Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16554 del 31/07/2020

Cassazione civile sez. I, 31/07/2020, (ud. 22/06/2020, dep. 31/07/2020), n.16554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24968/2014 proposto da:

Compass Leather S.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Caio Mario n. 27,

presso lo studio dell’avvocato Magni Francesco Alessandro, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Sagripanti Roberto,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Atradius Credit Insurance N. V., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via L. Settembrini

n. 28, presso lo studio dell’avvocato Gregori Gianni, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Rago Raffaella, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4339/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/06/2020 dal cons. CLOTILDE PARISE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 4339/2013, pubblicata il 30-7-2013, la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta da Compass Leather s.r.l. avverso il lodo arbitrale sottoscritto in Roma il 14 dicembre 2004, con il quale era stato dichiarato prescritto il diritto all’indennizzo assicurativo azionato, individuato il termine iniziale di decorso del termine prescrizionale nella data in cui aveva avuto inizio la procedura di concordato stragiudiziale. La Corte territoriale, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte in tema di sindacabilità dell’interpretazione data dagli arbitri al contratto e della relativa motivazione, ha ritenuto che la parte impugnante non avesse prospettato la violazione di specifiche regole di diritto e non avesse specificato i canoni ermeneutici violati dagli arbitri, limitandosi solo a proporre una più favorevole interpretazione delle clausole contrattuali.

2. Avverso questa sentenza la Compass Leather s.r.l. propone ricorso, affidato a un solo motivo, nei confronti di Atradius Credit Insurance N. V., conferitaria del portafoglio assicurativo della S.I.C. s.p.a., che resiste con controricorso.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico articolato motivo la società ricorrente lamenta “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., in relazione agli artt. 828 e 829 c.p.c., agli artt. 1362 e 1371 c.c. e in particolare dell’art. 1370 c.c. e/o dell’art. 2935 c.c.; e/o motivazione omessa e/o incongrua e/o contraddittoria”. Deduce la ricorrente di avere impugnato ritualmente il lodo dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, in particolare evidenziando che il contratto di assicurazione avrebbe dovuto essere interpretato secondo le regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., in conformità, peraltro, a quanto ritenuto dal Collegio Arbitrale e secondo la regola di cui all’art. 1370 c.c., in base alla quale le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro. Rimarca che il contratto era stato inequivocabilmente predisposto dalla S.I.C. s.p.a., aveva le caratteristiche di un modulo o di un formulario e nel proemio del contratto la S.I.C. aveva specificato, a caratteri cubitali, che il contratto assicurava contro il rischio di insolvenza i crediti commerciali, decorsi 240 giorni dalla denuncia di morosità del debitore, in caso di insolvenza sia di diritto che di fatto. Rileva che nel proemio non si menzionava alcuna distinzione tra la perdita effettiva e la perdita presunta e neppure detta distinzione, ravvisata sussistente dal Collegio arbitrale, era chiaramente espressa nelle clausole contrattuali, ad avviso della ricorrente. Deduce, di conseguenza, che erroneamente il collegio arbitrale aveva ritenuto di non potere utilmente considerare il termine di 240 giorni decorrente dalla denuncia di morosità ai fini del rigetto dell’eccezione di prescrizione in quanto, secondo il collegio arbitrale, detta previsione contrattuale era esclusivamente riferita all’ipotesi di liquidazione dell’indennizzo a titolo di perdita presunta. Invece ad avviso della ricorrente la previsione di cui trattasi, come indicato nel proemio, era riferibile anche alla perdita definitiva e prima dello spirare del termine di 240 giorni dalla ricezione della denuncia di morosità la prestazione assicurativa neppure era esigibile, sicchè il termine di prescrizione iniziava a decorrere, a norma dell’art. 2935 c.c., alla scadenza dei 240 giorni, ossia dal giorno in cui il diritto poteva essere fatto valere. Lamenta, dunque, la ricorrente che la Corte territoriale avesse omesso di considerare che: 1) era stata denunciata nell’atto di impugnazione la violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1370 c.c., applicabile nella specie, trattandosi di contratto concluso mediante moduli e formulari; 2) nel caso concreto ricorrevano dubbi interpretativi, sia perchè le clausole contrattuali richiamate nel lodo arbitrale non erano chiaramente espresse, sia perchè le suddette clausole, come interpretate dal collegio arbitrale nel senso dell’inoperatività del termine di 240 giorni in ipotesi di perdita definitiva, si ponevano in contrasto con quanto previsto nel proemio del contratto, avente pieno valore contrattuale, che faceva decorrere, senza alcuna distinzione tra perdita definitiva e perdita virtuale, l’azionabilità del diritto all’indennizzo dal decorso di 240 giorni dalla denuncia di morosità; 3) nella ricorrenza di dubbi interpretativi in base al disposto dell’art. 1370 c.c., si imponeva la scelta della soluzione ermeneutica più favorevole al contraente che non aveva predisposto il modulo o formulario, ossia più favorevole all’attuale ricorrente.

2. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

2.1. Occorre premettere che, essendo stata la convenzione d’arbitrato stipulata nel 1997, ossia prima del 2 marzo 2006, il lodo era impugnabile anche per violazione di regole di diritto relative al merito della controversia (Cass. S.U. 9284/2016) e che la Corte d’appello ha preliminarmente precisato, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, che l’impugnazione rescindente per nullità è esperibile o per violazione di regole interpretative, con puntuale specificazione dei canoni violati, oppure per assoluto difetto di motivazione. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto insussistente il difetto di motivazione e, quanto all’interpretazione delle clausole, ha affermato che gli arbitri avevano seguito le regole normative codificate ex artt. 1362 e s. c.c., valorizzando la comune intenzione delle parti con chiara esposizione dell’iter argomentativo, mentre la Compass si era limitata a proporre solo una più favorevole interpretazione dell’accordo.

