Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16555 del 14/07/2010

Cassazione civile sez. I, 14/07/2010, (ud. 15/06/2010, dep. 14/07/2010), n.16555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO FE.MA.SCA. S.R.L. (c.f. (OMISSIS)), in persona del

Curatore Avv. D.R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BAIAMONTI 10, presso l’avvocato DI SABATO FRANCO, che lo rappresenta

e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SAN PAOLO IMI S.P.A. (P.I. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CAVOUR 211, presso l’avvocato CAPECCI GIOVANFRANCESCO, rappresentato

e difeso dall’avvocato IOLLO GENNARO, giusta procura speciale per

Notaio Dott. CARLO BOGGIO di TORINO – Rep. n. 106362 del 31.3.05;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1485/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/06/2010 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il (OMISSIS) il curatore del fallimento della FE.MA.SCA s.r.l. citò davanti al Tribunale di Santa Maria Capuavetere la San Paolo IMI s.p.a., banca con la quale la società fallita aveva intrattenuto un rapporto di conto corrente di corrispondenza, per la revocatoria delle rimesse solutorie eseguite sul conto nell’ultimo anno anteriore al fallimento, per complessive L. 188.699.000, e per la dichiarazione d’inefficacia di un ulteriore versamento di L. 10.996.324, eseguito dopo la dichiarazione di fallimento. La convenuta, costituitasi, eccepì che il versamento posteriore al fallimento era stato eseguito da un fideiussore con denaro proprio, che le altre rimesse non erano revocabili per diverse ragioni, e che in ogni caso essa aveva ignorato lo stato d’insolvenza della società.

Il tribunale, con sentenza 30 dicembre 2002, accolse in parte la domanda.

Sull’appello della banca, la Corte d’appello di Napoli, con sentenza 5 maggio 2004, in riforma della sentenza di primo grado respinse le domande della curatela fallimentare, per difetto della scientia decoctionis. La corte escluse che nella particolare fattispecie di causa, e tenuto conto dei capitoli dell’interrogatorio formale articolati dalla curatela, con i quali si chiedeva alla banca di ammettere che “conosceva lo stato d’insolvenza in cui versava la FE.MA.SCA s.r.l.”, la mancata comparizione del legale rappresentante della banca a rendere l’interrogatorio equivalesse ad una fiata confessio di una circostanza di fatto, se non convalidata da elementi desumibili dagli atti; ed osservò poi che tali elementi mancavano, perchè la tolleranza mostrata riguardo agli scoperti di conto corrente, traducendosi nell’erogazione di credito, dimostrava non già la conoscenza delle difficoltà dell’impresa ma la perdurante fiducia della banca nella società correntista; mentre mancavano elementi che univocamente avrebbero dimostrato una valutazione negativa della solvibilità del correntista, come il rifiuto di concedere ulteriore credito, la richiesta di rientro dalle esposizioni, l’orchestrazione di operazioni di rientro concordate, e in genere fatti dimostrativi dell’intenzione della banca di recuperare le somme erogate, e vi erano invece elementi, trascurati dal primo giudice, che dimostravano il contrario, come l’apertura o la rinnovazione di altre linee di credito.

Per la cassazione della sentenza, non notificata, ricorre il fallimento della FE.MA.SCA. s.r.l., con atto notificato il 28 febbraio 2005, affidato ad un unico motivo.

Resiste San Paolo IMI S.p.a. con controricorso notificato il 7 aprile 2005.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il ricorso, censurando l’affermazione circa la mancata prova della scientia decoctionis in capo alla banca, la curatela del fallimento denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, e l’esistenza di vizi di motivazione circa un punto decisivo della controversia. Il giudice di merito avrebbe, da un lato; prospettato in linea teorica gli elementi fondanti la scientia decoctionis in capo alla banca, e, dall’altro, non avrebbe considerato che “proprio alcuni di quegli elementi risultano provati in giudizio, con ciò omettendo di considerare la documentazione acquisita agli atti”, e specificamente la concessione di una garanzia fideiussoria su richiesta della banca, il fatto che la banca fosse un operatore qualificato, e lo scopo – sostanzialmente solutorio – con il quale sarebbe stata concessa una linea di credito nell’agosto del 1994.

Il mezzo, formalmente posto sotto una rubrica mista (violazione di norme di diritto e vizi di motivazione) ed estremamente generica, si traduce nel tentativo di ottenere da questa corte un riesame di tutto il materiale di causa, al fine di pervenire ad una soluzione di merito diversa da quella motivatamente adottata dalla corte territoriale; e ciò, sulla sola base di un diverso apprezzamento di alcuni elementi, favorevoli alla parte ricorrente, e della svalutazione di altri elementi, utilizzati dalla corte medesima. Si tratta di valutazioni di merito, sottratte al sindacato di legittimità di questa corte, essendo nel caso in esame congruamente motivate ed immuni da vizi logici e giuridici intrinseci.

Al rigetto del ricorso segue la condanna della parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2010

 

 

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