Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16575 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. II, 05/08/2016, (ud. 07/04/2016, dep. 05/08/2016), n.16575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26640-2011 proposto da:

B.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 86 piano 1 int. 5, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO MARTIRE, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CLAUDIO PUMA;

– ricorrente –

contro

M.A.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato GUIDO FRANCESCO

ROMANELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIUSEPPE MACCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1854/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato ROBERTO MARTIRE, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso e della memoria;

udito l’Avvocato FRANCESCO PECORA, con delega dell’Avvocato GUIDO

FRANCESCO ROMANELLI difensore della controricorrente, che ha chiesto

l’accoglimento del controricorso e della memoria ed il rigetto del

ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO Da PROCESSO

Il Sig. B.M. ricorre contro la signora M.A.M. per la cassazione della sentenza con cui la corte d’appello di Milano, confermando la sentenza di primo grado, lo ha condannato a ridurre in pristino un proprio immobile sito in Comune di (OMISSIS), riconducendo l’altezza della facciata di tale immobile rivolta verso il fabbricato di proprietà M. a metri 4,19 da terra alla falda del tetto con linea superiore rettilinea.

Il nucleo della ratio decidendi della sentenza della Corte d’appello può essere così sintetizzato:

dagli accertamenti peritali era emerso che – a seguito dei lavori effettuati dal B. sul proprio fabbricato nel 1996, come da progetto approvato con concessione edilizia – l’altezza della facciata da terra all’imposta della falda del tetto era passata da circa metri 4,19 a circa metri 5,75 agli angoli e 6,95 in colmo, con linea superiore non più rettilinea ed orizzontale ma spezzate e seguente l’andamento delle falde del tetto;

la facciata del fabbricato del B. che fronteggiava la parete finestrata del fabbricato di proprietà M. distava da quest’ultima meno dei 10 metri prescritti dal D.M. 2 aprile 1968;

la sopraelevazione del fabbricato doveva giudicarsi nuova costruzione, soggetta al regime delle distanze di cui all’art. 873 c.c. (integrato dal suddetto D.M. 2 aprile 1968), ancorchè l’incremento volumetrico alla stessa conseguente fosse irrilevante ai fini abitativi e determinasse solo l’aumento del volume tecnico. In proposito il giudice territoriale ha argomentato che “ciò che conta è che il corpo di fabbrica venga elevato con incremento della volumetria in senso fisico, perchè con essa elevazione vengono violate le norme sulle distanze tra una nuova costruzione e quella esistente sul fondo finitimo”;

la sopraelevazione in questione ledeva quindi i diritti della M. e pertanto andava rimossa, in disapplicazione della concessione edilizia rilasciata al B..

Avverso tale sentenza B.M. propone ricorso per cassazione su 5 motivi; la sig.ra M. resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 7.4.16 nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia promiscuamente i vizi di “violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 1127 c.c.” e di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Entrambe le censure vanno disattese.

Quanto alla denuncia di violazione di legge, è sufficiente rilevare, da un lato, che l’art. 1127 c.c. risulta manifestamente estraneo alla fattispecie (come, peraltro, viene riconosciuto nella memoria illustrativa dello stesso ricorrente) e, d’altro lato, che, come chiarito da questa Corte con la sentenza 14267/06, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.

Quanto alla denuncia di omessa e insufficiente motivazione, il Collegio rileva che il ricorrente reitera in questa sede l’assunto, già proposto in sede di merito, secondo cui l’intervento da lui realizzato non avrebbe comportato variazioni rispetto allo stato di fatto preesistente, giacchè nella specie non sussisterebbe alcuna sopraelevazione, ma solo una modifica interna contenuta egli originali limiti strutturali dell’edificio. La doglianza non può essere accolto perchè presuppone risultanze di fatto difformi da quelle accertate dal giudice di merito sulla scorta della relazione peritale (cfr. pag. 6, in principio, della sentenza gravata: “nel 1996 l’altezza iniziale della facciata dell’immobile da terra all’imposta della falda del tetto era passata da circa metri 4,19 prima degli interventi edilizi di cui alla concessione n. (OMISSIS), altezza che al termine dei lavori è divenuta di circa m. 5,75 agli angoli e m. 6,95 in colmo, con linea superiore non più rettilinea ed orizzontale ma spezzata e seguente l’andamento delle falde del tetto”); nè, d’altra parte, il ricorrente deduce di aver prospettato, in sede di merito, errori nelle misurazioni compiute dal consulente di ufficio e recepite nell’impugnata decisione.