2.2. Ciò posto, è inammissibile il motivo di ricorso nella parte in cui denuncia il vizio motivazionale, atteso che, in tema di arbitrato, la sanzione di nullità prevista dall’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, per il lodo contenente disposizioni contraddittorie non corrisponde a quella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In particolare, poichè nel caso di specie è dedotta la contraddittorietà interna tra le diverse parti della motivazione, che non è espressamente prevista tra i vizi che comportano la nullità del lodo, il vizio del lodo può assumere rilevanza soltanto in quanto determini l’impossibilità assoluta di ricostruire l’iter logico e giuridico sottostante alla decisione per totale assenza di una motivazione riconducibile al suo modello funzionale (Cass. n. 11895/2014).

La carenza motivazionale non è stata denunciata dalla ricorrente sotto tale specifico profilo, risultando, anzi, dalle stesse deduzioni svolte in ricorso chiaro il percorso argomentativo seguito dal Collegio arbitrale, che, nell’individuare il dies a quo del termine di prescrizione, ha ritenuto differente la regolamentazione negoziale dei casi di perdita definitiva rispetto a quelladei casi di perdita virtuale, applicandosi solo a questi ultimi la dilazione di 240 giorni, e ciò in base all’interpretazione complessiva delle clausole di interesse (artt. 6, 9 e 10 c.g.a. e 11 polizza).

2.3. Le censure sub specie del vizio di violazione di legge sono infondate nella parte in cui la ricorrente invoca l’applicazione del canone interpretativo di cui all’art. 1370 c.c., che è criterio sussidiario e presuppone il dubbio interpretativo.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, “in tema di interpretazione del contratto, il giudice di merito, nel rispetto degli artt. 1362 e 1363 c.c., per individuare quale sia stata la comune intenzione delle parti, deve preliminarmente procedere all’interpretazione letterale dell’atto negoziale e, cioè, delle singole clausole significative, nonchè delle une per mezzo delle altre, dando contezza in motivazione del risultato di tale indagine. Solo qualora dimostri, con argomentazioni convincenti, l’impossibilità (e non la mera difficoltà) di conoscere la comune intenzione delle parti attraverso l’interpretazione letterale, potrà utilizzare i criteri sussidiari di interpretazione, in particolare il comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto ed il principio di conservazione” (Cass. n. 9786/2010). Inoltre la scelta da parte del giudice del merito del mezzo ermeneutico più idoneo all’accertamento della comune intenzione dei contraenti non è sindacabile in sede di legittimità qualora sia stato rispettato il principio del “gradualismo”, secondo il quale deve farsi ricorso (anche in caso di atti negoziali unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale ex art. 1324 c.c.) ai criteri interpretativi sussidiari, come l’interpretatio contra stipulatorem in presenza di modulo predisposto da uno dei contraenti ai sensi dell’art. 1370 c.c., solo quando risulti non appagante il ricorso ai criteri di cui agli artt. 1362 – 1365 c.c., ed il giudice fornisca compiuta ed articolata motivazione della ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale (Cass. n. 12721/2007). Nella fattispecie in esame, la Corte d’appello ha accertato che il Collegio arbitrale si è attenuto ai principi suesposti.

Premesso che, come incontroverso tra le parti, nel caso concreto si verteva in ipotesi di perdita definitiva (insolvenza di diritto che si intende verificata alla data di apertura del concordato preventivo- ex art. 9 c.g.a.- l’oggetto dell’indennizzo era la perdita subita a seguito di insolvenza degli acquirenti), secondo il Collegio arbitrale, in base ad interpretazione complessiva delle clausole ex art. 1363 c.c. (art. 11 della polizza in combinato disposto con gli artt. 6, 9 e 10 c.g.a.), il termine di prescrizione aveva iniziato a decorrere dalla data di apertura del concordato preventivo del 12-7-1999 (di seguito non perfezionato con il conseguente fallimento del debitore Poker) o dall’ultima denuncia di morosità (20-9-1999), e non dovevano computarsi, ossia aggiungersi, i 240 giorni dalla ricezione della denuncia di morosità, perchè, ad avviso del collegio arbitrale, la previsione di questo termine aggiuntivo si riferiva solo all’ipotesi di perdita virtuale.

La Corte territoriale ha affermato che il testo e l’intenzione delle parti corrispondevano all’esegesi degli arbitri, con ciò negando equivocità/contrasto d’ambito applicativo del contratto di assicurazione di crediti commerciali, sicchè non ricorre il vizio di violazione di legge denunciato.

La ricorrente, peraltro, non riporta esattamente nel ricorso il contenuto contrattuale, anche delle condizioni generali di assicurazione, relativo alla distinzione tra perdita effettiva e/o presunta e ai presupposti della dilazione, avuto riguardo all’interpretazione complessiva delle clausole effettuata dal Collegio arbitrale di cui si è detto, e quindi, in parte qua, la critica difetta di autosufficienza ed è svolta genericamente, solo con riferimento al “proemio” (cfr. Cass. n. 6735/2019 sull’onere di puntuale specificazione del contenuto del ricorso per cassazione, ove sia censurata l’interpretazione contrattuale).

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

4. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S. U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 4.200, di cui Euro200 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2020

 

 

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