Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16550 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 05/08/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 05/08/2016), n.16550

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11251-2015 proposto da:

M.R., C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati MARIO ROSARIO CURZIO, GIOVANNI

SCOGNAMIGLIO, ANTONIO GIORDANO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

LA PARTENOPE S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo studio dell’avvocato NUNZIO RIZZO,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1643/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 23/02/2015 r.g.n. 5089/2014;

udita la relazione Untisi causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2116 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del terzo

motivo.

Fatto

La Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado (che aveva respinto l’opposizione di La Partenope s.r.l. avverso l’ordinanza ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 49 di accertamento dell’illegittimità del licenziamento dalla predetta intimato alla dipendente M.R. il 15 dicembre 2013, con la sua condanna all’immediata reintegrazione nel posto di lavoro e al conseguente risarcimento del danno), con sentenza 23 febbraio 2015, dichiarava risolto il rapporto tra le parti il 29 ottobre 2013 (data di comunicazione della contestazione disciplinare) ed ingiustificato il licenziamento intimato alla lavoratrice, condannando la società datrice al pagamento, in suo favore, dell’indennità risarcitoria in misura di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori e compensando interamente tra le parti le spese di ogni fase e grado del giudizio.

Preso atto della non contestata materialità del fatto addebitato (in base alla contestazione del 15 ottobre 2013 di inizio del turno di lavoro delle ore 13,30 con quindici minuti di ritardo e senza il cartellino di riconoscimento, in combinazione con le recidive del 6 novembre 2012, 4 ottobre 2012 e 11 aprile 2013, sanzionate la prima con multa di tre ore e le altre due con un giorno di sospensione), la Corte territoriale riteneva, come già i primi giudici, la genericità della contestazione (per la circostanza del rinvenimento della lavoratrice “non intenta” allo svolgimento delle proprie mansioni in orario di lavoro, senza altra specificazione) e l’evidente sproporzione tra il modesto fatto addebitato e la gravità della sanzione comminata, ridondante nella carenza di giustificazione del licenziamento; escludeva quindi l’applicabilità della tutela reintegratoria, riservata all’ipotesi di insussistenza della mera materialità del fatto contestato (non comprensiva della sua non corretta qualificazione giuridica, senza possibilità di valutazione giudiziale della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta) ed applicava la tutela indennitaria nella misura massima suindicata.

Con atto notificato il 23 febbraio 2015, M.R. ricorre per cassazione con sette motivi, cui resiste La Partenope s.r.l. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente deduce l’errata individuazione del fatto contestato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consiste nell'”aver iniziato il lavoro alle ore 13,45″, diversamente da quello oggetto della contestazione datoriale del 15 ottobre 2013 di non essere la lavoratrice “il giorno 14 ottobre 2013, pur presente sul… cantiere… intenta al lavoro e solo a richiesta dei… responsabili di cantiere iniziato le… prestazioni che devono essere eseguite dalle 13,30”: con assoluta mancanza di motivazione sul vero fatto, così alterato.

Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per mancata reintegrazione nel posto di lavoro, nonostante la mancata previsione del fatto come effettivamente contestatole, oggetto del precedente mezzo, nell’art. 48, lett. b) CCNL di categoria (di sanzione con il licenziamento del dipendente recidivo che “senza giustificato motivo ritardi l’inizio del lavoro o lo sospenda o ne anticipi la cessazione”).

Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, L. n. 604 del 1966, artt. 1, 2 e 3 e art. 2119 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’inesistenza del fatto contestato (di non essere stata intenta al lavoro durante l’accesso in loco dei rappresentanti della società datrice) come disciplinarmente rilevante, in difetto di qualsiasi proprio inadempimento, dovendo l’insussistenza del fatto materiale essere intesa come comprensiva anche di tale ipotesi: con la conseguente applicabilità della tutela reintegratoria.

Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per il difetto di prova, a carico datoriale, dell’effettiva esistenza del fatto materiale addebitatole, avendolo essa contestato sia nelle controdeduzioni alla contestazione sia nel ricorso introduttivo, con erroneo apprezzamento dalla Corte territoriale delle proprie giustificazioni come confermative del fatto materiale.

Con il quinto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, artt. 46, 47 e 48 CCNL di categoria e della L. n. 604 del 1966, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la mancata valutazione delle proprie giustificazioni, posta l’integrazione, nel caso di specie, del fatto materiale fondante il licenziamento dall’assenza o dal ritardo ingiustificato, a norma dell’art. 48, lett. b) CCNL (“Senza giustificato motivo ritardi l’inizio del lavoro o Io sospenda o ne anticipi la cessazione”): comunque da un comportamento illecito qualificabile come inadempimento.

Con il sesto, la ricorrente deduce omesso esame delle proprie giustificazioni, fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’accertamento della materialità del fatto disciplinarmente rilevante.

Con il settimo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 18 e 7, art. 2106 c.c., CCNL di categoria ed omessa valutazione dell’adottabilità di una sanzione conservativa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5.

I primi sei motivi possono essere congiuntamente esaminati, siccome strettamente connessi per la comune convergenza, sotto i distinti profili denunciati (di errata individuazione del fatto contestato: primo; di violazione di legge in ordine all’inesistenza del medesimo fatto contestato: secondo e terzo; di carenza di prova dell’effettiva ricorrenza dello stesso fatto, attese le contestazioni della lavoratrice proprio in ordine ad essa: quarto, quinto e sesto), nella denuncia di mancato accertamento del fatto contestato.

