Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1657 del 24/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/01/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 24/01/2020), n.1657

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11990-2017 proposto da:

V.S., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

FLAMINIO 60, presso lo studio dell’avvocato RUGGERO LONGO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELA TASSINARI;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, MINISTERO DELLA SALUTE, in persona

del Ministro pro tempore, MINISTERO ECONOMIA FINANZE, in persona del

Ministro pro tempore, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BRESCIA, in persona

del Rettore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 430/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 30/11/2016, R. G. N. 287/2016.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza in data 30 novembre 2016, la Corte d’appello di Brescia rigettava l’appello proposto da V.S., medico specializzando in ortopedia e traumatologia presso l’Università degli Studi di Brescia negli anni accademici dal 1999 al 2004, avverso la sentenza di primo grado, di reiezione delle sue domande nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del M.I.U.R., dei Ministeri della Salute e dell’Economia e delle Finanze, dell’Università degli Studi di Brescia e della Regione Lombardia, di risarcimento del danno per ritardata attuazione in particolare della Direttiva 82/76/CE, in quanto non spettante e di prescrizione del diritto alla rideterminazione triennale della borsa di studio percepita, parametrata all’incremento economico previsto dal CCNL per i medici del Servizio Sanitario Nazionale, ai sensi del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6;

2. avverso tale sentenza il medico ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri, i suindicati Ministeri e l’Università degli Studi di Brescia resistevano con unico controricorso, mentre la Regione Lombardia non svolgeva difese;

3. il ricorrente comunicava memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3 Cost., Direttive 82/76/CE e 93/16/CE, D.C.P.M. 7 marzo 2007, 6 luglio 2007 e 2 novembre 2007, del D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37 – 41, 46 D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 art. 10 (ex art. 5), art. 249 (ex art. 189) Tratt. CEE, per erronea esclusione del risarcimento del danno per tardiva e inesatta attuazione delle direttive comunitarie in ordine all’obbligo di adeguata remunerazione, in contrasto con precedenti giurisprudenziali, con indebita proroga delle borse di studio di entità inferiore al trattamento economico introdotto dall’anno accademico 2006 e seguenti, comportante una disparità di trattamento tra medici specializzandi prima e dopo tale anno (primo motivo);

1.1. esso è infondato;

1.2. la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina prevista dal d.Ig. 257/1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacchè la Direttiva 93/16/CEE non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio di cui al d.lg. cit. (Cass. 14 marzo 2018, n. 6355; Cass. 29 maggio 2018, n. 13445; Cass. 24 maggio 2019, n. 14168);

1.3. nè sussiste irragionevole disparità di trattamento tra gli specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione a decorrere dall’anno 2006/2007 e quelli frequentanti i corsi nei precedenti periodi accademici, ben potendo il legislatore, per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale (Corte. Cost. sentenza 94/2009; sentenza 432/1997; Corte Cost. ordd. 25/2012, 224/2011, 61/2010, 170/2009, 212/2008, 77/2008), differire nel tempo gli effetti di una riforma, senza che, per ciò solo, ne possa derivare una disparità di trattamento tra soggetti che, in ragione dell’applicazione differente nel tempo della normativa in questione, ricevano trattamenti diversi (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4449);

2. il ricorrente deduce poi violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 c.c., D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 Direttive 82/76/CE e 93/16/CE, del D.L. n. 384 del 1992, art. 7 conv. con mod in L. n. 438 del 1992, per erronea determinazione del termine quinquennale, anzichè decennale, di prescrizione per la rideterminazione triennale della borsa di studio percepita, in quanto corrispettivo di carattere unitario e non periodico (secondo motivo);

2. anch’esso è infondato;

2.1. non soltanto perchè la Corte territoriale ha correttamente applicato il termine quinquennale di prescrizione, stabilito dall’art. 2948 c.c., n. 4 per gli interessi e in generale tutto ciò che si deve pagare periodicamente ad anno o in termini più brevi, che si riferisce alle obbligazioni periodiche e di durata, caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con il decorso del tempo (Cass. 9 ottobre 2012, n. 17197; Cass. 3 novembre 2016, n. 22276): e pertanto anche per il diritto all’adeguamento triennale dell’importo percepito a titolo di borsa di studio, corrisposta in sei rate bimestrali a norma del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, commi 1 e 2;

