Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16573 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. II, 05/08/2016, (ud. 30/03/2016, dep. 05/08/2016), n.16573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. scarpa Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25924-2011 proposto da:

P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati BARBARA

BOTTECCHIA, PAOLO FRANCESCHINI;

– ricorrente –

contro

PO.SA. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO CASALINI;

– controricorrenti –

e contro

M.M.C., S.E., B.M.T.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1898/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 07/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato SALVATORE DI MATTIA, con delega dell’Avvocato LUIGI

MANZI difensore del ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato PAOLO PANARITI, difensore della controricorrente,

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 28.6.02 la signora Po.Sa. conveniva davanti al tribunale di Verona la signora M.M.C. per sentirla condannare alla demolizione di un muretto di recinzione dalla stessa edificato tra due mappali (il 268 e il 269 del foglio 13 del Catasto Terreni del Comune di (OMISSIS)) entrambi di proprietà dell’attrice. La signora M. si costituiva in giudizio e, premesso di aver realizzato il muretto in contestazione sul tracciato di una recinzione preesistente, assumeva che di fatto il mappale 269 risultava, per la presenza di detta recinzione, incorporato da oltre quarant’anni ai contigui terreni da lei acquistati con atto del 21.3.95 e pertanto, cumulando il proprio possesso con quello dei propri danti causa, affermava di aver acquistato la proprietà di tale mappale per usucapione e spiegava domanda riconvenzionale di accertamento del suo diritto di proprietà sul medesimo. In conseguenza delle difese della convenuta l’attrice chiamava in giudizio i suoi danti causa, signori S.E. e B.M.T., per essere da costoro garantita. Il tribunale accoglieva la domanda dell’attrice e rigettava la riconvenzionale della convenuta, condannando la stessa ad eliminare il muro di recinzione ed a rimettere in pristino i luoghi.

La sentenza di primo grado veniva appellata dalla M. e nel giudizio di appello interveniva il di lei coniuge, P.A., assumendosi comproprietario e compossessore tanto del mappale 269 (avendo acquistato in comunione con la M. il fondo a cui il medesimo era di fatto incorporato) quanto del muro per cui è causa (avendone disposto l’edificazione insieme con la M., acquistando i relativi materiali e sottoscrivendo le necessarie istanze edilizie). Il P. si assumeva quindi litisconsorte necessario e chiedeva dichiararsi la nullità della sentenza di primo grado perchè emessa a contraddittorio non integro. La Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello della M. e le richieste del P., argomentando, quanto a queste ultime, che l’azione esercitata dall’attrice “volta alla condanna della M., quale autrice della costruzione sconfinante, a demolirla, non è qualificabile come rivendica ma come azione restituitoria di quanto accorpato senza titolo mediante l’edificazione”, cosicchè tale azione, non essendo “accompagnata dalla richiesta di accertamento del diritto reale, esula dalle azioni reali e costituisce azione personale di reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 c.c.” con la conseguenza che non ricorrerebbe una ipotesi di litisconsorzio necessario, giacchè la sentenza pronunciata all’esito del giudizio non sarebbe inutiliter data ma spiegherebbe i propri effetti nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al giudizio.

Contro la sentenza della Corte d’appello l’interventore P. propone ricorso per cassazione su due motivi, entrambi riferiti alla nullità della sentenza; con il primo motivo si denuncia la mancanza di motivazione in ragione della illeggibilità ed indecifrabilità della grafia con cui la stessa è stata estesa; con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 354 c.p.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa disattendendo l’eccezione, da lui sollevata, di nullità del procedimento per la non integrità del contraddittorio in primo grado.

P.S. si è costituita con controricorso mentre M.M.C. S.E. e B.M.T. non si sono costituiti in questa sede. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 30.3.16 nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo va disatteso. E’ fermo orientamento di questa Corte (cfr. sentt. nn. 6669/82, 5071/96 e, da ultimo, 4947/16) che, in mancanza di un’espressa comminatoria, non è configurabile nullità della sentenza, ove il testo originale, stilato in forma autografa dall’estensore, risulti non agevolmente leggibile. Perchè ricorra la nullità della sentenza è infatti necessario che il provvedimento si presenti non soltanto di difficile lettura, ma addirittura incomprensibile, al punto da richiedere, per la sua decifrazione, una operazione il cui stesso esito è dubbio, poichè, nonostante gli sforzi cui eventualmente si sottoponga il lettore più attento, risulta impossibile avere certezza dell’esatta comprensione del testo. (Cass. 11739/10).

Il secondo motivo va pur esso disatteso. Esso presuppone, infatti, una qualificazione dell’azione esercitata dall’attrice come azione possessoria o petitoria; ma la Corte territoriale ha qualificata tale azione come azione personale “di reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 c.c.” e questa qualificazione non è stata specificamente censurata nel ricorso. Nè, d’altra parte, potrebbe utilmente qui richiamarsi l’orientamento di questa Corte (sentt. nn. 17109/09, 21421/14) alla cui stregua il principio che l’interpretazione della domanda costituisce un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assuma che tale interpretazione abbia determinato la violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) o la violazione del principio “tantum devolutum quantum appellatum” (art. 345 c.p.c.). A prescindere dal rilievo che l’error in procedendo che l’odierno ricorrente addebita alla Corte lagunare non riguarda nè il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato nè il principio del “tantum devolutum quantum appellatum”, bensì la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di un preteso litisconsorte necessario, risulta in ogni caso assorbente la considerazione che lo sviluppo argomentativo del mezzo di ricorso si limita ad illustrare le ragioni che dimostrerebbero che il ricorrente è un compossessore del muro di recinzione e dei terreni a cui, per effetto dell’edificazione di tale muro, il mappale in contesa sarebbe rimasto incorporato e, quindi, è un litisconsorte necessario pretermesso; nel medesimo motivo tuttavia, come già sopra accennato, non si svolge alcuna specifica censura con cui si attinga la qualificazione della domanda operata dalla Corte d’appello; qualificazione sulla quale si è quindi formato il giudicato (cfr. Cass. 18427/13 “Il giudicato si forma anche sulla qualificazione giuridica data dal giudice all’azione, quando detta qualificazione abbia condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito e la parte interessata abbia omesso di proporre specifica impugnazione sul punto”).

Il ricorso va quindi in definitiva rigettato in relazione ad entrambi i mezzi in cui esso si articola.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere al contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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