Essi sono fondati.

Come noto, la L. n. 300 del 1970, art. 18, nella sua novellazione ad opera della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, ha distinto in ordine al regime di tutela, in riferimento al licenziamento per giustificato motivo soggettivo qui in esame, l’ipotesi della non ricorrenza degli estremi… addotti dal datore di lavoro per insussistenza del fatto contestato” (con previsione della tutela reintegratoria e risarcitoria: quarto comma) da quella delle “altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo” (con previsione della tutela indennitaria, cosiddetta “forte”, in considerazione della liquidazione tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto: comma 5).

E questa Corte ha già affermato la riconoscibilità della tutela reintegratoria solo in caso di insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, inteso come accertamento “che il fatto che ha dato causa al licenziamento non sussiste” (Cass 6 novembre 2014, n. 23669: con esclusione in particolare di ogni valutazione attinente al profilo di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta contestata ai fini di applicazione della tutela reintegratoria al lavoratore).

In merito poi alla locuzione normativa “insussistenza del fatto contestato”, questa stessa Corte ha pure escluso la plausibilità che il legislatore, in riferimento alla tutela reintegratoria per insussistenza del fatto contestato, “abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione, restando estranea al caso presente la diversa questione della proporzione tra fatto sussistente e di illiceità modesta, rispetto alla sanzione espulsiva” statuendo che “la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e dà perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell’art.18, comma 4 cit.” (Cass 13 ottobre 2015, n. 20540).

Il giustificato motivo soggettivo esige poi quale requisito, come parimenti noto, il notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro (L. n. 604 del 1966, art. 3, prima parte): sicchè, prima ancora della valutazione della sua gravità e della conseguente proporzionalità tra inadempimento e irrogazione della sanzione disciplinare del licenziamento, nella spettanza del giudice di merito (Cass. 10 marzo 2016, n. 4695; Cass. 21 giugno 2011, n. 13574; Cass. 22 marzo 2010, n. 6848), esso deve essere accertato nella sua sussistenza.

Così il fatto contestato da accertare, ai fini qui in esame, non può che essere, da una parte, il fatto giuridicamente rilevante e, dall’altra, quello “contestato”, per tale da qualificare quello che rivesta il carattere della specificità, tale da fornire al lavoratore le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati (Cass. 8 aprile 2016, n. 6898; Cass. 10 dicembre 2015, n. 24941; Cass. 15 maggio 2014, n. 10662; Cass. 3 marzo 2010, n. 5115).

Tanto premesso, occorre rilevare come nel caso di specie, ben prima di una sua valutazione, sia stato addirittura omesso l’accertamento del fatte alla base del licenziamento intimato, riconducibile all’ipotesi contrattuale applicata, che (Ndr: testo originale non comprensibile) la sanzione del licenziamento per il dipendente recidivo che “senza giustificato motivo ritardi l’inizio del lavoro o lo sospenda o ne anticipi la cessazione” (art. 48, lett. b) CCNL di categoria): nel senso della ricorrenza di un ritardo nell’inizio del lavoro ovvero di una sua sospensione senza una lecita giustificazione. Ed infatti, neppure è stato chiarito se la lavoratrice abbia iniziato in ritardo il turno di lavoro (con quindici minuti: ribadita l’esclusione di ogni valutazione sulla proporzionalità della sanzione per un ritardo di tale entità) ovvero lo abbia sospeso nel momento in cui “sorpresa non intenta al lavoro”: secondo l’equivoca ricostruzione del fatto della Corte territoriale (a pg. 3 della sentenza), che ha pure erroneamente ricondotto una tale ambiguità non sciolta ad una genericità della contestazione (così formulata: “Lei il giorno 14 ottobre 2015 alle ore 13,45, pur presente sul Suo cantiere… non era intenta al lavoro e solo a richiesta dei nostri responsabili di cantiere ha iniziato le Sue prestazioni, che dovevano essere eseguite dalle ore 13,30. Lei non indossava il Suo cartellino di riconoscimento, debitamente consegnato da questa Impresa e soltanto a richiesta dei responsabili di cantiere ha provveduto ad indossano”).

Nel caso di specie, è piuttosto mancata un’esatta ricostruzione della vicenda nella sua materialità fenomenica, pure in presenza di contestazioni della lavoratrice, secondo la quale sarebbe stata “sorpresa non intenta al lavoro” nel momento in cui riceveva indicazioni sul lavoro dal responsabile del servizio, in sua compagnia e pertanto per una ragione assolutamente lecita: ciò di cui ha, d’altro canto, pure dato atto la Corte territoriale (al terzo e quarto alinea di pg. 4 della sentenza), senza trarne tuttavia le debite conseguenze, non già sotto il profilo della sanabilità di una contestazione generica (secondo e terzo capoverso di pg. 4 della sentenza), ma della prova della sussistenza del fatto contestato, assolutamente mancata.

Dalle superiori argomentazioni, assorbenti l’esame del settimo motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 18 e 7, art. 2106 c.c., CCNL di categoria ed omessa valutazione dell’adottabilità di una sanzione conservativa), discende coerente, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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