Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16566 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. I, 11/06/2021, (ud. 26/02/2021, dep. 11/06/2021), n.16566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14006/2016 proposto da:

Gruppo Editoriale L’espresso S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, M.E., Me.Se.,

elettivamente domiciliati in Roma, Piazza dei Caprettari n. 70,

presso lo studio dell’avvocato Ripa Di Meana Virginia, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Vacchini Valeria,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

A.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Aureliana n.

53, presso lo studio dell’avvocato Strano Antonino, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce alla comparsa di

costituzione di nuovo procuratore e difensore;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1009/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/02/2021 dal Cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. e della L. n. 47 del 1948, art. 8, depositato il 15 gennaio 2010, l’avvocato A.G. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, M.E., nella qualità di direttore responsabile del quotidiano La Repubblica, il Gruppo Editoriale L’espresso s.p.a., il giornalista Me.Se., e l’associazione Assoaeroporti, chiedendo l’immediata pubblicazione di una rettifica – ai sensi dell’art. 8 della L. n. 47 del 1948 – che desse atto della falsità delle affermazioni contenute in un articolo pubblicato sul quotidiano (OMISSIS), dal titolo “Parcella contestata all’assessore A.”, dall’asserito contenuto diffamatorio. L’ A. chiedeva, altresì, la condanna dei responsabili al risarcimento dei danni subiti. Il Tribunale adito, con ordinanza del 26 ottobre 2010, comunicata il 14 dicembre 2010, rilevando la mancata, rituale, notifica nei confronti del direttore responsabile, unico soggetto legittimato a resistere alla domanda attorea di rettifica, ed interpretando la domanda risarcitoria – in relazione alla quale sarebbero stati legittimati gli altri convenuti – come consequenziale alla mancata pubblicazione della rettifica, rigettava il ricorso.

2. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1009/2016, depositata il 17 febbraio 2016 e notificata il 30 marzo 2016, dichiarava la nullità della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., relativamente alla domanda di rettifica ed a quella risarcitoria proposta contro M.E., per inesistenza della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado. La Corte in riforma della decisione impugnata – accoglieva, poi, la domanda di risarcimento danni proposta nei confronti del Gruppo Editoriale L’Espresso, e di Me.Se., condannandoli in solido al pagamento della somma di Euro 25.000,00, oltre accessori. Il giudice di appello accertava, invero, il carattere diffamatorio dell’articolo in discussione, e reputava – di conseguenza sussistente un danno patrimoniale sofferto dall’attore. La Corte territoriale rigettava, invece, la domanda proposta dall’avvocato A. nei confronti di Assaeroporti, non essendo provato il coinvolgimento dell’associazione nella diffusione della lettera in data 16 dicembre 2019, diretta agli associati, dalla quale aveva tratto origine la vicenda oggetto di causa.

3. Per la cassazione di tale sentenza hanno, quindi, proposto ricorso Il Gruppo Editoriale L’espresso s.p.a., M.E. e Me.Se., nei confronti dell’avvocato A.G. e di Assoaeroporti, affidato a cinque motivi. Il resistente avvocato A. ha replicato con controricorso. L’associazione Assoaeroporti non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, il Gruppo Editoriale L’espresso, M.E. e Me.Se. denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 702 quater e 339 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Si dolgono i ricorrenti del fatto che la Corte d’appello non abbia ritenuto inammissibile, poichè tardivo, con rilievo operabile d’ufficio, l’appello proposto dall’avvocato A., il quale – sebbene avesse ricevuto la comunicazione dell’ordinanza, che definiva il primo grado del giudizio, il 14 dicembre 2010 – avrebbe depositato il ricorso nella cancelleria della Corte d’appello il 13 gennaio 2011, ma lo avrebbe passato per la notifica solo in data 3 marzo 2011, ossia ben oltre il termine di trenta giorni dalla comunicazione, previsto dall’art. 702 quater c.p.c., provvedendo poi a notificarlo alle parti tra il 4 ed il 10 marzo 2011.

