Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16553 del 05/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 05/07/2017, (ud. 15/06/2017, dep.05/07/2017),  n. 16553

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27135/2012 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA POSTUMIA 3,

presso lo studio dell’avvocato ANGELA ORLANDO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE VITTORIO CENTOLA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI FOGGIA, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 164/2011 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

FOGGIA, depositata il 29/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/06/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

Fatto

RITENUTO

che:

C.M. proponeva impugnazione avverso il diniego di condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, emesso per tardivo pagamento della seconda rata, innanzi alla CTP di Foggia che, con sentenza n. 460/10/2006, dichiarava valido il condono essendo l’Amministrazione legittimata unicamente al recupero delle sanzioni ed interessi sulle rate versate tardivamente. A seguito della pronuncia, l’Agenzia delle Entrate provvedeva ad iscrivere a ruolo la somma di Euro 2.694,76, pari al 30% dell’importo dell’ultima rata di condono, ed Equitalia notificava al contribuente la relativa cartella di pagamento. Successivamente l’Ufficio proponeva appello avverso la sentenza della CTP, che veniva accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia. Propone ricorso per la cassazione della sentenza C.M., svolgendo quattro motivi, illustrandolo con memorie. Si è costituita con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.Con il primo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata denunciando violazione dell’art. 329 c.p.c., atteso che la CTR non ha preso in alcuna considerazione la circostanza che l’Agenzia delle Entrate ha posto in essere atti dai quali si desume inequivocabilmente l’acquiescenza alla pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale n. 460/10/2006, tenuto conto che a seguito di tale pronuncia ha provveduto ad iscrivere a ruolo la somma pari al 30% dell’importo dell’ultima rata di condono, come stabilito nella suindicata sentenza. Il ricorrente deduce conseguentemente l’inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio, per violazione dell’art. 329 c.p.c..

1.1. Il motivo è infondato.

In tema di contenzioso tributario, qualora l’Amministrazione finanziaria, in ottemperanza alla sentenza del giudice tributario – in controversia riguardante l’impugnazione del diniego di condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis – che abbia ritenuto valido il condono, provveda all’iscrizione a ruolo della somma pari al 30% dell’importo dell’ultima rata di condono, non pagata o pagata in ritardo, non determina acquiescenza alla sentenza, nè ciò può essere in tal modo apprezzato nel giudizio che ha per oggetto l’impugnazione del diniego di condono espresso dall’Ufficio per omesso o ritardato pagamento dell’ultima rata, la cui contestazione resta, quindi, impregiudicata, trattandosi di un comportamento che può essere fondato anche sulla mera volontà di recuperare immediatamente somme a favore dell’Erario a titolo di acconto su quanto interamente dovuto.

2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, denunciando la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, atteso che l’Agenzia delle Entrate ha proposto appello senza essere autorizzata della competente direzione regionale delle Entrate.

2.1. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha recentemente ribadito che nel processo tributario la disposizione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, secondo la quale gli uffici periferici del dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze e gli uffici del territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale, rispettivamente, dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione generale delle entrate e dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio, non è più applicabile una volta divenuta operativa, in forza del D.M. Economia 28 dicembre 2000, la disciplina recata dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, che ha istituito le Agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle finanze, e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, spettando a ciascuna agenzia appellare le sentenze ad esse sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali (Cass. 25773 del 2016; Cass. n. 10736 del 2014, Cass. n. 22 del 2016).

3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, tenuto conto che in motivazione erroneamente si afferma che non è da ritenersi valida la definizione della L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis, anche nel caso di ritardato o mancato pagamento di una rata di condono successiva alla prima.

3.1. La censura è infondata.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, a cui il Collegio intende senz’altro dare continuità, infatti, il condono previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, relativo alla possibilità di definire gli omessi e tardivi versamenti delle imposte e delle ritenute emergenti dalle dichiarazioni presentate, mediante il solo pagamento dell’imposta e degli interessi od, in caso di mero ritardo, dei soli interessi, senza aggravi e sanzioni, costituisce una forma di condono clemenziale e non premiale come, invece, deve ritenersi per le fattispecie regolate dalla L. n. 289 del 2002, artt. 7, 8, 9, 15 e 16, le quali attribuiscono al contribuente il diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario, da effettuarsi con regole peculiari rispetto a quello ordinario. Da ciò consegue che, nell’ipotesi di cui all’art. 9 bis, non essendo necessaria alcuna attività di liquidazione in ordine alla determinazione del “quantum” il condono è condizionato dall’integrale pagamento di quanto dovuto ed il pagamento rateale determina la definizione della lite pendente solo se integrale, essendo insufficiente il solo pagamento della prima rata cui non segua l’adempimento delle successive (v. tra le altre Cass. n. 20745 del 2010 e n. 10650 del 2013).

Ne consegue che, in ipotesi di pagamento rateale previsto dall’art. 9 bis (come modificato dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 45, recante legge finanziaria per il 2004), il condono – in quanto rimesso alla mera attività di liquidazione e versamento della somma da parte del contribuente – produce la definizione del rapporto tributario e sanzionatorio soltanto con l’integrale pagamento delle rate dovute nei termini prescritti dalla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, comma 1, essendo legittimata l’Amministrazione finanziaria, in difetto del perfezionamento della procedura condonistica, al recupero dell’originaria imposta dovuta (ovvero al residuo dell’importo, tenuto conto degli eventuali versamenti parziali delle rate) ed alla applicazione delle conseguenti sanzioni pecuniarie (Cass. n. 20745 del 2010; Cass. n. 19546 del 2011; Cass. n. 21364 del 2012; Cass. n. 25238 del 2013), non essendo consentita, stante il divieto opposto dall’art. 14 preleggi, l’applicazione analogica di norme relative alla medesima legge n. 289 del 2002, ma disciplinanti forme diverse di condono (Cass. n. 21364 del 2012; Cass. n. 25238 del 2013).

4. Con il quarto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, atteso che l’Agenzia delle Entrate avrebbe posto in essere comportamenti contrari al principio della collaborazione e buona fede.

Il motivo che presenta profili di inammissibilità per novità della questione, è nel merito infondato.

Non appare, infatti, ravvisabile, nella scelta dell’Agenzia delle Entrate di agire mediante iscrizione a ruolo per la riscossione coattiva dell’importo dovuto dal contribuente, e di proporre altresì appello avverso la sentenza della CTP, alcuna violazione del dovere di buona fede e collaborazione, ma una legittima scelta processuale conforme alla vigente normativa.

5. La sentenza della CTR non merita censura, essendosi uniformata ai suindicati principi, il ricorso va quindi rigettato. In ragione del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni oggetto di controversia con riferimento all’epoca della instaurazione delle lite, le spese di giudizio vanno interamente compensate tra le parti.

PQM

 

Rigetta il ricorso, compensa tra le parti le spese di lite.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2017

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