Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16571 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. II, 05/08/2016, (ud. 02/02/2016, dep. 05/08/2016), n.16571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 25322/11) proposto da:

V.A., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a

margine del ricorso, dall’Avv.to Guido Jesu del foro di Udine e

dall’Avv.to Fabio Massimo Orlando del foro di Roma ed elettivamente

domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Carlo

Poma, n. 2;

– ricorrente –

contro

B.I., V.G. e V.S., tutti nella

qualità di eredi di V.B.R., rappresentati e difesi

dall’Avv.to Flaviano De Tina del foro di Udine e dall’Avv.to

Michelino Luise del foro di Roma, in virtù di procura speciale

apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliati

presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Gomenizza n. 3;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 338

depositata il 20 agosto 2010;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 23

febbraio 2016 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

uditi gli Avv.ti Severino Lodolo (con delega dell’Avv.to Guido Jesu),

per parte ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Capasso Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso principale, l’inammissibilità del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 3 agosto 2004 V.A. evocava, dinanzi al Tribunale di Udine, V.B.R. esponendo di avere concluso con il fratello accordo divisionale dei beni di proprietà comune, contratto che prevedeva, fra l’altro, la distribuzione dei beni immobili da frazionare, precisando che nella quota a lui assegnata era compresa una porzione di terreno sulla quale era costruita una tettoia, promessa in vendita alla Serramental s.n.c. in data 25.10.1990, della quale erano soci i fratelli V. e i loro stretti familiari, sottolineando che nell’accordo divisionale le parti avevano dichiarato espressamente la volontà di non dare corso al predetto preliminare a condizione della “non sopravvenienza di richieste autorizzative della pubblica amministrazione”; aggiungeva di avere adempiuto al patto divisionale trasferendo, tra l’altro, al fratello il 50% delle quote della Serramental, mentre il convenuto era rimasto inadempiente all’obbligazione assunta, impedendo il frazionamento ed il trasferimento della parte dei fondi in proprietà esclusiva dell’attore; proseguiva prospettando di avere introdotto giudizio nei confronti del germano, l’8.9.1994, per ottenere l’esecuzione in forma specifica del progetto divisionale, giudizio cui veniva riunito altro introdotto dalla Serramental per ottenere il trasferimento dei beni di cui alla scrittura del 25.10.1990, che venivano definiti con sentenza del 2002 che dichiarava estinto per mancata riassunzione il processo promosso da V.A., con accoglimento della domanda della società; concludeva che da quanto sopra doveva desumersi l’irreversibile inadempimento del convenuto all’accordo divisionale, con conseguente condanna al ristoro dei danni patiti.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza di V.B.R., che eccepiva il giudicato esterno, nel merito l’infondatezza delle pretese, il giudice adito, accoglieva la domanda risarcitone limitando la quantificazione del danno richiesto ad Euro. 78.130,85.

In virtù di rituale appello interposto da V.B.R., la Corte di appello di Trieste, nella resistenza di V.A., accoglieva il gravame e in riforma della decisione del giudice di prime cure, respingeva la domanda attorea.

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che doveva condividersi la critica di ultrapetizione dell’appellante per non avere l’appellato mai domandato un risarcimento per l’inadempimento dell’appellante convenuto alla promessa del fatto del terzo, bensì per inadempimento agli obblighi contrattuali assunti personalmente dal fratello con il contratto di divisione. Aggiungeva che non era rinvenibile nella specie una ipotesi di nullità del contratto di divisione per mancanza dell’oggetto, essendo stato il bene in questione, ossia la porzione di terreno con tettoia, ceduto a società amministrata da entrambi i fratelli all’epoca della stipula del contratto divisionale e non rientrante nell’asse da frazionare.

Nella specie, peraltro, sussisteva la causa dell’accordo divisionale che prevedeva due ipotesi alternative di conferimento della porzione di terreno comprensiva di tettoia ai condividenti: con la prima, relativa alla perdurante comproprietà del bene da parte dei fratelli V., detto bene sarebbe stato assegnato ad A.; con la seconda, per l’ipotesi che il bene fosse divenuto di proprietà della società, era previsto il godimento comune di entrambi i fratelli e loro eredi. Quest’ultima era la situazione in concreto verificatasi, a nulla rilevando al riguardo che le parti non sapessero che il bene era già di proprietà della società.

