Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16569 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. I, 11/06/2021, (ud. 13/04/2021, dep. 11/06/2021), n.16569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20990/2017 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Pietro

Borsieri n. 3, presso lo studio dell’avvocato Donnini Tiziana,

rappresentato e difeso dall’avvocato Pichierri Catia, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

T.M., elettivamente domiciliata in Roma, Vicolo Margana n.

15, presso lo studio dell’avvocato Rinaldi Ferri Luigi,

rappresentata e difesa dall’avvocato Lamberto Maria Carla, giusta

procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 319/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 13/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/04/2021 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Nel giudizio di separazione personale tra T.M. e M.G., la Corte di appello di Torino, con la sentenza depositata il 13/2/2017, ha respinto i reciproci appelli ed ha confermato la collocazione temporanea della minore presso famiglia della zia paterna M.C. e la sospensione degli incontri tra la minore G. (n. il (OMISSIS)) e la madre “sino a quando lo riterranno necessario i medici curanti della sig.ra T., precisando che, in seguito, e inizialmente, gli incontri potranno avvenire in luogo neutro una volta al mese, salve ulteriori e diverse statuizioni”; quanto agli incontri con il padre, ha confermato il contenuto dell’ordinanza del 18/3/2016 che prevedeva un incontro settimanale disponendone le modalità ed attribuendo ai Servizi Sociali la facoltà di ampliare le modalità di incontro padre/figlia ove se ne ravvisassero le condizioni al fine di consentire il rapporto genitoriale.

M. ha proposto ricorso per cassazione con sei mezzi; T. ha replicato con controricorso e svolto ricorso incidentale con un mezzo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Preliminarmente va dato atto che è pervenuta a quest’Ufficio in data 24/2/2021 – trasmessa dalla Corte dalla Conti che la aveva originariamente ricevuta – una comunicazione di rinuncia al procedimento, sottoscritta a nome di M. e di T. con firme non autenticate e priva di data, della quale non si può tenere conto perchè non è conforme al modello previsto dall’art. 390 c.p.c.

1.2. Il ricorso principale proposto da M. è articolato in sei motivi: i primi tre concernono le statuizioni che disciplinano la collocazione in affidamento familiare della figlia minorenne, le modalità di incontro con il padre e l’attività istruttoria svolta in funzione propedeutica all’adozione del provvedimento impugnato; gli ultimi tre motivi censurano il rigetto della domanda di addebito della separazione proposta nei confronti della moglie.

Il ricorso incidentale proposto da T. è articolato in un unico motivo, centrato sulla collocazione in affidamento familiare della minore.

2.1. Partendo dal ricorso principale, con il primo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riguardo agli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione alla statuizione con cui è stata disposta la collocazione della minore presso gli zii paterni sine die, la limitazione settimanale degli incontri padre/figlia con le modalità a tal fine dettate, la facoltà dei Servizi sociali di ampliare le modalità degli incontri padre/figlia, ove se ne ravvisino le condizioni.

Il ricorrente sostiene che tale opzione sia pregiudizievole per la minore perchè trascura di considerare quale fatto decisivo “il completo benessere di G. quando è in compagnia del padre”, a suo dire documentato con fotografie. Critica l’attività istruttoria svolta e si duole che non sia stato disposto l’ascolto della minore (all’epoca di nove anni) e dei nonni, ascolto che era stato espressamente richiesto.

Denuncia il travisamento delle risultanze della CTU e la conseguente omessa valutazione circa la sussistenza delle proprie capacità genitoriali e la conseguente necessità di supportare la relazione padre/figlia nell’interesse di quest’ultima; si duole che non sia stata presa in considerazione la propria migliorata situazione psicologica, come descritta nelle relazioni di aggiornamento.

2.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 8 della CEDU, artt. 29 e 30 Cost., L. n. 184 del 1983, art. 1, art. 337 ter c.c., artt. 102 e 111 Cost. e dell’art. 6 della CEDU, in merito alla statuizione disciplinante il diritto di visita paterno.

