Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16577 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. II, 05/08/2016, (ud. 27/04/2016, dep. 05/08/2016), n.16577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2238-2012 proposto da:

S.A., (OMISSIS), ST.AN. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SERAFINO BASSANETTI;

– ricorrenti –

contro

C.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE TITO LIVIO 179, presso lo studio dell’avvocato ANGELA DE LUIGI

TESTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIANFRANCO DEL MONTE;

– controricorrente –

e contro

CE.CA., + ALTRI OMESSI

– intimati –

avverso la sentenza n. 2428/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2016 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato GAETANO GIANNI’, con delega orale degli Avvocati

ARTURO MARESCA e SERAFINO BASSANETTI difensori del ricorrente, che

si riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.A., con atto di citazione notificato il 25 gennaio 2002, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Lodi, A. ed St.An.. L’attore esponeva che: aveva acquistato il 6 agosto 1998 un fabbricato rustico sito in San Colombano al Lambro, via 6. Lanzani 21, con diritto alla corte contrassegnata in catasto come mappale 318, foglio 8, con annessa area di corte; Andrea ed S.A. avevano indebitamente occupato la porzione di corte di sua proprietà esclusiva, erigendovi una struttura in legno adibita a ricovero materiali e vasi di fiori, nonchè alcune parti della corte comune, realizzandovi dei gradini ed un marciapiedi; domandava, pertanto, che: a) fosse accertato e dichiarato il suo diritto di proprietà esclusiva sulla porzione summenzionata, con condanna dei convenuti a demolire e rimuovere i manufatti realizzati su di essa, b) fosse condannato a restituire l’area de qua ed a corrispondere un indennizzo per l’occupazione illegittima; c) i convenuti fossero condannati a liberare le porzioni di area cortilizia comune indebitamente occupate, rimuovendo le opere realizzate.

Si costituivano A. ed St.An., i quali affermavano che la porzione di corte rivendicata dall’attore era di loro proprietà e che le fioriere ed il marciapiede erano di proprietà comune dei comproprietari del cortile; chiedevano, quindi, che fosse dichiarata di loro esclusiva proprietà la porzione di terreno rivendicata da C.A. e fosse dichiarato il divieto di sosta nel cortile comune dell’attore con le sue autovetture.

Il Tribunale di Lodi, disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di altri comproprietari dell’area in questione, non chiamati in causa, con sentenza n. 370/08, rigettava le domande delle parti di accertamento della loro proprietà esclusiva su porzione indistinta dell’area cortilizia censita al foglio 8, mannale 318 del Nceu del Comune di San Colombano al Lambro e condannava i convenuti a rimuovere la struttura in legno da essi collocata sulla detta porzione dell’area cortilizia in prossimità e davanti all’immobile dell’attore per ricoverarvi fioriere.

La Corte di appello di Milano, pronunciandosi su appello proposto da A. e St.An. e su appello incidentale avanzato da C.A., con sentenza n. 2428/11, rigettava gli appelli. A sostegno della decisione adottata, la Corte distrettuale evidenziava che: – le domande di cui ai punti A) e B) dell’atto di appello erano ammissibili, mentre era nuova quella sub C); – l’area la cui proprietà esclusiva era rivendicata dalle parti era, in realtà, comune.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da A. e St.An., con ricorso affidato ad un motivo. C.A. ha resistito con controricorso. Ce.Ca., + ALTRI OMESSI

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso A. e St.An. deducono l’insufficiente ed erronea motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze istruttorie documentali. I ricorrenti sostengono che i giudici di merito non si sarebbero resi conto, soprattutto nell’interpretare gli atti di provenienza dei beni de quibus, che essi avevano acquistato la proprietà esclusiva di una concimaia e di un pollaio insistenti sulla parte comune della corte, intesi non come semplici manufatti, ma come beni immobili sic et simpliciter individuati.

1.1.= La doglianza è infondata.

Nel giudizio di cassazione il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili e in sè coerente, poichè tale apprezzamento è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che la Corte di Cassazione non può riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’attività della corte territoriale, alla quale è riservata l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove e la scelta delle risultanze istruttorie idonee a dimostrare i fatti (Cass., Sez. 6 – 5, ordinanza n. 7921 del 6 aprile 2011, Rv. 617464).

In particolare, per consolidata giurisprudenza, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito del giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma deve limitarsi alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una differente valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass., Sez. 3, sentenza n. 2465 del 10 febbraio 2015, Rv. 634161).

Nella specie, la Corte di Appello di Milano ha affermato, con una motivazione logica e completa che, quindi, non può essere contestata nella presente sede, la natura comune del cortile. Il giudice di secondo grado ha rinvenuto la prova dl tale circostanza dalla lettura degli atti di provenienza degli immobili, in particolare, da quella dell’atto di compravendita dei coniugi S.- B. del 7 luglio 1953 a cura del Notaio Curti Pasini, nel quale era stato previsto al punto 3 che era stata acquistata “la porzione di concimaia posta nel cortile comune e precisamente quella a ponente della concimaia di proprietà S. L.. Su questa concimaia e precisamente su lato nord trovasi pollaio compreso in questa vendita”.

La clausola è stata interpretata dalla corte territoriale come espressiva del chiaro intendimento delle parti di riconoscere “il carattere comune dell’area cortilizia”, volendo esse vendere non tanto l’area di cortile, ma i beni che su questa insistevano, nella specie la concimaia ed il pollaio.

Pertanto, ad avviso della corte territoriale, ancorchè potesse pure ipotizzarsi per il passato un diritto di proprietà di A. ed St.Al. sulla concimala e sul pollaio, tale diritto non si estenderebbe al sedime…visto che la proprietà esclusiva di questi beni era legata allo stato dei luoghi all’epoca e alla funzione che i vari manufatti assolvevano. Caratteristiche che oggi non hanno alcuna ragione di essere, visti il diverso stato dei luoghi e della, ben più importante, assoluta mancanza di utilità e funzione dei beni in questione, che, infatti, oggi non sono più presenti all’interno dell’area cortilizia comune”.

A fronte delle valutazioni della Corte distrettuale le parti contrappongono le proprie ed una diversa interpretazione dei medesimi documenti già valutati dal giudice di secondo grado, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, nè può il ricorrente pretendere il riesame del merito sol perchè la valutazione delle accertate circostanze di fatto, come operata dal giudice di secondo grado, non collima con le loro aspettative e confutazioni.

In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in solido, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., vanno condannati al pagamento delle spese di lite che vengono liquidate con il dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a rimborsare alla parte controricorrente il pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Si dà atto che alla stesura di questa sentenza ha collaborato l’assistente di studio, dott. Ca.Da..

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione seconda Civile, il 27 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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