Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16558 del 14/07/2010

Cassazione civile sez. I, 14/07/2010, (ud. 17/06/2010, dep. 14/07/2010), n.16558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

E.C. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di consigliere

del Consiglio Provinciale di Bolzano e del Consiglio Regionale del

Trentino Alto Adige – Sudtirol, elettivamente domiciliato in ROMA,

Via MICHELE MERCATI 51, presso l’avvocato VACCARELLA ROMANO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati DI BRINA LEONARDO,

BRANDSTATTER GERHARD, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M.G. (c.f. (OMISSIS)), G.F. (c.f.

(OMISSIS)), T.M. (c.f. (OMISSIS)), F.B. (c.f.

(OMISSIS)), M.M. (C.f. (OMISSIS)), K.C.A.B.

(C.F. (OMISSIS)), K.J. (c.f. (OMISSIS)),

T.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 288, presso l’avvocato REGGIO D’ACI MICHELA, che li

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

contro

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BOLZANO,

PRESIDENTE P.T. DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL TRENTINO ALTO ADIGE,

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI

TRENTO – SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO, PRESIDENTE P.T. DEL

CONSIGLIO PROVINCIALE DI BOLZANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 201/2009 della SEZ. DIST. DI BOLZANO – CORTE

D’APPELLO di TRENTO, depositata il 14/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/06/2010 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;

uditi, per il ricorrente, gli Avvocati ROMANO VACCARELLA, LEONARDO DI

BRINA e GERHARD BRANDSTATTER che hanno chiesto l’accoglimento del

ricorso;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato MICHELA REGGIO D’ACI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 67, ex art. 70 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 82 (Testo unico delle leggi per la composizione e l’elezione degli organi delle amministrazioni comunali) i signori C.M., G.F., T.M., K.C., K.J., F.B., M.M. e T.C. convenivano dinanzi al Tribunale di Bolzano il sig. E.C., chiedendo che fosse dichiarata la sua ineleggibilità alla carica di consigliere provinciale e regionale cui era stato eletto all’esito del voto in data (OMISSIS); con la conseguente sua sostituzione con il primo dei non eletti nella lista elettorale della (OMISSIS).

Esponevano che l’ E. ricopriva dal 26 maggio 2005 la carica di presidente del consiglio di amministrazione e di legale rappresentante dei Consorzio Stabile Costruttori Alto Adige s.r.l. -CONBAU, aggiudicatario di contratti di appalto commessi dalla Provincia autonoma di Bolzano per la realizzazione della variante alla strada statale (OMISSIS) e della variante di (OMISSIS), di rilevante valore economico, e che le sue dimissioni erano state rassegnate tardivamente, oltre l’ultimo giorno fissato per la presentazione delle candidature.

Costituitosi ritualmente, l’ E. eccepiva la natura giuridica di consorzio, e non di società commerciale lucrativa, propria del Conbau, che non aveva assunto in proprio alcun obbligo di adempimento specifico per l’esecuzione degli appalti, rimessa alle singole imprese consorziate, per cui conto aveva solo partecipato alle gare.

Inoltre, assumeva che la pretesa causa ostativa integrava, piuttosto, l’incompatibilità per conflitto di interessi, rimovibile con le dimissioni successive all’elezione, ed in via gradata sollevava questione di illegittimità costituzionale delle norme della legge provinciale ex adverso invocate.

Con sentenza 21 settembre 2009 il Tribunale di Bolzano, in accoglimento del ricorso, dichiarava l’ineleggibilità dell’ E. e per l’effetto, a correzione del risultato delle votazioni, lo sostituiva con il primo dei non eletti.

Il successivo gravame era respinto, con compensazione delle spese processuali, dalla Corte d’appello di Trento, con sentenza 14 dicembre 2009.