2.3. Con il terzo motivo si denuncia l’omessa pronuncia in violazione della disciplina giuridica vigente, sotto plurimi profili: a) in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., perchè la Corte di appello non avrebbe esposto gli elementi di diritto posti a base della sua decisione; b) in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, con riferimento agli artt. 112,115 e 116 c.p.c., perchè la Corte distrettuale aveva omesso di esprimersi sulle richieste istruttorie relative all’ascolto dei nonni e senza prendere in esame il materiale fotografico prodotto per documentare il positivo sviluppo dei rapporti padre/figlia; c) in relazione all’art. 101 c.p.c., ed agli artt. 25,102 e 111 Cost. e art. 6 della CEDU, per avere la Corte di appello devoluto ogni valutazione sull’opportunità di ampliare la regolamentazione degli incontri padre/figlia ai servizi sociali; d) in relazione alla violazione degli artt. 315-bis, 336-bis e 337-octies c.c., in merito all’obbligatorietà dell’ascolto del minore e all’art. 12 della Convenzione di New York e dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo, con conseguente nullità della sentenza; in proposito il ricorrente si duole che l’ascolto non sia stato effettuato, nonostante le contestazioni mosse dal ricorrente avverso le relazioni della Dott.ssa B. della ASL.

2.4. Con il quarto motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla reiezione della richiesta di addebito della separazione giudiziale proposta nei confronti di T., in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in rapporto all’art. 151 c.c., comma 2.

Il ricorrente si duole che non sia stato valutato il comportamento escludente e diffamatorio tenuto dalla moglie nei suoi confronti, tale da avere pregiudicato fortemente anche il rapporto con la figlia.

2.5. Con il quinto motivo si lamenta la violazione dell’art. 151 c.c., comma 2. Il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia omesso di esaminare le condotte dei due coniugi, quali emerse all’esito dell’istruttoria, e di verificare se le stesse fossero state contrarie ai doveri nascenti dal matrimonio, di comparale e di verificare l’esistenza del nesso eziologico tra la condotta e la crisi coniugale.

2.6. Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., e si sostiene che la sentenza sarebbe priva di qualsiasi riferimento a norme di diritto e di argomentazione giuridica in merito al rigetto della domanda di addebito.

3.1. Passando al ricorso incidentale, con l’unico motivo, T. ha denunciato la violazione della L. n. 184 del 1983, art. 4, come modificato dalla L. n. 149 del 2001 e dal D.Lgs. n. 54 del 2013, in attuazione della Legge Delega n. 219 del 2012, in relazione al disposto affidamento familiare della minore.

La ricorrente rammenta il carattere temporaneo dell’istituto (che, a norma dell’art. 4, comma 2, non potrebbe superare la durata di ventiquattro mesi, prorogabile – a suo parere – una sola volta dal Tribunale per i minorenni), e la sua funzione, volta a consentire l’attuazione di un progetto di graduale ricomposizione degli affetti familiari e di ricostruzione di un rapporto equilibrato, continuativo, finalizzato al rientro della minore nella famiglia di origine, e si duole che ciò non sia stato considerato dalla Corte distrettuale, nonostante l’affido familiare di G. durasse da quasi cinque anni.

4.1. I primi tre motivi del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale, da trattarsi congiuntamente per connessione perchè concernono l’applicazione, nell’ambito del procedimento di separazione personale dei coniugi, dell’istituto dell’affidamento familiare, adottato nella fase di merito per la minore G. -, vanno accolti.

4.2. Vengono all’attenzione di questa Corte profili di violazione di legge e di vizio di motivazione diretti a censurare l’inosservanza, nell’impugnata decisione, del principio cardine cui si ispira l’istituto dell’affidamento familiare dei minori previsto dalla L. 4 maggio 1983, n. 184, come modificata dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, in quanto limitato nel tempo e finalizzato al superamento di condotte pregiudizievoli dei genitori ai sensi dell’art. 333 c.p.c., ovverosia il diritto del minore ad una crescita equilibrata all’interno della famiglia di origine.

