Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16572 del 05/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 05/07/2017, (ud. 21/02/2017, dep.05/07/2017),  n. 16572

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29693-2010 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

E.W.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6762/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 10/12/2009 R.G.N. 10382/2006.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che con sentenza n. 6762/2009 la Corte di Appello di Napoli ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda di E.W. ed ha accertato l’illegittimità del termine apposto al contratto stipulato con Poste Italiane spa per il periodo dal 1.7.1999 al 31.8.1999 ai sensi dell’art. 8 del CCNL e della L. n. 56 del 1987, art. 23, con causale relativa di necessità di espletamento del servizio di recapito in concomitanza di assenze per ferie.

Che la Corte ha ritenuto illegittimo il termine per non avere Poste Italiane spa fornito la prova del rispetto della clausola di contingentamento di cui al comma 3 del citato art. 8, che prevede una percentuale di lavoratori assunti a termine non superiore, su base regionale, al 10% del numero dei lavoratori in servizio alla data del 31.12. dell’anno precedente.

che avverso tale sentenza Poste Italiane spa ha proposto ricorso affidato a cinque motivi.

Che la E. non si è costituita, rimanendo intimata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che i motivi di ricorso hanno riguardato: 1) nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la corte deciso su un punto non oggetto di impugnazione in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4; 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., non potendo sussistere alcun onere a carico della società di provare il rispetto della clausola di contingentamento, non essendovi stata alcuna deduzione in merito da parte della ricorrente; 3)violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 del CCNL, della L. n. 56 del 1987, art. 23, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte ritenuto che la violazione della clausola di contingentamento incidesse in via diretta sul piano della relazione negoziale tra le parti, mentre invece la norma avrebbe attinenza non alla singola assunzione ma al complesso delle assunzioni a termine effettuate nell’arco del periodo preso in considerazione, con conseguenti sanzioni soltanto di tipo risarcitorio in caso di violazione; 4) violazione degli artt. 1206, 1204, 1217, 1218, 1233 e 2967 c.c., per non avere effettuato la Corte territoriale alcuna verifica in ordine all’effettiva messa in mora da parte della lavoratrice e per non aver considerato la possibilità che la stessa avesse espletato, nelle more, attività lavorativa retribuita, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di esibizione dei modelli 101 e 740 della lavoratrice.

Che la ricorrente società ha chiesto infine l’applicazione dello ius superveniens, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 7;

Che il primo motivo è infondato. Non risulta infatti violato alcun principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., atteso che nel ricorso di primo grado dell’ E., trascritto nel ricorso di Cassazione da Poste, unitamente al ricorso in appello, la lavoratrice ha dedotto il mancato rispetto della clausola in esame perchè il personale assunto a termine superava la quota percentuale rispetto al numero di lavoratori a tempo indeterminato, poi nel ricorso di appello ha ribadito che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, la violazione della percentuale del 10%, prevista dall’art. 8, comma 3 del CCNL, determinava la nullità del termine, perchè vi era appunto il superamento del limite percentuale del 10% dei contratti a termine rispetto al numero dei contratti a tempo indeterminato.

Che altresì infondati sono il secondo ed il terzo motivo che, essendo connessi, possono esaminarsi congiuntamente. E’ oramai consolidato l’orientamento di questa Corte con riferimento al sistema vigente anteriormente al C.C.N.L. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001, secondo cui “in tema di clausola di contingentamento dei contratti di lavoro a termine di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23, l’onere della prova dell’osservanza del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine previsto dalla contrattazione collettiva, da verificarsi necessariamente sulla base dell’indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, è a carico del datore di lavoro, sul quale incombe la dimostrazione, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 3, dell’oggettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro (cfr da ultimo Cass. n. 6108/2014, Cass. n. 4764/2015). Tale prova non è stata offerta da Poste, la quale non ha censurato la sentenza impugnata laddove ha osservato che Poste spa non aveva allegato alcun elemento atto a dimostrare il rispetto del limite percentuale imposto dalla citata clausola.

Che, pertanto, in applicazione di tale principio tali motivi devono essere respinti.

Che invece va accolto il quarto motivo, ma solo con riferimento all’applicazione dello jus superveniens, costituito dalla normativa di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, come richiesto da parte ricorrente, trattandosi di giudizio “pendente” ai sensi del citato art. 32, comma 7. Sul punto si richiama la recente sentenza di questa Corte a SSUU n. 21691/2016, secondo cui la violazione di norme di diritto di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, può concernere anche disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, qualora siano norme applicabili perchè dotate di efficacia retroattiva, posto che la proposizione dell’impugnazione nei confronti della parte principale della sentenza impedisce il passaggio in giudicato anche della parte dipendente pur in assenza di impugnazione specifica di quest’ultima. Nel caso in esame la società ricorrente, vittoriosa in primo grado e dunque appellata in secondo grado, ha impugnato con ricorso di cassazione la sentenza di appello nella parte in cui aveva disposto la condanna al risarcimento del danno, denunciando l’errata applicazione degli artt. 1206 e ss c.c., in punto di esatta determinazione dell’obbligo retributivo con riguardo alla messa in mora. La ricorrente ha quindi proposto ricorso contro la parte principale della decisione, dalla quale dipende, in quanto legata da un nesso di causalità inscindibile, la parte legata alla quantificazione del risarcimento del danno.

Che la sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte contro ricorrente per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia con cui è stata disposta la riammissione in servizio (cfr per tutte Cass. n. 14461/2015), con interessi e rivalutazione da calcolarsi a far tempo dalla sentenza dichiarativa della nullità del termine (cfr Cass. n. 3062/2016).

PQM

 

La Corte rigetta i primi tre motivi e accoglie il quarto nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2017

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