La corte territoriale motivava:

– che era pacifico che il Consorzio Stabile Costruttori Alto Adige – Conbau s.r.l, fosse risultato aggiudicatario e alla data della consultazione elettorale curasse l’esecuzione di due contratti di appalto, aventi ad oggetto varianti stradali, stipulati con la provincia autonoma di Bolzano, in qualità di capogruppo di un raggruppamento temporaneo di imprese cui partecipava nella misura del 90%;

– che la nozione di consorzio stabile era fissata dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 36 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), con previsione di un’organizzazione comune, non limitata alla gestione solo di alcune fasi dell’attività: con la conseguenza che il Conbau non operava, nella specie, quale semplice mandatario delle imprese consorziate ed era in grado di eseguire direttamente i lavori affidati in appalto, con ripartizione degli utili in proporzione alle quote di partecipazione, secondo le regole delle società lucrative;

– che, anche se nella specie il consorzio aveva stipulato il contratto con l’ente pubblico in nome proprio ma per conto dei consorziati, si era creato un vincolo negoziale diretto per l’esecuzione dell’opera: gravante, in primo luogo, sul consorzio stesso e, in via solidale, rispettivamente sulle cinque imprese consorziate per la variante della strada statale (OMISSIS) e sulle quattro consorziate per la variante di (OMISSIS), nominativamente indicate in sede di offerta, a fini di trasparenza, in ossequio all’art. 36 codice degli appalti, comma 5;

– che la posizione apicale dell’ E. all’interno del consorzio lo rendeva ineleggibile, secondo il chiaro disposto dell’art. 11 del Testo unico delle leggi regionali per la elezione del consiglio regionale del Trentino Alto Adige, che sotto la rubrica “Altre cause di ineleggibilità” elencava anche i rappresentanti legali di società o imprese private che risultassero legati con la Regione o con le Province con contratti di opere di notevole entità economica: distinguendo nettamente tale situazione dalle fattispecie di incompatibilità di cariche previste dal successivo art. 12;

– che erano manifestamente infondate le eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate sotto vari profili dall’appellante, in quanto non poteva ravvisarsi il tertium comparationis, ai fini della violazione del principio di eguaglianza, in altre leggi elettorali di regioni a statuto ordinario, o anche della provincia di Trento, stante la potestà normativa primaria riconosciuta ai predetti enti territoriali dalla Costituzione, implicante la legittimità di un diverso regime dei requisiti per l’elezione: salvo il limite di ragionevolezza, che nella specie non appariva peraltro violato, stante il rispetto del criterio della par condicio elettorale sotteso all’esclusione dalla competizione elettorale di soggetti dotati di particolare visibilità, in forza dei grandi interessi economici coinvolti da un’opera pubblica rilevante per l’economia locale, e pertanto in grado di influenzare l’esito elettorale.

Avverso la sentenza, notificata il 15 dicembre 2009 proponeva ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, l’ E., con atto notificato il 4 gennaio 2010.

Deduceva:

1) la violazione degli artt. 2602 e 2615 ter c.c., 34, 35 e 36 codice dei contratti pubblici, nonchè della L.R. Trentino Alto Adige 8 agosto 1983, n. 7, art. 11, comma 1, lett. a) e la carenza di motivazione nell’erronea estensione della disciplina in materia di ineleggibilità alla qualifica di legale rappresentante del Conbau, che, quale consorzio, caratterizzato da causa mutualistica, non era incluso nella previsione di legge regionale citata, che si riferiva solo alle società e alle imprese, di natura lucrativa;

2) la violazione della L.R. 8 agosto 1983, n. 7, art. 11, comma 1, lett. a) e il vizio di motivazione nel non riconoscere nella fattispecie concreta una mera causa di incompatibilità, connotata da conflitto di interesse e sanabile con la rinuncia all’incarico ex post;

3) la violazione della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23 per la ritenuta manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata sulla norma in esame così come interpretata dalla Corte d’appello di Bolzano;

4) l’illegittimità costituzionale del combinato disposto della L. Provincia autonoma di Bolzano 14 marzo 2003, art. 1 della L.P. 9 giugno 2008, n. 3, art. 1, comma 1 e della L.R. 8 agosto 1983, n. 7, art. 11, comma 1, lett. a) per violazione degli artt. 2, 3 e 51 Cost., e comunque del principio di ragionevolezza, laddove sancivano l’ineleggibilità legata alla qualifica di rappresentante legale di società legate con la Regione o le Province autonome con contratti di opere e di somministrazioni, nonostante le dimissioni dalla carica prima della convalida del risultato elettorale.