4.3. L’affidamento familiare è istituto inteso quale misura offerta ad un bambino che versa in difficoltà, determinate da malattia di un genitore, isolamento sociale, trascuratezza, fenomeni di violenza fisica e psichica, relazioni disfunzionali, e quindi in casi che, temporaneamente possono ostacolare la funzione educativa e la convivenza tra genitore e figlio; è destinato a rimuovere queste situazioni di difficoltà e di disagio familiare connesse all’esercizio della responsabilità genitoriale e si pone in funzione strumentale alla tutela, riconosciuta con carattere prioritario dall’ordinamento, del diritto del minore a crescere nella propria famiglia di origine (Cass. n. 1837 del 26/1/2011).

La misura rientra tra i provvedimenti convenienti per l’interesse del minore, di cui all’art. 333 c.c., in quanto volta a superare la condotta pregiudizievole di uno o di entrambi i genitori senza dar luogo alla pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c. e ben può declinarsi nelle forme dell’affidamento interfamiliare, ovverosia ai membri della cosiddetta “famiglia allargata” – come accaduto nel caso in esame, con la collocazione presso la famiglia della zia paterna – nell’esigenza, prioritaria, di evitare al minore, insieme al trauma conseguente allontanamento dei genitori, quello di vedersi deprivato del contesto familiare in cui è cresciuto (Cass. n. 28257 del 04/11/2019).

4.4. Qualora l’applicazione dell’istituto in esame, si renda necessario nell’ambito di un giudizio di separazione – come nel caso di specie – o divorzio, trova applicazione l’art. 38 disp. att. c.c., nel testo sostituito dalla L. n. 219 del 2012, art. 3, che, pur riservando alla competenza del Tribunale per i minorenni i provvedimenti previsti, tra l’altro, dagli artt. 330,332,333,334 e 335 c.c., fa, tuttavia, eccezione per il caso in cui sia in corso, tra le stesse parti, un giudizio di separazione o divorzio o un giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c. e prevede che in tale ipotesi la competenza spetti, per tutta la durata del giudizio, al giudice del Tribunale ordinario, anche per i provvedimenti richiamati nelle predette disposizioni. Nella interpretazione di tale articolata disciplina (cfr. Cass. n. 15971 del 29/07/2015; v. anche Cass. n. 2833 del 12/02/2015; Cass. n. 1349 del 26/01/2015; Cass. n. 20202 del 31/07/2018), questa Corte ha identificato la ratio della vis attractiva dalla stessa prevista in favore del Tribunale ordinario, in ragione della prevenzione, nelle interrelazioni ed interferenze frequentemente riscontrabili tra i procedimenti di separazione e divorzio e quelli relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale, rispetto a quelli previsti dagli artt. 330 e 333 c.c., osservando che spesso risulta assai difficile distinguere, in concreto, una domanda di affidamento pura e semplice da una fondata su comportamenti pregiudizievoli o gravi abusi del genitore. Va tuttavia escluso che la vis attractiva possa estendersi alla pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale, riservata in ogni caso al giudice minorile.

L’attrazione alla competenza del giudice del tribunale ordinario impone, tuttavia, a quest’ultimo, di applicare l’istituto dell’affidamento familiare in presenza dei presupposti e secondo le regole dettate dalla L. n. 184 del 1983, non derogabili.

4.5.1. Secondo la disciplina ivi dettata, costituisce presupposto imprescindibile dell’affidamento familiare, l’ascolto del minore che ha compiuto gli anni dodici e anche del minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento (L. n. 183 del 1984, art. 4, comma 1), incombente previsto anche dall’art. 336 bis c.c., per tutti i procedimenti in cui devono essere adottati provvedimenti che riguardano il minore e, in proposito, va rammentato che “In tema di provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l’audizione del minore infradodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo, in relazione al quale incombe sul giudice che ritenga di ometterlo un obbligo di specifica motivazione, non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora opti, in luogo dell’ascolto diretto, per quello effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che solo l’ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda” (Cass. n. 1474 del 25/01/2021; cfr., sul tema dell’ascolto del minore, Cass. n. 12018 del 07/05/2019; Cass. n. 16410 del 30/07/2020).

