Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16572 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. II, 05/08/2016, (ud. 30/03/2016, dep. 05/08/2016), n.16572

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. scarpa Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28744-2012 proposto da:

B.G.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DELLA MERCEDE 11, presso lo studio dell’avvocato FABIO

FRANCARIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ADOLFO DUJANY;

– ricorrente –

contro

Società PSICOWEB S.r.l. c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato

LUISA GOBBI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ELENA NELVA STELLIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 433/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 23/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato FABIO FRANCARIO, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso; udito l’Avvocato LUISA GOBBI,

difensore della resistente, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 31.01.2004 B.G.A. conveniva in giudizio la società Psicoweb s.r.l. davanti al Tribunale di Aosta, chiedendo il rilascio dei mappali nn. 64 (destinato a parcheggio) e 371 (destinato a orto, pollaio e prato) del foglio 15 del catasto terreni del Comune di Sarre e del mappale n. 365 (costituito da un vano adibito parzialmente a forno, centrale termica e deposito) del foglio 15 del nuovo catasto edilizio urbano del medesimo comune; l’attore affermava di essere proprietario di detti immobili e ne lamentava l’occupazione da parte della convenuta. Quest’ultima resisteva alla domanda e, per quanto qui ancora interessa, affermava di essere proprietaria dei fondi in questione, per averli acquistati dallo stesso attore con atto pubblico del 18.02.2002, quali pertinenze del fabbricato (adibito ad albergo), di cui al Fg. 15, n. 103 N.C.E.U., oggetto dell’atto di vendita.

Il Giudice di primo grado rigettava la domanda dell’attore, per non avere il medesimo offerto la prova di essere proprietario dei fondi per cui è causa.

La Corte di Appello di Torino, adita dal B., confermava la sentenza del tribunale, ma con diversa motivazione. Secondo il giudice di secondo grado, infatti, l’assunto della convenuta secondo cui i mappali in questione le erano stati alienati, come pertinenze del fondo destinato ad esercizio alberghiero, con il citato atto di vendita del 18.10.2002, costituiva implicito riconoscimento che a tale data i beni in questione erano in proprietà dell’attore, con conseguente esonero di quest’ultimo dalla probatio diabolica.

Tuttavia la Corte territoriale, espletata l’istruttoria orale richiesta dalle parti, riteneva che dal materiale istruttorio fosse emersa la natura pertinenziale dei mappali in questione e che, quindi, si dovesse presumere che i medesimi fossero stati trasferiti insieme con il fabbricato oggetto della compravendita.

Avverso la sentenza della Corte torinese il sig. B. propone ricorso per cassazione con due motivi; la Psicoweb s.r.l. resiste con controricorso.

Non sono state depositate memorie ex art. 378 c.p.c..

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 30.3.16 nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo di ricorso si denuncia promiscuamente la violazione falsa applicazione degli artt. 817 e 818 c.c. e della L. n. 52 del 1985, art. 29, nonchè il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Il motivo si articola in quattro distinte censure.

Con la prima censura si lamenta l’errore in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa non rilevando come l’atto di compravendita, segnando i confini del compendio ceduto in modo tale da escludere che nel medesimo rientrassero i mappali di cui si discute, contenesse una disposizione idonea a vincere la presunzione di trasferimento delle pertinenze insieme con la cosa principale. La doglianza va disattesa perchè si fonda su presupposti di fatto (che i mappali nn. 64 e 371 fossero collocati al di là della strada regionale n. 42) che non emergono dalla sentenza gravata e non possono essere effettuati in questa sede, non potendosi procedere ad accertamenti di fatto nell’ambito del giudizio di legittimità.

Con la seconda censura, specificamente concernente i terreni adibiti, rispettivamente, a parcheggio e a orto/pollaio/prato si assume che medesimi difetterebbero del requisito della contiguità e dell’esclusività del vincolo. Anche questa doglianza va disattesa, perchè non attinge specificamente le argomentazioni spese nella sentenza gravata, ma propone un cumulo indistinto di questioni di fatto (contiguità dei fondi, utilizzo del posteggio, sussistenza di un atto di destinazione) in relazione ai quali, in sostanza, si chiede alla Corte di cassazione di rinnovare la valutazione del materiale istruttorio effettuata dal giudice territoriale e di svolgere accertamenti di fatto che, come già affermato, non sono ammissibili nell’ambito del giudizio di legittimità. In ogni caso è opportuno sottolineare, in funzione nomofilattica, che la censura in esame va giudicata infondata anche in astratto, essendo giuridicamente errato l’assunto che il difetto di contiguità impedisca l’esistenza del vincolo di pertinenzialità. Questa Corte ha infatti più volte affermato il difetto di contiguità fisica fra più immobili non esclude, di per se stesso, che nel loro ambito possa configurarsi un rapporto di accessorietà (sentt. nn. 780/76, 2280/82, 2278/90), potendo la contiguità intendersi anche come solo di servizio (sentt. nn. 12983/02, 24104/09).