Concludeva che l’appellante, inoltre, aveva dimostrato il proprio adempimento per avere assicurato al fratello il godimento del bene in via esclusiva, come da quest’ultimo ammesso. Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Trieste ha proposto ricorso per cassazione V.A., sulla base di quattro motivi, cui hanno resistito B.I., V.G. e V.S., nella qualità di eredi di V.B.R., con controricorso, contenente anche ricorso incidentale condizionato affidato a sette motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente principale lamenta la violazione per erronea applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. per avere ritenuto che il giudice di prime cure era incorso nel vizio di ultrapetizione, non essendo stato affatto oltrepassato il limite della pretesa da lui avanzata, nè attribuito un bene diverso, ma solo qualificato giuridicamente la clausola contrattuale, configurandola come promessa del fatto del terzo. Del resto egli aveva dedotto la responsabilità contrattuale del fratello che divenuto socio di maggioranza della Serramental s.n.c., ben avrebbe potuto rispettare l’obbligo assunto con l’accordo divisionale del 12.11.1993, mentre aveva ostacolato l’attuazione della divisione, inducendo il figlio, divenuto socio della s.n.c., ad agire giudizialmente in rappresentanza della società per impedire che la tettoia gli fosse conferita in proprietà come contrattualmente stabilito. Con la conseguenza che alcuna rilevanza poteva essere attribuita alla circostanza che la responsabilità fosse per fatto proprio ovvero per fatto altrui ai sensi dell’art. 1381 c.c..

Con il secondo motivo il ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1173, 1321, 1218 e 1223 c.c. in relazione agli artt. 1325, 1367 e 1381 c.c., in quanto non condivisibile il ragionamento della corte di merito che ha ravvisato nel contratto di divisione sussistere sia l’oggetto sia la causa, giacchè il primo mancherebbe, trattandosi di bene appartenente ad un terzo, al pari della seconda, non essendoci stata assegnazione di quote del bene a titolo di proprietà esclusiva fra i condividenti.

Quanto alla interpretazione validante operata dal giudice del gravarne ai sensi dell’art. 1367 c.c., il ricorrente principale assume essere erroneo il limite attribuito alla norma di applicazione solo in ipotesi di nullità della pattuizione.

Con il terzo motivo il ricorrente principale insiste nella denuncia dell’erronea applicazione delle norme indicate nel secondo mezzo oltre a vizio di motivazione, relativamente all’affermato adempimento da parte del fratello degli obblighi assunti con l’atto di divisione, ritenendo che l’intento perseguito dalle parti non era quello di assicurare la retrovendita all’assegnatario di un bene già comune, ma solo quello di garantire ai condividenti l’uso della tettoia. In altri termini, il giudice distrettuale avrebbe ammesso la validità di un accordo divisionale in cui un bene apparteneva a terzi ed è previsto il conferimento alternativo e condizionato, in proprietà o in godimento, ad uno dei due condividenti, di un bene di terzi; inoltre, il condividente è stato ritenuto adempiente alla propria obbligazione verso il beneficiario, nonostante si tratti di un utilizzo di mero fatto e precario.

Con il quarto motivo il ricorrente principale deduce un vizio di motivazione sulla medesima circostanza di cui al terzo mezzo, con la precisazione che le clausole contrattuali statuivano l’assegnazione anche della tettoia, ma detta circostanza sarebbe stata del tutto ignorata dalla corte di merito, senza valutare la ricaduta di tale esclusione sul contratto di divisione.