2.2. ma soprattutto perchè questa Corte ritiene – in esito a critica ricognizione del quadro normativo in materia di c.d. “blocco” del tasso di inflazione (p.ti 42 – 45 in motivazione), in più specifico riferimento all’incremento delle borse di studio al tasso programmato di inflazione (p.ti 46 – 52 in motivazione) e quindi alla rideterminazione triennale in questione (p.ti 53 – 58 in motivazione) – che a partire dal 1998 e sino al 2005 le borse di studio dei medici specializzandi non siano soggette a detto incremento (p.to 59 della motivazione), sulla base della L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12 secondo cui: “A partire dal 1998 resta consolidata in Lire 315 miliardi la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio per la formazione dei medici specialisti di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257; conseguentemente non si applicano per il triennio 1998-2000 gli aggiornamenti di cui al predetto D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4449): con valorizzazione di un dato normativo che, lungi dall’essere stato diversamente interpretato, neppure è stato esaminato dalle precedenti sentenze, di riconoscimento del blocco della contrattazione collettiva limitatamente al biennio 1992/93 e non anche al periodo successivo al 31 dicembre 1993 (Cass. 17 giugno 2008, n. 16385; Cass. 29 ottobre 2012, n. 18562; Cass. 18 giugno 2015, n. 12624), come è stato ritenuto da numerose sentenze per disattendere la richiesta di rimessione alle sezioni unite della questione per un supposto contrasto (ex plurimis: Cass. 21 giugno 2019, n. 16760);

3. il ricorrente deduce ancora violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia della Corte d’appello sulla denuncia (con il terzo motivo) di erroneità della sentenza di primo grado, pertanto da riformare nella parte di accoglimento dell’eccezione di prescrizione quinquennale in riferimento alla mancata indicizzazione annuale della borsa di studio (terzo motivo);

3.1. esso è infondato;

3.2. al di là dell’omessa pronuncia, la questione posta può ben essere decisa, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi (Cass. 1 febbraio 2010, n. 2313; Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257; Cass. 28 giugno 2017, n. 16171), in quanto infondata alla luce del consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità;

3.3. ed infatti, secondo insegnamento ormai consolidato di questa Corte, meritevole di continuità, le borse di studio non sono soggette all’incremento annuale in relazione alla variazione del costo della vita per gli anni accademici dal 1992-1993 al 2004-2005, in applicazione di quanto disposto dal D.L. n. 384 del 1992, art. 7 (conv. in L. n. 438 del 1992), dalla L. n. 537 del 1993, art. 3, dalla L. n. 549 del 1995, art. 1, dalla L. n. 662 del 1996, art. 1 e dalla L. n. 488 del 1999, art. 22 nonchè dalla L. n. 289 del 2002, in quanto il blocco degli incrementi della suddetta borsa dovuti al tasso di inflazione si iscrive in una manovra di politica economica riguardante la generalità degli emolumenti retributivi in senso lato erogati dallo Stato, come anche riconosciuto da Corte Cost. 432/97, che ha deciso la questione di costituzionalità della L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 33 (Cass. 27 luglio 2017, n. 18670; Cass. 23 febbraio 2018, n. 4449);

4. il ricorrente deduce infine violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia della Corte d’appello sulla domanda di riforma della sentenza di primo grado, in relazione all’accoglimento dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’Università e dei Ministeri della Salute e dell’Economia in ordine alla subordinata domanda risarcitoria per tardiva e inesatta attuazione della normativa comunitaria (quarto motivo);

4.1. anch’esso è infondato;

4.2. posta la configurabilità di un’omessa pronuncia, quale vizio della sentenza utilmente prospettabile, solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente proposta, richieda una pronuncia di accoglimento o di rigetto, non ricorre un tale vizio in relazione ad una questione esplicitamente o anche implicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza e che è, quindi, suscettibile di riesame nella successiva fase del giudizio, se riprospettata con specifica censura (Cass. 20 febbraio 2015, n. 3417; Cass. 26 gennaio 2016, n. 1360): ciò che si verifica nel caso di specie, per il rigetto dalla Corte d’appello della domanda (risarcitoria per tardiva e inesatta attuazione della normativa comunitaria) per cui si lamenta l’omessa pronuncia sul difetto di legittimazione passiva di alcune parti convenute;

5. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la compensazione delle spese del giudizio tra le parti per l’affermazione o comunque il consolidamento dell’indirizzo giurisprudenziale di legittimità sulle questioni controvertite dopo la proposizione del ricorso introduttivo e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio tra le parti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020

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