Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16577 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/06/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 11/06/2021), n.16577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13438/2017 proposto da:

Comune di Milazzo (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore Avv. F.G., rappresentato e difeso dall’Avv.

Ruggero Zebito (C.F.: ZBTQGR63M07F158N) del foro di Barcellona Pozzo

di Gotto ed elettivamente domiciliato in Roma, alla Piazza San

Giovanni in Laterano 18/B, presso lo studio dell’Avv. Vincenzo

Nardelli (C.F.: NRDVCN74H19H501H), come da mandato speciale in calce

al ricorso rilasciato in forza della delibera dell’Organismo

Straordinario di Liquidazione per il dissesto finanziario del Comune

di Milazzo n. 6 del 27.3.2017;

– ricorrente –

contro

D.R., nata a (OMISSIS) il (OMISSIS), residente in

(OMISSIS), alla (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in Roma, alla Via Baldo degli Ubaldi n. 112, presso lo

studio dell’Avv. Mauro Cupitò (C.F.: CPT MRA 66P15 H501I), dal

quale è rappresentata e difesa, come da procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1426/27/2016 emessa dalla CTR Sicilia in data

13/04/2016 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea

Penta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La contribuente D.R. proponeva appello avverso la sentenza n. 458/12/07 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Messina in data 6/1/2008, che aveva rigettato il ricorso introduttivo contro il Comune di (OMISSIS) per l’avviso di liquidazione ICI, anno di imposta 2002. Con l’opposto avviso, notificato il 28/12/2006, dopo aver accertato una differenza di valore, rispetto a ò quello dichiarato su aree fabbricabili, riferite ad un terreno di proprietà della contribuente, sito nel Comune di (OMISSIS), in località (OMISSIS), il Comune aveva constatato che, sulla base degli strumenti urbanistici generali, lo stesso risultava ricadente in zona CT3, utilizzabile a fini edificatori. Procedeva, pertanto, al recupero a tassazione della maggiore imposta ICI, chiedendo il pagamento della somma complessiva di Euro 673,09, comprensiva di sanzioni ed interessi. La Commissione Tributaria Provinciale di Messina, sul presupposto che l’area oggetto dell’avviso di riliquidazione fosse utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi, rigettava il ricorso, compensando le spese del giudizio.

Nei motivi di appello la contribuente, censurando la sentenza impugnata, eccepiva la decadenza del diritto impositivo, l’eccessiva valutazione del terreno, la carenza di motivazione, l’inedificabilità, stante che il terreno in oggetto, pur se inserito nel piano regolatore generale, non poteva definirsi edificatorio, trattandosi di area non ancora normata mediante l’approvazione di piano urbanistico attuativo, risultando al momento vincolata a vincolo paesaggistico.

Con propria memoria di controdeduzioni si costituiva in giudizio il Sindaco pro-tempore del Comune di (OMISSIS), che a difesa della sentenza gravata, assumeva l’infondatezza dei motivi di appello.

Con sentenza del 13.4.2016, la CTR Sicilia accoglieva l’appello, sulla base delle seguenti considerazioni:

1) le aree oggetto dell’avviso di riliquidazione ICI non erano utilizzabili a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali od attuativi, atteso che nel P.R.G. i detti terreni ricadevano in zona ancora da normare con apposito piano particolareggiato da redigersi in contestualità logica con un piano paesistico;

2) inoltre, detti terreni ricadevano, sempre nel suddetto periodo, in zona sottoposta a vincolo paesistico ed a vincolo di immodificabilità temporanea del Territorio di (OMISSIS);

3) pertanto, le aree in questione, per quanto fossero qualificate come edificabili dallo strumento urbanistico generale, erano in attesa di essere normate da circa 20 anni e mancavano dell’elemento essenziale (tassativamente richiesto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5), quale era l’indice di edificabilità, che consentiva di stabilire il valore economico del terreno;