Venendo al ricorso incidentale condizionato, con il primo motivo i ricorrenti incidentali lamentano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1417, 2727 e 2729 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre a vizio di motivazione, per non avere il giudice di primo grado tenuto conto della inesistenza del preteso contratto preliminare stipulato tra l’originario attore ed il cognato di quest’ultimo, T.R., in assenza del consenso di tutti i proprietari, avendo l’accordo ad oggetto beni in comproprietà; inoltre il giudice di merito non aveva affrontato l’eccezione relativa alla mancanza di data certa del preliminare.

Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali denunciano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., oltre a vizio di motivazione, in ordine alla decisione del giudice di primo grado che ha riconosciuto il risarcimento del danno nei confronti del ricorrente principale, per essere il mancato frazionamento del terreno imputabile al comportamento dello stesso V.A..

Con il terzo mezzo i ricorrenti incidentali deducono la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1226 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre a vizio di motivazione, in ordine alla quantificazione del valore della tettoia operata dal giudice di prime cure.

Con il quarto motivo i ricorrenti incidentali lamentano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., oltre a vizio di motivazione, per avere la sentenza di primo grado ritenuto conseguenza immediata e diretta del danno lamentato dall’originario attore l’inadempimento del convenuto, dovendosi considerare la somma corrisposta dal primo al cognato una conseguenza “anormale” di un eventuale inadempimento.

Con il quinto motivo i ricorrenti incidentali denunciano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1225 c.c., oltre a vizio di motivazione, per non avere il Tribunale esaminato la deduzione della questione di imprevedibilità del danno, ritenendola tardiva, in quanto dedotta solo nella comparsa conclusionale, trattandosi non già di una eccezione in senso proprio, bensì di una mera difesa.

Con il sesto mezzo i ricorrenti incidentali deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., oltre a vizio di motivazione, per avere il giudice di primo grado riconosciuto il danno in favore dell’attore senza tenere conto della condotta del creditore.

Infine con la settima censura i ricorrenti incidentali deducono l’omessa pronuncia – con conseguente violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 c.c. e 112 c.p.c. – in ordine all’eccezione di prescrizione ritenuta tardiva dal primo giudice, mentre era stata tempestivamente formulata in comparsa di costituzione e risposta del 10.12.2004, termine comunque considerato interrotto dall’atto di citazione notificato da V.A. in data 8.9.2004, argomentazione quest’ultima condivisa anche dal giudice del gravame, nonostante detto atto introduttivo non potesse avere alcun effetto interruttivo con riferimento al danno conseguente all’inadempimento alla promessa del fatto del terzo, giacchè la domanda proposta aveva ad oggetto l’esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. ed il risarcimento del danno rilevante doveva essere solo quello conseguente all'”inadempimento dell’obbligo di concludere il contratto”.

Esposte sommariamente tutte le censure formulate dalle parti, il problema da affrontare – in primo luogo – è quello di stabilire se il condizionamento apposto dalla parte controricorrente all’esame del ricorso incidentale si imponga al giudice o se, invece, quest’ultimo debba procedere all’esame dei vari profili di censura secondo l’ordine logico delle questioni, senza essere vincolato dalla volontà delle parti.

Questa Corte, anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo (secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito), ha affermato il principio secondo cui il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest’ultima sia possibile) da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass. sez. un. 6 marzo 2009, n. 5456).

Nella specie, il giudice del merito si è esplicitamente pronunziato sulla eccezione di prescrizione, sicchè il ricorso incidentale condizionato degli eredi di V.B.R. (parte totalmente vittoriosa in appello) deve essere esaminato nel solo caso in cui il ricorso principale venga accolto. Diversamente, esso deve essere considerato assorbito (quale ricorso incidentale condizionato) a seguito del rigetto del principale.

Tanto chiarito, vanno esaminati congiuntamente i quattro motivi del ricorso principale, con i quali nella sostanza viene posta la questione della natura e degli effetti dell’atto di divisionale concluso fra le parti. Il ricorso principale è fondato nei limiti di seguito illustrati.