4.5.2. Inoltre, il provvedimento di affidamento familiare, ove disposto giudizialmente, deve indicare specificatamente le motivazioni di esso, nonchè i tempi e i modi dell’esercizio dei poteri riconosciuti all’affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore. Deve altresì indicare il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonchè la vigilanza durante l’affidamento con l’obbligo di tenere costantemente informati il giudice che ha disposto la misura di ogni evento di particolare importanza, illustrando, inoltre, con relazioni periodiche semestrali l’andamento del programma di assistenza, la sua presumibile ulteriore durata e l’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.

4.5.3. Quanto al profilo nevralgico della durata, trattandosi di una misura che si connota specificamente per la sua temporaneità, il provvedimento di affidamento deve indicare il periodo di presumibile estensione temporale dell’affidamento, che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d’origine.

Invero, la situazione che giustifica l’affidamento familiare, a norma della L. n. 184 del 1983, artt. 2 e segg. e quella che giustifica la pronuncia di adottabilità, si differenziano proprio in quanto la mancanza di “un ambiente familiare idoneo” è considerata, nel primo caso, temporanea e superabile con il detto affidamento, mentre, nel secondo caso, insuperabile e tale da non poter essere ovviata se non per il tramite della dichiarazione di adottabilità; pertanto, il provvedimento che dispone l’affidamento deve indicare il periodo di prevedibile durata dello stesso e l’eventuale proroga non può a sua volta avere durata indeterminata, atteso che la duratura ed irreversibile mancanza di un ambiente familiare idoneo per il minore determina in concreto quella situazione di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità, pur in presenza di un’attuale e positiva situazione di affidamento etero-familiare, la quale (ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 8, comma 2), non è di impedimento alla dichiarazione anzidetta (Cass. n. 10706 del 4/5/2010; Cass. n. 1837 del 26/1/2011).

Alla temporaneità dell’affidamento familiare consegue che lo stesso cessi con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato l’interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia d’origine che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi pregiudizio al minore; tuttavia, trascorso il periodo di durata previsto, quando non sia stato dichiarato cessato l’affidamento per le anzidette ragioni, il giudice tutelare sentiti il servizio sociale locale interessato ed il minore richiede, se necessario, al competente tribunale per i minorenni l’adozione di ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore.

4.5.4. Ne consegue che, qualora l’istituto venga applicato nell’ambito di un giudizio di separazione – come il presente – o di divorzio, è il giudice del tribunale ordinario a dover osservare le disposizioni prima ricordate, e, quindi, a dover stabilire la durata dell’affidamento – che non può essere sine die -; a disporre, se del caso, la proroga motivata, anch’essa temporalmente circoscritta; a valutare la ricorrenza di una causa di cessazione della misura per il venir meno della situazione di difficoltà temporanea della famiglia di origine ovvero, qualora ciò non sia possibile perchè le condizioni familiari che avevano reso opportuna la misura non sono migliorate o mutate e non consentono di reintrodurre il minore nella famiglia di origine, ad ascoltare nuovamente il minore e richiedere, se necessario, al Tribunale per i minorenni competente l’adozione di ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore.

4..6. Va infine aggiunto che compete al giudice del tribunale ordinario, in ragione della particolare delicatezza dell’istituto e della sua diretta incidenza limitativa sull’esercizio della responsabilità genitoriale, anche valutare la ricorrenza in concreto: di una situazione di conflitto di interessi del minore verso entrambi i genitori, tenendo conto delle limitazioni apportate alla responsabilità genitoriale ed al diritto di visita; dell’andamento delle iniziative poste a sostegno del recupero dell’originario nucleo familiare; della conflittualità esistente tra i coniugi e della posizione assunta dagli stessi tra loro e nei confronti degli affidatari e di quanto altro utile e rilevante nell’interesse del minore; e della necessità di disporre, ove s’imponga, la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., per assicurare la regolare instaurazione del contraddittorio e non incorrere in nullità delle attività processuali svolte (cfr. Cass. n. 3855 del 18/02/2014; Cass. n. 4948 del 04/04/2001; Cass. n. 21381 del 30/08/2018).

4.7. Nel caso di specie, la sentenza impugnata risulta viziata e va cassata sul punto, perchè i principi rammentati non risultano essere stati applicati.

