Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16560 del 14/07/2010

Cassazione civile sez. I, 14/07/2010, (ud. 23/06/2010, dep. 14/07/2010), n.16560

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Safim s.r.l. N.G. S.M.P. S.

F. e C.A., domiciliati in Roma, via dei Gracchi

39, presso l’avv. Carbone A., che li rappresenta e difende, come da

mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Capitalia Service j.v. s.r.l., domiciliata in Roma, via Attilio

Regolo 19, presso l’avv. V. Farro, rappresentata e difesa dall’avv.

MUSOLINO V., come da mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1779/2004 della Corte d’appello di Napoli,

depositata il 28 maggio 2004;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi;

Udite le conclusioni del P.M., Dr. GOLIA Aurelio, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Napoli ha confermato il rigetto dell’opposizione proposta dalla Safim s.r.l. e dai suoi fideiussori N.G., S.M.P., S. F.e C.A. avverso il decreto ingiuntivo loro notificato dalla Banca Mediterranea s.p.a. per il pagamento della somma di L. 118.000.000, oltre interessi e spese.

Hanno ritenuto i giudici del merito: a) contrariamente a quanto dedotto dagli opponenti, risulta documentalmente provato che, in esecuzione di un contratto di fido stipulato il (OMISSIS), la Safim s.r.l. ottenne dalla banca lo sconto di cambiali, subendo poi l’addebito dell’importo dei titoli rimasti insoluti; e del resto il difensore degli opponenti si dichiarò disponibile a una transazione con esborso di sessanta o settanta milioni di lire;

b) è infondata l’eccezione di inefficacia della fideiussione, che risulta stipulata il (OMISSIS) a garanzia di tutte le obbligazioni bancarie della Safim s.r.l. fino a concorrenza di settecentocinquanta milioni di lire; sicchè non vi si applicano le limitazioni introdotte con la sopravvenuta L. n. 154 del 1992.

Contro la sentenza d’appello ricorrono ora la Safim s.r.l. e i suoi fideiussori N.G., S.M.P., S. F., e C.A., proponendo tre motivi d’impugnazione, cui resiste con controricorso la Capitalia Service j.v. s.r.l., succeduta per incorporazione alla Banca Mediterranea.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo complesso motivo d’impugnazione i ricorrenti deducono vizi di motivazione, anche per violazione dell’onere della prova, e violazione degli artt. 1362 e ss. c.c., artt. 1858, 1859, 1842, 1843, 1322 e 1852 c.c., con riferimento alla individuazione e all’interpretazione della fonte dell’obbligazione dedotta in giudizio dalla banca. Sostengono che in atti è documentata la stipulazione di un contratto di fideiussione, non di un contratto di apertura di:

credito, e che lo sconto dei titoli fu concesso al di fuori di un rapporto di apertura di credito o anche di un cosiddetto “castelletto di sconto”, come dimostrato dalla mancanza di un limite all’affidamento.

Aggiungono che manca la prova di un’effettiva percezione da parte della Safim s.r.l, del ricavo della cessione dei titoli, posto che non risultano accrediti sul suo conto corrente nè la banca ha prodotto le distinte di sconto. E comunque la stipulazione di un contratto da parte della banca esige una manifestazione di volontà degli organi societari.

Rileva infine che la banca è dunque venuta meno all’onere di provare il titolo del credito vantato.

1.2 – Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, “il contratto di sconto bancario non richiede la forma scritta, nè “ad substantiam”, nè “ad probationem”, ferma restando, ove lo sconto avvenga mediante la girata di cambiale, l’osservanza delle formalità richieste dalla legge di circolazione del titolo medesimo” (Cass., sez. 1^, 17 luglio 1985, n. 4210, m. 441712).

D’altro canto “il castelletto di sconto è un negozio che si distingue da quello di apertura di credito, in quanto con esso la banca s’impegna, nel limite e per il tempo concordati, a scontare, a favore di un soggetto determinato, gli effetti e le ricevute bancarie che questo le presenterà e, pertanto, non implica, anche se regolato in conto corrente, alcun trasferimento di denaro al cliente (neppure nella forma della “messa a disposizione”); mentre detto trasferimento avverrà solo in forza dei singoli negozi di sconto e l’obbligazione restitutoria dello scontatario sorgerà solo ove i documenti scontati rimangano insoluti” (Cass., sez. 1^, 11 settembre 1993, n. 9479, m.