Pur non definendo il codice civile in modo espresso il negozio divisionale, che è dagli interpreti qualificato come contratto con il quale si perviene allo scioglimento di una comunione per il tramite dell’assegnazione, ai condividenti, di una porzione di valore corrispondente alla quota di diritto a ciascuno spettante (cfr Cass. n. 3838 del 1978), il nodo concettuale di maggiore rilevanza consiste nell’apprezzamento della natura giuridica dell’atto divisionale, che per orientamento consolidato della Corte di legittimità ha natura dichiarativa ed accertativa e, conseguentemente, effetti retroattivi.

L’effetto dichiarativo della divisione non è mai stato messo in discussione, come principio, stante l’esistenza del combinato disposto degli artt. 1116 e 757 c.c.: il fatto che lo stesso risponda ad esigenze – soprattutto per evitare una duplicazione di carico fiscale – che possono esser state soddisfatte nell’ambito più specifico – segnatamente nella legislazione tributaria – non toglie che esso permanga nel nostro ordinamento, limitandosi l’interpretazione di legittimità ad adattarlo – con ciò confermandolo come principio generale – a singole fattispecie, come ad esempio quando vengano assegnati beni in natura eccedenti il valore della quota – considerando l’eccedenza oggetto di un accordo traslativo (Cass. n. 2483 del 2004) – o allorquando si assista a divisione di beni provenienti da titoli costitutivi diversi – vale a dire in ipotesi di masse plurime – e vengano assegnati beni provenienti da una sola massa – e quindi in eccedenza, in riferimento alla stessa – alla quota astratta di spettanza – così che l’eccedenza venga considerata oggetto di permuta (traslativa) in permuta (Cass. n. 2224 del 1961).

Vi è un ulteriore argomento che si trae a sostegno della dichiaratività dalla considerazione della natura della trascrizione dell’atto di divisione di cui all’art. 2646 c.c.: non si tratta, infatti, di una formalità in relazione alla quale poter riferire l’efficacia primaria della trascrizione, quale criterio risolutore dei conflitti tra più aventi causa dal medesimo dante causa, bensì di un’ipotesi di trascrizione disposta al solo fine di assicurare la continuità della catena pubblicitaria costituita da una serie ininterrotta di trascrizioni a favore e contro ciascun titolare del diritto, in omaggio alla regola di cui all’art. 2650 c.c..

Di recente questa Corte ha riaffermato il principio della natura dichiarativa della divisione, facendone applicazione, ai sensi degli artt. 1116 e 2283 c.c., anche alla divisione di beni conseguenti alla liquidazione dell’attivo patrimoniale residuo di una società di persone (cfr Cass. n. 17061 del 2011).

Orbene la soluzione che la corte distrettuale ha dato alla questione controversa fra le parti (se, nella specie ratto di divisione sia nullo per mancanza di causa ovvero dell’oggetto, oppure semplicemente risolubile per inadempimento, esclusa la fattispecie della promessa del fatto del terzo, configurato come diritto d’uso anzichè di proprietà, il diritto spettante all’originario attore sulla porzione di terreno sulla quale era stata costruita una tettoria), non può non rilevarsi l’estrema contraddittorietà della motivazione con cui la Corte d’Appello, dopo aver correttamente individuato la causa del contratto di divisione come la funzione economico sociale che quel tipo di negozio persegue secondo l’ordinamento, consentendo alle parti di realizzare lo scioglimento della comunione, perviene ad affermare la validità della divisione che prevede due ipotesi alternative di conferimento della predetta porzione del bene in comunione ai condividenti: perdurando la comproprietà del bene in capo ai fratelli V., lo stesso sarebbe stato assegnato ad A.; in ipotesi di proprietà del bene da parte della società costituita fra i familiari, il bene sarebbe rimasto nel godimento di entrambi i fratelli e loro eredi, “mantenendo il diritto all’uso permanente e gratuito agli intestatari e loro eredi”, sull’assunto, pare di capire, che all’epoca del contratto essendo le parti addivenute alla stipula nel convincimento della natura interamente familiare della compagine sociale della Serramental s.n.c.; con la conseguenza che l’atto risulterebbe viziato per errore attinente ad un presupposto della divisione, cioè l’esistenza della comunione, almeno per la predetta porzione di bene, fra i fratelli V..