Invero, non risulta svolto l’ascolto della minore, senza che siano state esplicitate le ragioni per cui non è proceduto a ciò; non è indicata la durata dell’affido familiare e lo stesso non pare essere stato contenuto nel termine massimo previsto, in caso di proroga, dalla legge; non è dato evincere nemmeno un motivato provvedimento di proroga espresso; non risulta, nonostante ciò, che siano state avanzate richieste di ulteriori provvedimenti al Tribunale per i minorenni; non risulta alcuna valutazione in ordine alla ricorrenza di un conflitto di interessi tra la minore ed i genitori, nonostante la grave compromissione dei rapporti relazionali tra tutte le parti e l’assenza di elementi sintomatici di un progressivo, sia pure lento, miglioramento.

Risulta inoltre fondata la censura relativa al mancato ascolto dei nonni, sulla cui richiesta la Corte distrettuale non si sofferma affatto.

5.1. Vanno, invece, respinti i motivi quarto, quinto e sesto del ricorso principale, concernenti il rigetto della domanda di addebito proposta nei confronti di T., da trattarsi congiuntamente perchè strettamente connessi.

5.2. Va premesso che, in tema di separazione personale, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posta dall’art. 143 c.c., a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione, lungi dall’essere intervenuta quando era già maturata ed in conseguenza di una situazione di intollerabilità della convivenza, abbia, viceversa, assunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale (Cass. n. 18074 del 20/08/2014). Va aggiunto che la dichiarazione di addebito della separazione implica la imputabilità al coniuge del comportamento, volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matrimonio, cui sia ricollegabile l’irreversibile crisi del rapporto fra coniugi (Cass. n. 25843 del 18/11/2013) e che l’onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza grava sulla parte che richieda l’addebito (Cass. n. 16691 del 05/08/2020), mentre l’apprezzamento circa la responsabilità di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilità della convivenza è istituzionalmente riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità in presenza di una motivazione congrua e logica (Cass. n. 18074 del 20/08/2014).

Nella specie, la Corte di appello ha applicato i principi anzidetti, dando conto, con motivazione congrua, puntuale ed immune dai vizi denunciati, che la relazione coniugale si palesava grandemente problematica sulla scorta delle prospettazioni di entrambi i coniugi e che le relazioni peritali svolte nel grado avevano confermato che T. presentava “una personalità molto fragile caratterizzata da tratti ossessivi paranoici, di recente sfociati in manifestazioni psicotiche mentre M. presenta una personalità immatura, caratterizzata dal tono monocorde dell’umore, tratti ossessivi ed aspetti persecutori che lo portano a manifestare richieste di aiuto alternate a modalità rivendicative, e che la bambina ha trascorso la sua prima infanzia in un ambiente relazionale patologico” (fol. 5 della sent. imp.) ed ha concluso che risultava impossibile individuare a quale dei due coniugi potesse essere addebitata la crisi coniugale e quale fosse il comportamento volontario di inadempimento grave agli obblighi derivanti dal matrimonio causalmente sufficienti a determinare, in maniera oggettivamente apprezzabile, la crisi coniugale.

Le plurime censure sostanzialmente sollecitano una inammissibile rivalutazione del merito, laddove la sentenza ha illustrato con puntualità come i profili di personalità di entrambi, fortemente caratterizzati da problematiche psicologiche, hanno impedito agli stessi di avviare e mantenere una relazione affettiva, senza che ciò potesse essere ascritto, per entrambi, ad un comportamento di volontario inadempimento dei doveri coniugali.

6. In conclusione, vanno accolti i primi tre motivi del ricorso principale e va accolto il ricorso incidentale; vanno, invece, rigettati i motivi quarto, quinto e sesto del ricorso principale; la sentenza impugnata va cassata nei limiti dell’accoglimento e rinviata alla Corte di appello di Torino in diversa composizione per il riesame e la statuizione sulle spese anche del presente grado alla luce dei principi espressi (par. 4.5.1. e ss. e par. 4.6. – 4.7.).

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

PQM

– Accoglie i primi tre motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale, rigetta le doglianze restanti; cassa la sentenza impugnata nei limiti di quanto accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Torino, diversamente composta, anche per le spese di questo grado del giudizio;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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