Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16558 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 05/08/2016, (ud. 18/05/2016, dep. 05/08/2016), n.16558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8577-2012 proposto da:

P.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FRASCATI 10, presso lo studio dell’avvocato MICHELE MARELLA, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ANAS S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che lo rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7216/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/02/2011, R.G. N. 2932/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato MICHELE MARELLA;

udito L’Avvocato LORENZO CONFESSORE per delega ROBERTO PESSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per

l’inammissibilità, in subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 28.2.11 la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame di P.S. contro la sentenza 5.12.06 del Tribunale capitolino che ne aveva respinto la domanda intesa ad ottenere nei confronti di ANAS S.p.A. il riconoscimento dal 19.3.99 del livello A, responsabile amministrativo contabile, del CCNL per i dipendenti ANAS, o il livello A1, come coordinatore amministrativo o coordinatore contabile, con le relative differenze retributive.

Per la cassazione della sentenza ricorre P.S. affidandosi a due motivi.

ANAS S.p.A. resiste con controricorso.

Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 1362 e 1372 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., per avere la sentenza impugnata negato il superiore inquadramento travisando il contenuto delle deposizioni e di una attestazione del direttore centrale dell’ANAS del 30.5.02, erroneamente escludendo che il ricorrente avesse poteri discrezionali ed un grado di autonomia e di responsabilità diretta dell’istruzione degli affari amministrativi: si obietta, invece, in ricorso che egli aveva quelle competenze medio alte delle complesse procedure esecutive riconducibili, quanto meno, alla declaratoria contrattuale del livello A1 di cui all’art. 67 del CCNL 1998-01 per i dipendenti ANAS, che richiede responsabilità diretta e autonomia decisionale in compiti complessi e altamente variabili sulla base di direttive generali; e nell’esercizio delle proprie mansioni – prosegue il ricorso – il ricorrente emanava decreti di impegno e di pagamento, mandati e deleghe, relativi alle ritenute IRPEF sui redditi da lavoro autonomo, provvedendo altresì ad esaminare le cartelle esattoriali e gli avvisi di pagamento relativi a tasse e tributi di varia natura, nonchè a curare il complesso e articolato procedimento di estinzione delle pratiche pignoratizie a carico dell’ente ed effettuando autonomamente persino le necessarie pratiche presso le competenti cancellerie del Tribunale In vista dello svincolo delle somme pignorate da terzi; in breve – si conclude il motivo il ricorrente espletava mansioni di varietà e complessità tali da richiedere l’Inquadramento come quadro direttivo, considerato altresì che nel proprio lavoro egli si rapportava al direttore, senza intermediari, discutendo nel merito le questioni.

Il motivo va disatteso sotto plurimi profili.

Da un lato, infatti, esso in sostanza sollecita – ad onta dei richiami normativi una mera rivisitazione integrale del materiale istruttorio (documentale e testimoniale) affinchè se ne fornisca una valutazione diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione.

In altre parole, il ricorso si dilunga nell’opporre al motivato apprezzamento della Corte territoriale proprie difformi valutazioni delle prove, ma tale modus operandi non è idoneo a segnalare un vizio di motivazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo, applicabile ratione temporis, previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134).

Infatti, i vizi argomentativi deducibili con il ricorso per cassazione ai sensi del previgente testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non possono consistere in apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti, perchè a norma dell’art. 116 c.p.c. rientra nel potere discrezionale – come tale insindacabile – del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare all’uopo le prove, controllarne l’attendibilità, l’affidabilità e la concludenza e scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti, con l’unico limite di supportare con congrua e logica motivazione l’accertamento eseguito (v., ex aliis, Cass. n. 2090/04; Cass S U n. 5802/98).

Le differenti letture ipotizzate in ricorso scivolano sul piano dell’apprezzamento di merito, che presupporrebbe un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in punto di fatto, Incompatibili con il giudizio innanzi a questa Corte Suprema, cui spetta soltanto il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione delle risultanze probatorie, nonchè la verifica sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute, senza che ciò possa tradursi in un nuovo accertamento, ovvero nella ripetizione dell’esperienza conoscitiva propria dei gradi precedenti.