Resistevano con unico controricorso i signori C., + ALTRI OMESSI Entrambe le parti depositavano memorie illustrative, ex art. 378 c.p.c. All’udienza del 17 giugno 2010 il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni, come da verbale, in epigrafe riportate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Dev’essere dichiarata, in via preliminare di rito, l’inammissibilità della c.d. memoria integrativa depositata dai controricorrenti dopo che avevano già esercitato il diritto di replica con una prima memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c. Non è infatti consentita la reiterazione di ulteriori scritti difensivi, non prevista dalla norma e lesiva della dialettica processuale a scapito della controparte che non sia più in termini per contrastare le altrui argomentazioni postume.

A fortiori inammissibile è la produzione di documenti (articoli di stampa e schema grafico rappresentativo della composizione del Combau), evidentemente estranei alla previsione di cui all’art. 372 c.p.c., perchè non riguardanti la nullità della sentenza impugnata, nè l’ammissibilità del ricorso o del controricorso.

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2602, 2615 ter c.c., artt. 34, 35 e 36 del codice dei contratti pubblici, nonchè della L.R. Trentino Alto Adige 8 agosto 1983, n. 7, art. 11, comma 1, lett. a) e la carenza di motivazione nell’erronea estensione della disciplina in materia di ineleggibilità alla qualifica di legale rappresentante di un consorzio, di oggetto e natura giuridica diversi da una società commerciale con scopo lucrativo.

Il motivo è infondato.

Premesso che dalla semplice lettura della L.R. Trentino Alto Adige 8 agosto 1983, n. 7, art. 11 emerge evidente la sanzione di ineleggibilità, e non di incompatibilità, ricondotta alla qualità di rappresentante legale di società o imprese private, legate con la regione o con le province con contratti di opere di notevole entità economica (in claris non fit interpretatio) – quali, nella specie, stipulati dal Conbau, a seguito di aggiudicazione, con la provincia autonoma di Bolzano – si osserva come il fulcro centrale della tesi a sostegno della censura consista nella pretesa differenza, ai fini che qui rilevano, tra i soggetti indicati dalla norma (società o imprese private) e un consorzio: sotto il profilo che, quand’anche costituito in forma di s.r.l., quest’ultimo conserverebbe natura mutualistica e finalità non lucrative diverse e irriducibili con quelle di un ordinaria società commerciale. Distinzione, che non potrebbe neppure essere annullata per effetto di estensioni analogiche, escluse in tema di eccezioni al diritto di elettorato passivo, caratterizzate dal principio di stretta interpretazione.

Così riassunto il nucleo argomentativo della censura, va subito notato come essa esordisca con una forzatura del dato letterale della norma – primo elemento rilevante in sede ermeneutica (art. 12 disp. gen.) – che accomuna, senza distinzioni, società e imprese private.

Non vi è, quindi, alcun appiglio testuale che consenta di circoscriverne l’ambito di applicazione, in parte qua, alle società di persone o capitali, commerciali in senso stretto. La causa mutualistica, propria di cooperative e consorzi a rilevanza esterna, non preclude, in astratto, l’esercizio di attività imprenditoriale; tanto meno, quando questa si svolga, come nella specie, in esecuzione di contratti di opere pubbliche. In quest’ottica, l’esclusione dal novero soggettivo contemplato in rapporto alle cause di ineleggibilità, ipotizzabile per eventuali società senza impresa o per altri soggetti collettivi comunque privi di natura imprenditoriale (quali, ad esempio, i consorzi a mera rilevanza interna), trova fondamento, non già in un’interpretazione restrittiva della locuzione “società o imprese private”, quanto piuttosto nell’assenza del secondo requisito, che pure deve concorrere, dei contratti di notevole entità economica da essi posti in essere.