Col secondo motivo di ricorso, promiscuamente riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione in cui il giudice territoriale sarebbe incorso ritenendo soggetta al regime delle distanze la modificazione di un tetto che non comporti l’aumento della volumetria dei vani sottostanti. Anche il secondo motivo, al pari del primo, presuppone risultanze di fatto difformi da quelle accertate dal giudice di merito, in quanto si fonda sull’assunto che l’intervento edilizio per cui è causa non avrebbe aumentato il volume nè variato la preesistente altezza di imposta del fabbricato, laddove la sentenza gravata ha accertato, con un giudizio di fatto, che l’altezza di imposta ragli angoli”) del fabbricato fu aumentata da 4,19 a 5,75 metri e che, conseguentemente, fu aumentata anche la relativa volumetria; aggiungendo poi, con un giudizio di diritto, che non ha formato oggetto di censura specifica da parte del ricorrente, che non poteva attribuirsi rilevanza alla questione se la maggiore volumetria fosse destinata a finalità abitative o avesse funzione esclusivamente tecnica. Pur in mancanza di specifica censura va peraltro aggiunto, per esigenze di nomofilachia, che a suffragio della doglianza mossa dal ricorrente non potrebbe nemmeno invocarsi il principio, recentemente affermato dal questa Sezione con la sentenza n. 11049/16, che, nel caso di ristrutturazione di un fabbricato preesistente, se il sottotetto venga rialzato in funzione della sola allocazione d’impianti tecnici non altrimenti situabili, l’altezza del nuovo edificio va calcolata, ai fini del computo delle distanze, considerando non la linea di colmo (data dalla retta d’intersezione tra le due falde piane di un tetto inclinato), ma quella di gronda. Nella specie infatti, per un verso, il ricorrente non deduce in questa sede (nè, tanto meno, riferisce di aver dedotto in sede di merito) che il rialzo del sottotetto derivante dall’innalzamento della linea di colmo fosse funzionale alla sola allocazione d’impianti tecnici non altrimenti situabili; per altro verso, il giudice di merito ha accertato, come già sopra evidenziato, l’innalzamento della stessa linea di gronda.

Col terzo motivo di ricorso, promiscuamente riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L.R. Lombardia n. 12 del 2005, art. 27 nonchè il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, in cui il giudice territoriale sarebbe incorso non riconoscendo nell’intervento effettuato dal B. una mera ristrutturazione edilizia. Anche il terzo motivo, al pari dei primi due, presuppone risultanze di fatto difformi da quelle accertate dal giudice di merito, in quanto si fonda sull’assunto che l’intervento abbia mantenuto “l’altezza alla quota di imposta di metri 4,10” (pagina 14 del ricorso per cassazione) che contrasta con l’accertamento in fatto operato dalla sentenza gravata sul fatto che, all’esito dei lavori, che l’altezza di imposta (“agli angoli”) del fabbricato era stata aumentata da 4,19 a 5,75 metri.

In ogni caso il Collegio ritiene opportuno precisare, in funzione di nomofilachia, che l’aumento di volumetria esclude la configurabilità di una mera ristrutturazione, giacchè, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con l’ordinanza n. 21578/1, in presenza di tale aumento l’intervento edilizio non può qualificarsi nè come “ristrutturazione” (la quale si verifica ove l’intervento, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura), nè come “ricostruzione” (la quale si verifica ove l’intervento edilizio consista nell’esatto ripristino delle componenti essenziali di un edificio preesistente, venute meno per evento naturale o per volontaria demolizione, senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni) ma va qualificato come “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima nell’ambito delle opere edilizie.

Col quarto motivo di ricorso, promiscuamente riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 372 c.c. e il vizio di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione. Secondo il ricorrente, la corte d’appello avrebbe errato nel disporre la rimessa in pristino dell’immobile in quanto la violazione delle norme edilizie concernenti l’altezza degli edifici comporterebbe esclusivamente l’obbligo del risarcimento del danno.

Il motivo va disatteso perchè non è pertinente alla motivazione della sentenza impugnata. La violazione edilizia accertata dalla corte di appello – e sanzionata con l’ordine di riduzione in pristino – non concerne, infatti, la disciplina dell’altezza in sè degli edifici, senza nessun rapporto con le distanze intercorrenti tra gli stessi, ma, al contrario, riguarda proprio la disciplina delle distanze (in relazione alla quale la giurisprudenza di questa Sezione, compresa la sentenza invocata dalla ricorrente, n. 1073/09, è ferma nel riconoscere la tutela ripristinatoria) e, precisamente, la violazione dell’art. 21 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di (OMISSIS), che stabilisce in mt. 10 la distanza minima tra i fabbricati in zona C4 (in cui, secondo l’accertamento della corte territoriale, rientrano gli immobili delle parti).

Quanto poi all’argomento speso nel mezzo di ricorso secondo cui “la riduzione in pristino deve essere attuata mediante l’arretramento dell’edificio illegittimamente costruito e non mediante la riduzione della propria altezza” (pagina 17 del ricorso per cassazione), si tratta di censura inammissibile per difetto di specificità, perchè non attinge specificamente la ratio decidendi della sentenza gravata che, recependo la tesi della difesa M., argomenta che nella specie non vi sarebbe sostanziale differenza tra la riduzione dell’altezza e l’arretramento, in quanto “per forza di cose ricondurre l’altezza della facciata frontistante il confine con l’attrice a metri 4,19 dal suolo comporta l’arretramento della parte di edificio costruito nel 1997” (pag. 9 della sentenza).

Col quinto motivo di ricorso, promiscuamente riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e il vizio di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in cui la corte territoriale sarebbe incorsa rigettando l’istanza di ammissione di prova per testi avanzata dal B.. Il motivo è inammissibile perchè non dà conto del contenuto dei capitoli di prova oggetto dell’istanza istruttoria respinta, nè della loro rilevanza ai fini della critica alla ratio decidendi della sentenza gravata.

Il ricorso va quindi in definitiva rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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