Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16551 del 02/07/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16551 Anno 2013
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: BERNABAI RENATO

ORDINANZA
sul ricorso 12624-2011 proposto da:
COMUNE DI PONTECAGNANO FAIANO 00223940651 in
persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA GIUSEPPE CERBARA 64, presso lo studio dell’avvocato
CASTIELLO FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente
agli avvocati MARINO GENNARO, NAPOLIELLO MARIA, giusta
delibera di incarico di G.M. n. 42 dell’1.4.2011 e giusta procura speciale
a margine del ricorso;
– ricorrente contro
D’AGOSTINO GIOVANNI in qualità di procuratore generale
di Matte() D’Agostino ed Annamaria D’Agostino in Bonito Oliva,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9,
presso lo studio dell’avvocato D’ACUNTI CARLO M., rappresentato

Data pubblicazione: 02/07/2013

e difeso dall’avvocato DANILO MARZANO, giusta procura a
margine del controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 332/2010 della COR I h D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/
05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. RENATO BERNABAI;
udito per il controricorrente l’Avvocato Carlo Mario D’Acunti (per
delega avv. Dando Marzano) che si riporta agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ROSARIO
GIOVANNI RUSSO che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Ric. 2011 n. 12624 sez. M1 – ud. 14-05-2013
-2-

SALERNO del 12.11.09, depositata il 20/03/2010;

RITENUTO IN FATTO
– che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, in
applicazione dell’art. 380-bis cod. proc. civile:
Con sentenza n. 33212010 la Corte d’appello di Salerno, accogliendo l’appello
proposto dal Signor Giovanni D’Agostino, quale procuratore generale di D’Agostino
condannava il Comune di Pontecagnano Faiano al pagamento, in favore dei
Signori Matteo ed Annamaria D’Agostino, della somma di euro 238.075,00 – dopo
aver detratto quella di euro 89.126,00 già corrisposta quale acconto – a titolo di
risarcimento danni per l’occupazione appropriativa dell’area di mq. 6877 di
proprietà dei medesimi, nonché della somma di euro 89.339,00 a titolo di indennità
di occupazione legittima.
Motivava
– che, nel giudizio di risarcimento del danno da occupazione appropriativa, il
convincimento del giudice circa la legittimazione dell’istante alla pretesa risarcitoria
poteva fondarsi sulla base di qualsiasi elemento documentale e presuntivo,
sufficiente ad escludere una erronea destinazione del pagamento e che, nel caso di
specie, molteplici erano gli elementi probatori a sostegno della legittimazione di
Matteo ed Annamaria D’Agostino;
– che la fattispecie doveva essere qualificata come occupazione appropriativa,
essendo stati accertati, da una parte, l’approvazione del programma di edilizia
residenziale e l’irreversibile trasformazione del bene nel periodo di occupazione
legittima e, dall’altra, la mancata emissione del decreto di esproprio, con
conseguente diritto del privato ad ottenere una somma commisurata al valore del
bene quale corrispettivo della perdita e l’indennità di occupazione legittima.
Avverso la sentenza proponeva ricorso per Cassazione il Comune di
Pontecagnano Faiano, deducendo cinque motivi di censura.
Resisteva con controricorso Giovanni D’Agostino, quale procuratore generale
di Matteo ed Annamaria D’Agostino.

***

Matteo ed Annamaria, contro la sentenza del Tribunale di Salerno n. 255/2005,

Con il primo motivo di ricorso, il Comune ricorrente lamenta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 1100, 1292 e 2043 c.c., nonché dell’art. 116 c.p.c., per
aver la Corte territoriale individuato in modo incompleto i soggetti legittimati a
conseguire il diritto al risarcimento del danno da occupazione appropriativa di bene
indiviso; ciò sul rilievo che dalla documentazione in atti si evincerebbe che i Signori
Matteo ed Annamaria D’Agostino non sarebbero gli unici proprietari del suolo, con
patrimoniale solo per la quota di effettiva loro proprietà e non per l’intero, così come
statuito dalla Corte salernitana.
Il motivo appare, prima facie, inammissibile in quanto volto ad introdurre un
riesame del fatto, avente natura di merito, che non può trovare ingresso in questa
sede. Pur essendo formulata in termini di violazione di legge, la censura si limita,
infatti, a contestare l’interpretazione che il giudice d’appello ha dato delle risultanze
di causa e dei documenti prodotti in atti, sollecitando un nuovo giudizio di merito,
non ammesso davanti a questa corte. Tale censura sembra, inoltre, inammissibile
perché diretta ad inserire nel thema decidendum una questione nuova, mai
precedentemente sollevata, né in primo grado, né nel giudizio d’appello e proposta
per la prima volta in sede di legittimità.
Inammissibile appare anche il terzo motivo del ricorso, con il quale il ricorrente
deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 della legge n. 2359 del 1865,
dell’art. 4 della legge n. 10 del 1977 e dell’art. 16 della legge n. 865 del 1971 (ed un
correlato vizio di motivazione), per aver la Corte d’appello fatto proprie le
valutazioni del c.t.u. circa il valore da attribuire al fondo espropriato in applicazione
del metodo sintetico-comparativo, senza considerare che gli atti presi a
comparazione dal consulente designato si riferirebbero a suoli con caratteristiche
non similari ed omogenee rispetto al fondo oggetto di ablazione.
AI riguardo si osserva che il giudice, recependo le risultanze della consulenza
tecnica d’ufficio, ha valutato positivamente la possibilità di determinare il valore
venale del suolo ricorrendo al metodo sintetico-comparativo, ritenendo presenti nel
caso di specie tutti gli elementi occorrenti per la ricerca del presumibile valore
comparativo dell’area e, dunque, considerando i fondi presi in esame dal
consulente tecnico similari ed omogenei rispetto a quello oggetto di esproprio. Tale