Assumono i ricorrenti che l’atto di appello – ancorchè proposto con ricorso anzichè con citazione, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., norma applicabile al caso di specie, atteso che nel rito sommario, seguito nel giudizio di primo e secondo grado, l’art. 702 quater c.p.c., non prevede la forma dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado – avrebbe dovuto essere comunque notificato nei trenta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 702 ter c.p.c.. Non sarebbe sufficiente, invero, ad assicurare la tempestività del gravame il mero deposito dell’atto presso la cancelleria del giudice di appello.

1.2. Il motivo è fondato.

1.2.1. La prevalente giurisprudenza di questa Corte – che in questa sede si intende confermare – si è, invero, pronunciata nel senso che l’impugnazione dell’ordinanza conclusiva del giudizio sommario di cui all’art. 702 ter c.p.c., può essere proposta esclusivamente nella forma ordinaria dell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 342 c.p.c. – da notificarsi nei trenta giorni previsti dagli artt. 325 e 702 quater c.p.c. – non essendo espressamente prevista dalla legge per il secondo grado di giudizio l’adozione del rito sommario quale modalità alternativa al rito ordinario. Nè è possibile, in caso di appello introdotto mediante ricorso, la salvezza degli effetti dell’impugnazione, mediante lo strumento del mutamento del rito previsto del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 5 (Cass., 05/03/2020, n. 6318; Cass., 10/04/2018, n. 8757).

1.2.2. Nel caso concreto, lo stesso controricorrente, avvocato A., ha affermato di avere depositato in data 13 gennaio 2011, presso la cancelleria della Corte d’appello di Roma, ricorso in appello, provvedendo a notificarlo agli appellati – unitamente al pedissequo decreto di fissazione di udienza – solo in data 3 marzo 2011 (controricorso, pp. 5 e 13), ossia ben oltre il termine di trenta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza di primo grado, avvenuta il 14 dicembre 2010 (come, del pari, ammesso dall’odierno controricorrente, a p. 5 del controricorso), previsto dagli artt. 325 e 702 quater c.p.c..

E’ evidente, pertanto, che l’appellante si è illegittimamente avvalso della diversa forma del ricorso, rispetto a quella dell’atto di citazione prevista dall’art. 342 c.p.c., provvedendo, altresì, alla relativa notifica oltre il termine breve di cui agli artt. 325 e 702 quater c.p.c.. Per cui il gravame è da ritenersi tardivamente proposto, ed è perciò inammissibile.

1.2.3. Nè può dubitarsi del fatto che il rilievo della tardività dell’appello possa essere operato, anche d’ufficio, nel giudizio di legittimità. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, infatti, l’inammissibilità dell’appello – principale o incidentale proposto tardivamente può essere eccepita per la prima volta in sede di legittimità dalla parte interessata, ed è comunque rilevabile d’ufficio dalla Corte di cassazione quando la relativa questione come nella specie – non sia stata dibattuta davanti al giudice di secondo grado e non abbia formato oggetto di una sua pronuncia. L’indagine sulla tempestività del gravame si risolve – per vero nell’accertamento di un presupposto processuale per la proseguibilità del giudizio, determinando la sua tardiva proposizione il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (ex plurimis, Cass., 12/05/2003, n. 7256; Cass., 11/07/2006, n. 15705; Cass. Sez. U., 25/06/2019, n. 16979; Cass., 24/01/2020, n. 1654).

2. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il primo motivo di ricorso deve essere accolto, derivandone l’assorbimento degli altri motivi, concernenti il merito della vicenda processuale. Ai sensi dell’art. 382, comma 2, c.p.c., la sentenza di appello va, pertanto, cassata senza rinvio, perchè il processo non poteva essere proseguito. Concorrono giusti motivi – tenuto conto dell’esito complessivo della lite – per compensare interamente tra le parti le spese di tutti i gradi del giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa l’impugnata sentenza senza rinvio perchè il processo non poteva essere proseguito; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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