La Corte avrebbe dovuto argomentare e svolgere una diversa indagine per accertare se l’inesistenza della comproprietà fra i fratelli, indipendentemente dalle convinzioni che al momento della stipula essi avessero avuto, costituisse violazione dell’art. 1325 c.c., n. 2; se, cioè, il negozio di divisione, potesse, in quella situazione, realizzare l’intento divisionale delle parti e la funzione economico sociale che l’ordinamento in concreto attribuisse al negozio di divisione. Del resto, questa Corte, già con decisione risalente (Cass. n. 2242 del 1972), ha precisato, seguendo una prevalente corrente dottrinaria, che in tema di sussistenza della causa del negozio divisionale non si può prescindere dal titolo che ha dato luogo alla comunione ed ha specificato che la mancanza di tale titolo dà luogo alla nullità della divisione per mancanza di causa.

Passando all’esame del ricorso incidentale condizionato, le censure formulate con i motivi da uno a sei rimangono assorbite dall’accoglimento del ricorso principale, stante la necessità di procedere ad una rivalutazione dei profili inerenti la validità e l’efficacia dell’atto di divisione, mentre va accolto il settimo motivo, che attiene a questione pregiudiziale di merito quale l’eccezione di intervenuta prescrizione del diritto preteso.

Osserva questa Corte che, ai sensi dell’art. 2943 c.p.c., comma 1, non ogni domanda ha effetto interruttivo della prescrizione, ma soltanto quella con cui l’attore chieda il riconoscimento e la tutela del diritto di cui si eccepisca la prescrizione (Cass. 14 giugno 1988 n. 4031; Cass. 5 giugno 1979 n. 3174). In altre parole, la domanda giudiziale idonea ad interrompere la prescrizione, agli effetti dell’art. 2943 c.c., è soltanto quella avente ad oggetto il diritto della cui prescrizione si tratta (Cass. 28 luglio 2004 n. 14240; Cass. 3 marzo 1997 n. 1863; Cass. SS.UU. 4 febbraio 1997 n. 1049; Cass. 21 ottobre 1994 n. 8616).

Nella specie la Corte di appello ha ritenuto interrotto il termine con il primo atto di citazione, argomentando il convincimento sull’assunto che non si limitava a chiedere l’adempimento, ma anche il risarcimento fino ad allora maturato per l’inadempimento, ricomprendendovi però anche il danno individuato nel valore del terreno, nel rimborso delle spese per la remunerazione di un professionista che aveva redatto il progetto di frazionamento e di quelle versate a titolo di restituzione del doppio della caparra ad un terzo al quale V.A. aveva promesso la vendita dell’intero fondo di sua proprietà.

Essa pertanto, si fonda sull’errata esclusione della necessaria correlazione tra azioni e diritti sostanziali fatti valere in giudizio, ai fini dell’interruzione delle prescrizione nell’ipotesi di cui all’art. 2943 c.p.c., comma 1. Infatti, in tema di responsabilità contrattuale derivante da inadempimento, per il criterio di prevedibilità del danno risarcibile, il ristoro del pregiudizio può consistere nella normalità delle circostanze dedotte, secondo un criterio di comune esperienza, con la conseguenza che la pretesa avanzata per chiedere l’adempimento di un’obbligazione per convenzione o per contratto non vale ad interrompere la prescrizione dell’azione, successivamente esperita, con la quale si chiede un bene giuridico diverso dal corrispettivo pattuito (cfr Cass. 18 settembre 2012 n. 15639).

In definitiva, va accolto il ricorso principale ed il settimo motivo del ricorso incidentale condizionato, assorbiti i restanti motivi e la sentenza cassata con rinvio a diversa Sezione della Corte di Appello di Trento, che provvedere ad un nuovo esame della controversia in applicazione dei principi esposti, decidendo anche sull’eccezione proposta da parte resistente.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso principale ed il settimo motivo del ricorso incidentale condizionato, assorbiti i restanti motivi;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, a diversa Sezione della Corte di appello di Trieste.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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