Si osserva, poi, in sede dommatica, che la tipizzazione del contratto di consorzio, avvenuta con il codice civile del 1942 e inizialmente funzionale alla sola disciplina limitativa della concorrenza tra imprenditori dello stesso ramo, ha assunto una recisa connotazione imprenditoriale per la cooperazione interaziendale con il testo dell’art. 2602 emendato dalla L. 10 maggio 1976, n. 377, che ha eliminato il riferimento all’identità e alla connessione delle attività degli imprenditori consorziati.

E’ vero che, secondo la prevalente dottrina, il consorzio ha causa mutualistica (si parla di mutualità consortile), consistente nell’ottenere una prestazione a condizioni più vantaggiose per i consorziati (e non per il consorzio, come accade per le società), che non sul libero mercato agendo isolatamente. Tuttavia, lo scopo mutualistico può avere gradazioni diverse, che vanno dalla c.d. mutualità pura, caratterizzata dall’assenza di qualsiasi scopo di lucro, alla c.d. mutualità spuria, che in ragione di un fine mutualistico attenuato, consente una maggiore dinamicità operativa anche nei confronti di terzi non soci: conciliando così lo scopo mutualistico con un’attività commerciale e con la conseguente possibilità di cedere beni e servizi a terzi a fini di lucro (principio affermato, in tema di cooperative, da Cass., sez. 1, 8 settembre 1999, n. 9513).

E’ rilievo largamente condiviso in dottrina che per una naturale trasformazione della realtà uno stesso istituto giuridico, quando non sia addirittura cancellato dai mutamenti sociali ed economici, è sottoposto a processi evolutivi che lo portano ad assecondare nuovi bisogni ed a discostarsi più o meno significativamente dalla sua funzione originaria. Fenomeno, particolarmente vistoso nel campo mutualistico, come confermato proprio dagli esempi di mutualità tra imprenditori, o in campo finanziario – v. il D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 106, comma 3, lett. a) (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) – e riflesso nei numerosi interventi legislativi che hanno portato gradualmente ad un drastico ridimensionamento della c.d. mutualità pura; tanto da indurre a ritenere che le L. 7 febbraio 1971, n. 127 (c.d. legge Basevi) e L. 19 marzo 1983, n. 72 (cd. legge Vicentini – bis) ed infine la L. 31 gennaio 1992, n. 59 abbiano posto il suggello alla progressiva modificazione della funzione della impresa cooperativa, dalla fase originaria della pura eliminazione dell’utile altrui a quella dell’acquisizione anche di un utile proprio, e che l’evoluzione del fenomeno abbia gradatamente sfocato gli aspetti antagonistici tra cooperativa e capitalismo, così da consentire l’adozione dello schema mutualistico al servizio di imprese medio – piccole, lucrative. Del resto, la contaminazione dei modelli in subiecta materia si evince dall’ampio rinvio operato dall’art. 2516 c.c. che rende applicabile alle società cooperative una serie di disposizioni riguardanti le società per azioni (disposizioni aventi ad oggetto i conferimenti e le prestazioni accessorie, le assemblee, gli amministratori, i sindaci, i libri sociali, il bilancio e la liquidazione della società): sia pure con la clausola generale di compatibilità con le norme successive e con quelle delle leggi speciali. In questo senso, e conclusivamente, il consorzio esterno è ora un autonomo centro di imputazione che può assumere, ex art. 2615 ter c.c. forma di società di capitali – come nel caso in esame – con personalità giuridica, restando soggetto a fallimento ed alla disciplina antitrust in tema di intese (pur non integrando una concentrazione: L. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 5, comma 3), avendo natura imprenditoriale riconducibile all’art. 2195 c.c., n. 5 (attività ausiliarie), ed eventualmente anche n. 1 (servizi intermediari).