A sua volta il controllo in sede di legittimità delle massime di esperienza non può spingersi fino a sindacarne la scelta, che è compito del giudice di merito, dovendosi limitare questa S.C. a verificare che egli non abbia confuso con massime di esperienza quelle che sono, invece, delle mere congetture.

Le massime di esperienza sono definizioni o giudizi Ipotetici di contenuto generale, indipendenti dal caso concreto sul quale il giudice è chiamato a decidere, acquisiti con l’esperienza, ma autonomi rispetto ai singoli casi dalla cui osservazione sono dedotti ed oltre i quali devono valere; tali massime sono adoperabili come criteri dl inferenza, vale a dire come premesse maggiori dei sillogismi giudiziari.

Costituisce, invece, una mera congettura, in quanto tale inidonea ai fini del sillogismo giudiziario, tanto l’ipotesi non fondata sull’id quod plerumque accidit, insuscettibile di verifica empirica, quanto la pretesa regola generale che risulti priva, però, di qualunque pur minima plausibilità.

Ciò detto, si noti che nel caso di specie il ricorso non evidenzia l’uso di inesistenti massime di esperienza nè violazioni di regole inferenziali, ma si limita a segnalare soltanto possibili difformi valutazioni degli elementi raccolti, il che costituisce compito precipuo del giudice del merito, non di quello di legittimità, che non può prendere in considerazione quale ipotetica illogicità argomentativa la mera possibilità di un’ipotesi alternativa rispetto a quella ritenuta in sentenza.

Nè il ricorso isola (come invece avrebbe dovuto) singoli passaggi argomentativi per evidenziarne l’illogicità o la contraddittorietà intrinseche e manifeste (vale a dire tali da poter essere percepite in maniera oggettiva e a prescindere dalla lettura del materiale di causa), ma ritiene di poter enucleare vizi di motivazione dal mero confronto con documenti e deposizioni, vale a dire attraverso un’operazione che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione non consentiti innanzi a questa Corte Suprema.

In breve, la gravata pronuncia ha accertato – con motivazione immune da vizi logici o giuridici – che le mansioni del ricorrente erano quelle proprie del profilo di assistente amministrativo, consistenti in istruttoria e revisione delle pratiche e acquisizione di documenti, svolte secondo procedure e moduli organizzativi vincolati, senza poteri discrezionali o decisionali e senza poteri, neppure delegati, di firma.

Sotto altro aspetto il motivo è, poi, improcedibile nella parte in cui in sostanza lamenta un’errata applicazione delle declaratorie contrattuali: per costante giurisprudenza (cfr., ex aliis, Cass. n. 4350/15; Cass. n. 2143/2011; Cass. 15.10.10 n. 21358; Cass. S.U. 23.9.10 n. 20075; Cass. 13.5.10 n. 11614), nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – è soddisfatto solo con la produzione del testo integrale della fonte convenzionale, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c..

Nè a tal fine basta la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui tali atti siano stati eventualmente depositati, essendo altresì necessario che in ricorso se ne indichi la precisa collocazione nell’incarto processuale (v., ad es., Cass. n. 27228/14), il che nel caso in esame non è avvenuto.

2- Il secondo motivo prospetta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2699, 2700, 2730 e 2735 c.c. per avere la gravata pronuncia trascurato la summenzionata attestazione del direttore centrale, non contestata dalla società, avente l’efficacia probatoria d’una confessione stragiudiziale In quanto proveniente da figura apicale dell’ente.

Il motivo è Infondato perchè la sentenza, esaminata l’attestazione del direttore centrale dell’ANAS del 30.5.02, ne ravvisa l’inidoneità a costituire prova in favore del ricorrente non già perchè ne sia dubbia la genuinità (il che avrebbe coinvolto la questione sulla relativa attitudine probatoria ex art. 2735 c.c.), ma perchè delle mansioni in essa descritte non chiarisce il grado di autonomia che costituisce, invece, il punto qualificante del superiore inquadramento rivendicato.

3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.600,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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