4) gli elementi sopra esposti configuravano in sostanza un vincolo giuridico di inedificabilità delle aree facenti parte del territorio di (OMISSIS) e, di conseguenza, non potevano considerarsi aree fabbricabili e, come tali, soggette all’imposta comunale sugli immobili;

5) poteva conclusivamente affermarsi che le aree oggetto del giudizio non erano qualificate come edificabili in forza dello strumento urbanistico generale, nè poteva affermarsi una potenzialità edificatoria, visto il vincolo paesistico istituito con decreto dell’Assessorato Regionale ed il vincolo di immodificabilità temporanea del Territorio del (OMISSIS) istituito dallo stesso Assessorato;

6) solo al momento dell’attuazione del piano paesistico, seguito dall’apposito piano particolareggiato, e dell’abrogazione del vincolo di immodificabilità temporanea del Territorio, le aree in questione avrebbero acquisito la destinazione edificatoria.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Comune di (OMISSIS), sulla base di due motivi.

D.R. ha resistito con controricorso.

Il Sostituto Procuratore Generale Dott. De Augustinis ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il Comune ricorrente ha dedotto violazione di legge (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b; L. n. 248 del 2006, art. 11 quaterdecies, comma 16, e L. n. 248 del 2006, art. 36), per avere la CTR erroneamente, a suo dire, interpretato la norma di cui al citato art. 11 quaterdecies, nel ritenere che l’edificabilità dovesse essere effettiva e non solo potenziale, omettendo, altresì, di considerare che la fattispecie sottoposta al suo esame dovesse essere regolata dalla L. n. 248 del 2006, art. 36 (D.L. n. 223 del 2006), secondo il quale l’edificabilità di un terreno, per avere rilevanza fiscale, prescinde dall’approvazione del PRG da parte della Regione, o dalla adozione di uno strumento attuativo.

1.1. In buona sostanza, secondo il ricorrente, l’errore della CTR sarebbe consistito nell’aver ritenuto che per area edificabile ai fini ICI dovesse intendersi quella utilizzabile a scopo edificatorio in base ad uno strumento urbanistico attuativo, quale è il piano particolareggiato, nonostante la vigenza del PRG quale strumento di pianificazione generale. Da ciò derivava la conclusione, ad avviso della CTR, secondo cui non poteva essere qualificata come edificabile l’area in questione in quanto ricadente nella zona CT3, ancora da normare con apposito piano particolareggiato, nonostante l’adozione da parte del Comune di (OMISSIS) dello strumento di pianificazione generale, ossia del PRG.

1.1.1. Il motivo è fondato e va, conseguentemente, accolto.

Con le diposizioni di cui alla L. n. 248 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16, e alla L. n. 248 del 2006, art. 36, comma 2, il legislatore ha fornito una interpretazione autentica del D.Lgs. n. 248 del 2006, art. 2, comma 1, lett. b), precisando che “un’area è da considerarsi comunque fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”.

Tale norma interpretativa è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che, con ordinanza n. 41 del 2008, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 11, confermando che “il terreno deve essere considerato fabbricabile dal momento in cui viene ad essere ricompreso in uno strumento urbanistico generale, anche se non definitivamente approvato dalla Regione e mancante dei relativi strumenti attuativi” e ciò in quanto “la potenzialità edificatorie dell’area, anche se prevista da strumenti urbanistici solo in itinere, o ancora inattuati, costituisce notoriamente un elemento oggettivo idoneo ad influenzare il valore del terreno e, pertanto, rappresenta un indice di capacità contributiva adeguato, ai sensi dell’art. 53 Cost., in quanto espressivo di una specifica posizione di vantaggio economicamente rilevante ed, inoltre, il criterio del valore venale non comporta affatto una valutazione fissa ed astratta del bene, ma consente di attribuire al terreno il suo valore di mercato, adeguando le valutazioni alle specifiche condizioni di fatto del bene e, quindi, anche alle più o meno rilevanti potenzialità edificatore dell’area”.