Con il secondo motivo il ricorrente censura la violazione della L.R. 8 agosto 1983, n. 7, art. 11, comma 1, lett. a), il vizio di motivazione nel non riconoscere, nella fattispecie concreta, una mera causa di incompatibilità.

Il motivo è infondato.

Come già detto, la lettera della norma in esame è chiarissima nel ricomprendere tra le cause di ineleggibilità il potere di rappresentanza organica, apicale, che lega il candidato ad una società che intrattenga con l’ente territoriale rapporti di appalto di notevole rilevanza economica, quali quelli, di fatto, correnti tra il Conbau e la provincia autonoma di Bolzano. Tale voluntas legis è rispecchiata financo dalla rubrica (Altre cause di ineleggibilità) dell’art. 11 del Testo unico delle leggi regionali per l’elezione del consiglio regionale. Quel che dunque propone il ricorrente non è una interpretazione più aderente a lettera e ratio della norma, bensì la sua inammissibile correzione.

Non pertinenti si palesano, al riguardo, i richiami analogici a diverse disposizioni di legge statali, quali il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 63 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e la L. 23 aprile 1981, n. 154, art. 3 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale); o di enti territoriali, quale la L.P. Trento 5 marzo 2003 n. 2, art. 17 (Norme per l’elezione diretta del consiglio provinciale di Trento e del presidente della provincia).

E’ chiaro, infatti, che non vi può essere spazio per un’integrazione analogica di una disposizione specifica che disciplini la fattispecie in modo autonomo e senza lacune.

Con gli ultimi due motivi, da esaminare congiuntamente per affinità di contenuto, il ricorrente solleva, sotto vari profili, eccezione di incostituzionalità del combinato disposto della L. della provincia autonoma di Bolzano 14 marzo 2003, n. 4, art. 1, comma 1, della L.P. 9 giugno 2008, n. 3, art. 1, comma 1 nonchè della L.R. Trentino Alto Adige 8 agosto 1983, n. 7, art. 11, comma 1, lett. a) per violazione degli artt. 2, 3 e 51 Cost., e comunque per violazione del principio di ragionevolezza.

Deduce altresì la violazione della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) e l’omessa motivazione della mancata remissione alla Corte costituzionale della questione di illegittimità sollevata.

Quest’ultima doglianza va dichiarata, in limine, inammissibile, trattandosi di questione giuridica che non richiede una motivazione in senso proprio, connaturale solo agli accertamenti di fatto.

In sede delibativa della rispondenza della disciplina normativa applicata nel caso in esame alle norme costituzionali invocate, si osserva preliminarmente che l’eccezione, oltre ad essere rilevante, è certo ammissibile, dal momento che la giurisprudenza costante della Corte costituzionale ha affermato la sindacabilità delle norme che comminano, alternativamente, l’ineleggibilità o l’incompatibilità a cariche elettive, sotto il profilo del criterio della ragionevolezza, in rapporto alle finalità diverse cui le due sanzioni rispondono: tali, da non consentirne la previsione discrezionale, o promiscua, da parte del legislatore. La prima costituisce, infatti, una più grave deroga al diritto di elettorato passivo, costituzionalmente tutelato (art. 51 Cost.) e dev’essere quindi giustificata da condizioni personali tassative: quale una condanna penale per determinati reati cui la legge ricolleghi la perdita dell’elettorato passivo, o la titolarità di un ufficio o di una carica suscettibili di provocare un’indebita influenza distorsiva sulle libere scelte degli elettori, lesiva della par condicio, in virtù di una captatio benevolentiae, o del timore reverenziale ingenerato.

