la statuizione inerente alla maggiorazione del contributo unificato.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2017

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