L’affermazione di edificabilità dl terreno ai fini della determinazione del suo valore venale non può – una volta riconosciuta tale edificabilità da uno strumento urbanistico generale – ritenersi inficiata dalla (eventuale) mancanza di un piano particolareggiato o attuativo, atteso l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità incentrato sul D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, convertito nella L. n. 248 del 2006, secondo il quale “in tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazione, dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del D.L. 4 luglio 2006, n. 233, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dell’adozione di strumenti urbanistici attuativi” (Sez. 5, Sentenza n. 6702 del 10/03/2020; Cass. n. 21156 del 2016; Cass. n. 11182 del 2014; Cass. n. 15792 del 2012; ed altre). Si tratta di orientamento che recepisce quanto stabilito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 25506/2006, la quale ha osservato che: “L’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo ius aedificandi o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo di imposta, conformemente alla natura periodica del tributo in questione, senza che ciò comporti il diritto al rimborso per gli anni pregressi, a meno che il Comune non ritenga di riconoscerlo, ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59, comma 1, lett. f). L’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone peraltro di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonchè della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio”.

Nel caso di specie è, dunque, dirimente osservare, come pure evidenziato dalla CTR, che il terreno ricade in “zona CT3”, le cui previsioni urbanistiche sono state disattese in sede di approvazione del PRG. La predetta zona CT3 è riferita ad aree ricadenti in località (OMISSIS), da normare con piano particolareggiato redatto in contestualità logica con il piano paesistico e il Decreto Ass. Reg. Territorio e Ambiente 24 luglio 1989, n. 958, ha disatteso tale previsione. A nulla rileva il fatto che la potestà edificatoria potesse conseguire unicamente dall’attuazione del piano paesistico, seguito dall’apposito piano particolareggiato, trattandosi di strumento urbanistico che incide sul mero ius aedificandi, laddove la natura edificabile del terreno consegue già di per sè all’approvazione dello strumento generale di pianificazione (v. Sez. 5, Sentenza n. 21080 del 07/08/2019).

D’altra parte, la zona CT3, nella quale ricadono le aree di proprietà del contribuente, non risulta essere stata espunta dal PRG, essendosi solo previsto che la nuova edificazione nella stessa sia subordinata all’adozione di uno strumento urbanistico attuativo, qual è il piano particolareggiato. In definitiva, il Decreto Assessoriale del 24.7.1989 ha imposto non la soppressione della previsione del PRG (adottato il 27.3.1986) per la zona in esame, ma l’integrazione della detta previsione mediante l’inserimento di un presupposto per l’esercizio dello ius aedificandi, rappresentato, come detto, dall’adozione di un piano particolareggiato. Tanto è vero che, alla stregua di quanto trascritto dagli stessi ricorrenti a pagina 6 del controricorso, con il menzionato decreto l’Assessore al Territorio e all’Ambiente prescrisse che “prima delle utilizzazione delle aree libere, venga redatto un piano particolareggiato avente la finalità di rafforzare, con insediamenti di tipo ricettivo, i nuclei edificati segnati nella Tav. 4 del P.R.G.”.

Dal decreto assessoriale trascritto a pagina 8 del ricorso (posto dalla CTR a fondamento della decisione) non si evince l’esclusione della edificabilità dell’area, ancorchè subordinata a normazione successiva particolareggiata e paesaggistica.

La circostanza che medio tempore il detto piano non sia stato ancora adottato non determina la qualificazione in termini di inedificabilità dell’area interessata.

Le modifiche del piano regolatore che si traducono in una diversa classificazione del suolo possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo d’imposta. In particolare, una volta confermata la qualifica di edificabilità, l’effettiva destinazione urbanistica (espansione residenziale o altro) concerne il valore venale e, dunque, la misura della base imponibile, fermo il presupposto d’imposta.