Per contro, l’incompatibilità sottende un conflitto di interessi, pur se potenziale; o quanto meno, un giudizio di inopportunità dell’esercizio contemporaneo della carica elettiva e di altra, privata o pubblica, ricoperta dal candidato. Quale causa distorsiva meno grave della competizione politica, non produce l’invalidità dell’elezione ( a differenza della causa di ineleggibilità), ma è sanabile mediante il successivo abbandono del munus ricoperto entro -il termine di legge.

Alla luce dì questa configurazione concettuale, la Corte costituzionale ha più volte affermato che le cause di ineleggibilità sono dì stretta interpretazione e devono essere rigorosamente informate alla soddisfazione di effettive esigenze di pubblico interesse (Corte costituzionale, 13 febbraio 2008, n. 25; Corte costituzionale, 3 ottobre 2003, n. 306; Corte costituzionale, 2 febbraio 1990, n. 53; ed altre). L’art. 51 Cost. pone infatti come regola l’eleggibilità; e solo come eccezione l’ineleggibilità (Corte costituzionale, 6 febbraio 2009, n. 27).

Nel merito l’eccezione si palesa, tuttavia, manifestamente infondata.

Come esattamente rilevato dalla Corte d’appello di Trento, ogni riferimento a leggi regionali o statali, a titolo di tertium comparationis è, in radice, inconferente, dal momento che già la regione Trentino Alto Adige era titolare di potestà legislativa propria ed esclusiva in materia elettorale, incluse le cause di ineleggibilità e incompatibilità, in forza dell’art. 19 dello statuto speciale di autonomia del 1948 (Legge Costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5), e poi dell’art. 25 dello statuto speciale di autonomia del 1972 (D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670).

La medesima potestà primaria è stata poi trasferita a ciascuna delle due province autonome di Trento e Bolzano – entro i limiti posti dalla Costituzione, dai principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e dal rispetto degli obblighi internazionali – dalla Legge di Riforma Costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 e dall’art. 47 dello statuto regionale emendato. Ne consegue che eventuali differenze di disciplina in materia elettorale tra enti territoriali singolarmente dotati di potestà normativa autonoma non è indice di violazione del principio di eguaglianza, nè del diritto di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive secondo i requisiti stabiliti dalla legge (art. 51 Cost.), essendo anzi, in linea di principio, connaturale alla stessa autonomia normativa riconosciuta.

Neanche la residua censura di irragionevolezza supera il vaglio della non manifesta infondatezza.

All’origine delle cause di ineleggibilità vi è, come detto, la tutela della par condicio nella competizione elettorale, che comporta l’esigenza di non alterare il corretto giuoco democratico.

Cosa diversa è invece il conflitto di interessi: rimovibile ex post proprio perchè in se stesso insuscettibile di condizionare la libera espressione di voto, consistendo solo in una situazione di incompatibilità sopravvenuta, o anche solo di inopportuna coesistenza, di una funzione o incarico previgenti all’elezione.

Nei limiti generali di cui sopra, la configurazione attribuita, in concreto, alle singole ipotesi rientra nel potere discrezionale del legislatore. Nè può dirsi che l’ineleggibilità di soggetti alla guida di società o imprese che intrattengano rapporti contrattuali di rilevante peso economico con l’ente territoriale interessati dalla competizione elettorale violi il canone di ragionevolezza, tenuto conto proprio della possibile influenza sugli aventi diritto al voto determinata da posizioni di potere economico del candidato, commiste con la funzione pubblica.

Riprova conclusiva, e francamente insuscettibile di seria confutazione, si palesa il D.P.R. 30 Marzo 1957, n. 361, art. 10 (Approvazione del Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), che configura un’analoga causa di ineleggibilità, in termini letterali pressochè identici (“Non sono eleggibili inoltre coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni… di notevole entità economica…”).

Il ricorso è dunque infondato e va respinto, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2010

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