la conseguenza che gli odierni controricorrenti avrebbero diritto ad ottenere il ristoro

valutazione rappresenta un apprezzamento di merito il cui controllo è precluso in
sede di legittimità.
Parimenti inammissibile appare la quarta censura del ricorso, con cui il
Comune di Pontecagnano Faiano lamenta la violazione e falsa applicazione
dell’art. 23 della legge n. 1 del 1978, sul rilievo che il giudice d’appello avrebbe
trascurato la circostanza che i Signori D’Agostino, avendo in precedenza accettato
risarcitoria, nonché alla possibilità di far valere la pretesa illegittimità della
procedura espropriativa.
Trattasi di questione di diritto nuova, sollevata per la prima volta dal ricorrente
in questa sede e mai precedentemente invocata nei precedenti gradi di giudizio.
Dalla lettura della sentenza emerge, infatti, che il Comune ha contestato la pretesa
della parte istante sostenendo esclusivamente la legittimità della procedura
espropriativa per essere stato emesso tempestivamente il decreto di esproprio,
senza mai proporre alcuna domanda od eccezione volta a far valere una presunta
violazione dell’art. 23 legge n. 1 del 1978. Eventuali omissioni della disamina da
parte della Corte territoriale dovevano essere censurate con l’indicazione analitica
dell’atto processuale in cui la questione era stata sollevata (principio di
autosufficienza del ricorso).
Con il quinto motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione
dell’art. 4 della legge n. 10 del 1997 e dell’art. 16 della legge n. 865 del 1971, per
aver la Corte territoriale erroneamente attribuito al terreno natura edificabile.
La censura sembra infondata. Come correttamente affermato dal giudice
d’appello, al fondo in esame non può che riconoscersi natura edificatoria, stante
l’inclusione del medesimo nel P.E.E.P. all’epoca vigente. Il piano per l’edilizia
economica e popolare, oltre che piano attuativo, costituisce, infatti, piano
con formativo della proprietà privata, e come tale è idoneo ad attribuire natura
edificatoria ai suoli considerati, sia a quelli qualificati agricoli dal piano regolatore
generale, sia per quelli la cui natura edificatoria era già prevista dalla strumento
urbanistico preordinato (Cass. Sez. 1, Sentenza 6 maggio 1998 n. 4558).
Fondato appare, invece, il secondo motivo di ricorso, con cui il Comune
ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 30, 48 e 55 della

l’indennità di esproprio, avrebbero rinunciato ad ogni ulteriore pretesa monetaria e

legge n. 2359 del 1865 e dell’art. 12 della legge n. 865 del 1971, per aver la Corte
d’appello disposto il pagamento diretto dell’indennità occupazione legittima, in
luogo del deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti.
L’orientamento ormai costante di questa corte è, infatti, nel senso che
l’indennità spettante per il periodo di occupazione legittima deve essere versato
presso la Cassa depositi e prestiti, a garanzia di eventuali diritti di terzi, restando
favore dell’espropriato (Cass. Sez. U, Sentenza 2 marzo 1999 n. 109; Cass. Sez. 1,
Sentenza 4 dicembre 2006 n. 25662).
Sembra, dunque, che la sentenza impugnata debba essere cassata
esclusivamente nella parte in cui ha condannato l’ente al pagamento diretto
dell’indennità di occupazione legittima in favore degli istanti e che debba, invece,
essere il deposito di tale somma presso la Cassa Depositi e Prestiti.

– che la relazione è stata comunicata al Pubblico ministero e notificata
ai difensori delle parti;
– che nell’adunanza in camera di consiglio il P.G. ha chiesto la
conferma della relazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il collegio, discussi gli atti delle parti, ha condiviso la soluzione
prospettata nella relazione e gli argomenti che l’accompagnano;
– che deve dunque essere rigettato il primo, terzo, quarto e quinto
motivo del ricorso, accolto il secondo motivo e cassata la sentenza
impugnata in relazione alla censura accolta, disponendosi il deposito della
somma liquidata a titolo di occupazione legittima presso la cassa depositi e
prestiti, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio,
liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e
complessità delle questioni svolte.

preclusa la possibilità di una condanna dell’espropriante al pagamento diretto in

P.Q.M.
– Rigetta il primo, terzo, quarto e quinto motivo, accoglie il secondo
motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e,
decidendo nel merito, dispone il deposito della somma liquidata a titolo di
indennità di occupazione legittima presso la cassa depositi e prestiti.
7.100,00, di cui euro 7.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Roma, 14 maggio 2013

i

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in euro

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