Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16551 del 28/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 28/07/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 28/07/2011), n.16551

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. PERSICO Maria Ida – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

BENETTON Group s.p.a., già INVEP s.p.a., elettivamente dom.ta in

Roma, via XX Settembre 1, presso lo studio degli avvocati LUPI

RAFFAELLO e Claudio Lucisano, che la rappresentano e difendono giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso cui è domiciliati in Roma, via dei

Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n, 8549/2005 della Commissione tributaria

centrale, emessa il 25 ottobre 2005, depositata il 27 ottobre 2005,

R.G. 11319/97;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 14 dicembre

2010 dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito l’Avvocato Raffaello Lupi per la ricorrente;

udito l’Avvocato Sergio Fiorentino per la controricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società INVEP proponeva opposizione all’atto di diniego del rimborso dell’imposta IRPEG versata in eccesso (per somma pari a lire 120.116.000) rispetto al dovuto. Deduceva che nel 1985 aveva omesso, per errore, di indicare, nel quadro M del modello 760, le ritenute di acconto subite sui dividendi distribuiti dalle proprie società controllate nel corso del 1984 e quindi non aveva scomputato il relativo importo dall’imposta netta dovuta per il periodo di imposta in questione. La richiesta di rimborso, presentata da INVEP s.p.a. il 22 dicembre 1990, veniva respinta dall’Amministrazione finanziaria perchè tardiva ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38.

La società ricorrente invocava l’applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36 bis, in luogo del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, trattandosi di versamento in eccesso dovuto a un mero errore materiale nella dichiarazione rilevabile ictu oculi dalla amministrazione finanziaria anche in base al riscontro degli allegati.

La C.T. di primo grado di Treviso accoglieva il ricorso.

Tale decisione è stata riformata dalla C.T. di secondo grado che ha accolto l’appello dell’amministrazione finanziaria.

La Commissione tributaria centrale ha respinto il ricorso della società contribuente ritenendo applicabile il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38.

Ricorre per cassazione e deposita memoria ex art. 378 c.p.c. la Benetton Group s.p.a. succeduta alla INVEP s.p.a..

Si difende con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, e del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 36 bis. Il motivo si basa sulla deduzione di insussistenza dell’obbligo di presentare istanza di rimborso per la ripetizione delle somme indebitamente versate. La ricorrente richiede inoltre la decisione nel merito della controversia richiamandosi all’art. 384 c.p.c..

Il motivo di ricorso è infondato. Come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità (fra le molte decisioni si veda ad esempio Cass. civ. 5^ sezione n. 25872 del 10 dicembre 2009) nell’ordinamento tributario vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta (in specie, per i rimborsi di versamenti diretti attinenti alle imposte sui redditi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38) o, comunque, in difetto, dalle norme sul contenzioso tributario (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16, comma 6, e, ora, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 1, lett. g, e art. 21, comma 2), regime che impedisce, in linea di principio, l’applicazione della disciplina prevista per l’indebito di diritto comune. Ne discende che, da un lato, all’istituto del rimborso su istanza di parte deve riconoscersi carattere di regola generale in materia tributaria – idonea, come tale, ad orientare anche l’interprete -, e, dall’altro, le norme che contemplano l’istituto del rimborso ufficioso (che, ove applicabile, esclude ovviamente l’operatività del primo), data la loro natura eccezionale, vanno considerate di stretta interpretazione.

Va quindi letta in questa prospettiva generale la giurisprudenza altrettanto costante di questa Corte (si veda Cass. civ. sezione 5^ n. 11830 del 6 agosto 2002) secondo cui, in tema di imposte sui redditi: a) qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta, non occorre, da parte sua, al fine di ottenerne il rimborso, alcun altro adempimento (quale, in particolare, l’istanza del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 38, estranea alla fattispecie anzidetta), ma deve solo attendere che l’amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere – dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo strumento della rettifica della dichiarazione; b) una volta che il credito si sia consolidato attraverso un riconoscimento esplicito in sede di liquidazione, ovvero per effetto di un riconoscimento implicito derivante dal mancato esercizio nei termini del potere di rettifica, l’amministrazione è tenuta ad eseguire il rimborso e il relativo credito del contribuente è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale, decorrente dal riconoscimento del credito stesso. In altri termini va letta testualmente e non estensivamente l’ipotesi della evidenziazione in dichiarazione di un credito di imposta nel senso che solo la chiara evidenziazione della volontà del contribuente di ottenere la valutazione di tale credito rende superflua e non necessaria la richiesta del rimborso. Nella specie è pertanto condivisibile quanto rilevato nel controricorso dall’Agenzia delle Entrate e cioè che l’errore in cui è incorsa la società contribuente (l’aver omesso di indicare nella dichiarazione, a detrazione dell’imposta da corrispondere, le ritenute di acconto già subite sui dividendi corrisposti dalle società controllate e risultanti dalla documentazione allegata al modello 760) non può considerarsi un errore materiale rilevabile ictu oculi dalla amministrazione finanziaria in quanto tale errore, oltre a non emergere direttamente dalla dichiarazione, non poteva essere automaticamente considerato produttivo di una discrepanza fra imposta dichiarata ed effettivamente versata che evidenziasse l’obbligo della amministrazione di procedere al rimborso sul presupposto della chiara e inequivoca intenzione della contribuente di far valere il suo credito di imposta.

Il ricorso va pertanto respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 3.100, di cui 100 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2011

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