Hanno, pertanto, errato i giudici d’appello a ritenere sussistente un vincolo d’inedificabilità che aveva interrotto il procedimento di trasformazione urbanistica, poichè il terreno oggetto di controversia era inserito in zona edificabile, e nè il vincolo paesaggistico – che subordinava l’edificabilità concreta dell’area al parere della Sovraintendenza ai beni culturali e ambientali – nè la proroga del vincolo d’immodificabilità temporaneo potevano incidere sull’assoggettabilità ad imposizione ICI, in quanto tali vincoli non avevano eliminato il procedimento oramai avviato di trasformazione dell’area, avendo solo natura conformativa della destinazione urbanistica dell’area.

1.2. Avuto riguardo alla mancanza dell’indice di edificabilità, va evidenziato che la possibilità concreta di sfruttamento edificatorio, sulla base anche degli indici edificabilità, incide sulla valutazione (concreta) da attribuire al suolo, e non già sulla qualificazione (astratta; id est, sul piano urbanistico) dello stesso.

Ciò a voler prescindere dal rilievo per cui, in base al D.Lgs. n. 380 del 2001, art. 9, comma 1, lett. b), “Salvi i più restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali e nel rispetto delle norme previste dal D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004 – n.d.r.), nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici sono consentiti: a) (…); b) fuori dal perimetro dei centri abitati, gli interventi di nuova edificazione nel limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; in caso di interventi a destinazione produttiva, la superficie coperta non può comunque superare un decimo dell’area di proprietà”.

1.3. Nè in senso ostativo potrebbe conferirsi rilevanza alla circostanza che le aree fossero sottoposte ad un vincolo di immodificabilità temporanea, atteso che, in tema di ICI, deve escludersi la natura edificabile di un’area che tale sia in base al PRG, ma per la quale il piano paesaggistico regionale preveda solo vincoli di inedificabilità assoluti (Sez. 5, Sentenza n. 34242 del 20/12/2019). In particolare, ai fini della tassabilità delle “aree fabbricabili”, le previsioni del piano paesaggistico regionale prevalgono, a norma del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 145, comma 3, sugli strumenti urbanistici dei Comuni, con la conseguenza che è irrilevante che il terreno sia edificabile secondo il piano regolatore generale, qualora, in base al piano paesaggistico regionale, lo stesso sia soggetto a un vincolo di inedificabilità assoluta, il quale, diversamente dai vincoli di inedificabilità specifica – che possono incidere unicamente sul valore venale dell’immobile – è idoneo ad escludere la natura edificabile dell’area e, quindi, il presupposto impositivo (Sez. 5, Sentenza n. 33012 del 14/12/2019; Sez. 5, Sentenza n. 23206 del 18/09/2019). Nel caso di specie, invece, si era in presenza di vincoli di immodificabilità a carattere temporaneo.

2. Con il secondo motivo l’ente impositore deduce il vizio di violazione di legge, con riferimento al decreto dell’assessore del Territorio e dell’ambiente della Regione Sicilia del 24 luglio 1989, in particolare, del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 9, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b), e con riferimento al decreto dell’assessore dei beni culturali e ambientali della Regione Sicilia del 2.2.1999, in ordine alla definizione di aree edificabili ai fini Ici. Infatti, i giudici d’appello avevano, a suo dire, errato nel ritenere che le aree oggetto di controversia fossero prive di un proprio inquadramento urbanistico, in quanto l’indice di edificabilità, anche ai soli fini ICI, poteva rinvenirsi dal citato D.P.R. n. 380, art. 9, il quale disciplina i casi di attività edificatoria in aree che, come quelle oggetto di controversia, sono poste al di fuori del centro abitato dei comuni sprovvisti di strumento urbanistico e ciò anche in presenza del vincolo paesistico insistente sulla zona e del vincolo d’immodificabilità, poichè anche il terreno con vocazione edificatoria di fatto, in quanto potenzialmente edificatorio, pur se al di fuori di una previsione programmatica, era suscettibile d’imposizione ICI.

2.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento del primo.

3. In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza va, pertanto, cassata e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, affinchè, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo;

– cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla CTR della Sicilia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, tenutasi con modalità da remoto, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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