483724).

Ne consegue che nè l’assenza di un contratto di apertura di credito nè l’assenza di un “castelletto di sconto” rilevano ai fini del costituirsi delle obbligazioni derivanti da un contratto di sconto, anche quando stipulato per fatti concludenti. Nè rileverebbe la mancata legittimazione di chi agì per conto della banca, che ne avrebbe comunque ratificato l’operato per fatti concludenti, con la deduzione in giudizio del contratto di sconto quale fonte di un proprio credito (Cass., sez. 3^, 12 dicembre 2005, n. 27335, m.

589928, Cass., sez. 2^, 19 settembre 1992, n. 10745, m. 478755).

Indipendentemente dunque dal controverso accertamento dell’esistenza di un contratto di apertura di credito, correttamente i giudici del merito hanno ritenuto che dal comprovato, e in realtà neppure contestato, sconto delle cambiali trae origine il diritto di credito vantato dalla banca.

I ricorrenti sostengono che neppure risulterebbe il mancato pagamento dei titoli scontati. Ma i giudici del merito danno atto del protesto delle cambiali, oltre che dell’esistenza del contratto di fido e delle domande di sconto dei titoli. Sicchè quello denunciato dai ricorrenti è un errore di percezione non deducibile con ricorso per cassazione, bensì con revocazione.

2.1 – Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione di norme giuridiche e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta inapplicabilità retroattiva della L. n. 154 del 1992 in tema di fideiussioni bancarie.

Sostengono che le cambiali scontate, e quindi le obbligazioni oggetto della pretesa garanzia, erano tutte in scadenza dopo l’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992. Sicchè risulterebbero applicabili le sopravvenute limitazioni.

Aggiungono che la banca è venuta meno all’obbligo della buona fede, perchè non ha provato il proprio rapporto con il debitore principale.

2.2 – Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “la mancata predeterminazione, con espressa dichiarazione di volontà, dell’importo massimo garantito esclude che il fideiussore possa essere chiamato a rispondere dei debiti sorti a carico del debitore principale dopo l’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, art. 10” (Cass., sez. 1^, 9 febbraio 2007, n. 2871, m. 594207, Cass., sez. 3^, 30 ottobre 2008, n. 26064, m. 605240).

Sicchè ciò che rileva, ai fini dell’applicabilità del nuovo testo dell’art. 1938 c.c. è il momento in cui nasce l’obbligazione garantita. E non v’è dubbio che l’obbligazione di restituzione delle somme ottenute con lo sconto di titoli cambiari nasce sin dal momento della cessione pro solvendo delle cambiali scontate, sebbene si tratti di obbligazione condizionata all’inadempimento del debitore ceduto (Cass., sez. 1^, 23 settembre 2002, n. 13823, m. 557508, Cass., sez. 1^, 11 agosto 2000, n. 10689, m. 539499).

Correttamente pertanto i giudici del merito hanno escluso l’applicabilità nel caso in esame della L. n. 154 del 1992.

Quanto alla dedotta mancanza di prova del rapporto con il debitore principale, si richiama quanto argomentato con riferimento al primo motivo del ricorso.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono violazione del R.D. n. 1578 del 1933, art. 13 e dell’al art. 1965 c.c. vizi di motivazione della decisione impugnata.

Censurano l’argomento probatorio che i giudici del merito hanno ritenuto di poter desumere dalla proposta transattiva proveniente da un loro difensore, lamentando che la lettera con la proposta sia stata prodotta in violazione della deontologia professionale dell’avvocato di controparte e che erroneamente i giudici del merito vi abbiano attribuito natura confessoria.

Il motivo è inammissibile, in quanto il riferimento alla proposta di transazione è esibito solo ad abundantiam e non ha un ruolo decisivo nella motivazione esibita dai giudici del merito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2010

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