Con la terza censura si denuncia l’insussistenza del requisito soggettivo dell’appartenenza del bene accessorio e del bene principale allo stesso soggetto, in quanto l’albergo sarebbe stato di proprietà comune del B. e sua moglie i mentre terreni della cui pertinenzialità si discute sarebbero stati di proprietà del solo B.. Anche questa doglianza va disattesa perchè si fonda su una circostanza (la non riferibilità al medesimo soggetto della proprietà del bene principale e dei beni pertinenziali) non risultanti dalla sentenza gravata e non suscettibile di accertamento in sede di legittimità. Anche in questo caso, comunque, è opportuno sottolineare, sempre funzione nomofilattica, che la censura in esame va giudicata infondata anche in astratto. Osserva al riguardo il Collegio che il requisito soggettivo dell’appartenenza del bene accessorio e del bene principale in proprietà al medesimo soggetto, mentre non è soddisfatto quando il bene principale appartenga interamente ad un comproprietario del bene accessorio, risulta invece soddisfatto nell’opposto caso in cui come nella fattispecie dedotta nel presente giudizio – il bene accessorio appartenga interamente ad un comproprietario del bene principale.

A mente dell’art. 817 c.c., comma 2, infatti, l’atto di destinazione costitutivo del vincolo di pertinenzialità deve provenire dal proprietario della cosa principale e quindi – mentre va escluso che il proprietario della cosa principale possa destinare all’utilità o all’ornamento della stessa una cosa che non sia in sua proprietà esclusiva, giacchè in tal caso il vincolo di pertinenzialità risulterebbe incompatibile con i diritti degli altri comproprietari della cosa accessoria (salva l’ipotesi, esaminata da questa Corte con le sentenze nn. 14528/00 e 27302/13, del reciproco asservimento della cosa accessoria comune ad un pluralità dei beni appartenenti individualmente ai comproprietari della cosa accessoria) – non vi è ragione di negare la possibilità che il comproprietario della cosa principale destini all’utilità o all’ornamento della stessa una cosa in sua proprietà esclusiva, giacchè tale atto di destinazione non lede alcun diritto altrui e costituisce esercizio del suo diritto dominicale sulla cosa accessoria.

Con la quarta censura si ripropongono, sotto il profilo della insufficienza e contraddittorietà della motivazione, le doglianze concernenti il mancato apprezzamento delle indicazioni contenute nell’atto di compravendita in ordine ai confini del fondo trasferito, il mancato apprezzamento della insussistenza del requisito soggettivo dell’appartenenza del bene accessorio e del bene principale allo stesso soggetto, il mancato apprezzamento del difetto di contiguità tra i fondi accessori e quello principale; con le medesime censure i ricorrenti lamentano altresì il mancato apprezzamento di una serie di specifiche emergenze processuali. La censura non può essere accolta perchè, laddove non incorre negli errori di diritto individuati con riferimento alla seconda ed alla terza censura, risulta formulata in termini non conformi al paradigma fissato nell’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè non individua specifici vizi logici della sentenza gravata, ma si risolve nella riproposizione di questioni di fatto non emergenti da tale sentenza, il cui scrutinio imporrebbe alla Corte un inammissibile apprezzamento diretto delle risultanze istruttorie.

Col secondo motivo si denuncia il vizio di violazione di legge, con riferimento al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, in cui la Corte di appello sarebbe incorsa non rilevando di ufficio la nullità dell’atto di trasferimento per mancata indicazione degli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria del piccolo fabbricato, asseritamente pertinenziale, di cui al mappale n. 365 del foglio 15 del NCEU.

Anche il secondo motivo risulta inammissibile, in quanto, come questa

Corte ha chiarito con la sentenza n. 15319/06, l’accertamento dell’esistenza, nel contratto traslativo della proprietà di un fabbricato, delle allegazioni degli estremi della concessione edilizia o della domanda di concessione in sanatoria costituisce accertamento di fatto; esso pertanto, non può essere compiuto in sede di legittimità. Nè a sostegno della fondatezza del mezzo di ricorso potrebbe invocarsi il principio della rilevabilità di ufficio delle nullità contrattuali, giacchè, come pure questa Corte ha più volte ribadito, il rilievo della nullità di un contratto dedotta per la prima volta nel giudizio di cassazione presuppone la non necessità di nuove indagini di fatto, giacchè, diversamente, tale rilievo resta precluso dall’impossibilità di procedere ad accertamenti di fatto in sede di legittimità (sentt. nn. 16541/09, 23235/13).

Il ricorso va quindi in definitiva rigettato in relazione ad entrambi i mezzi in cui esso si articola.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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