Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16547 del 28/07/2011

Cassazione civile sez. III, 28/07/2011, (ud. 17/06/2011, dep. 28/07/2011), n.16547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DI VILLA ADA 57, presso lo studio dell’avvocato GAMBERALE

PAOLO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.G. (OMISSIS), SE.ST.

(OMISSIS), S.S. (OMISSIS), B.

E. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, LARGO

MESSICO,7, presso lo studio dell’avvocato TEDESCHINI FEDERICO,

rappresentati e difesi dall’avvocato GINANNESCHI GIANCARLO giusta

delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4960/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

SEZIONE 2^ CIVILE, emessa il 31/10/2008, depositata il 27/11/2008

R.G.N. 11835/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/06/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato GAMBERALE PAOLO;

udito l’Avvocato GINANNESCHI GIANCARLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. S.N. (con atto notificato il 7 luglio 1998) esercitava l’azione di riscatto agrario nei confronti di L.M., in relazione ad un terreno, con annessi manufatti, da questi acquistato (con atto del 15 luglio 1997), unitamente ad una casa di abitazione, per l’importo complessivo di L. 620 milioni. Assumeva di essere proprietario confinante e coltivatore diretto del fondo oggetto di retratto e che non gli era stato trasmesso il preliminare di vendita al fine di consentirgli l’esercizio del diritto di prelazione;

offriva in pagamento L. 40 milioni, corrispondenti all’importo pagato per il fondo.

La causa, nella quale il L. contestava la sussistenza delle condizioni dell’azione ed eccepiva l’avvenuta trasmissione del preliminare di vendita, veniva decisa – nei confronti della moglie di S.N., B.E., e dei figli G., S. e St., costituitisi dopo la morte del N. – dal Tribunale di Rieti con l’accoglimento della domanda.

2. L’impugnazione proposta dal L. veniva rigettata dalla Corte di appello di Roma (sentenza del 27 novembre 2008, notificata).

2.1. La conferma della decisione di primo grado si basa sulle seguenti essenziali argomentazioni.

Quanto all’eccezione di decadenza dalla prelazione, premesso che la prelazione può essere esercitata per parte della “tenuta” se i fabbricati e parti de fondo non abbiano vocazione agricola, come nella specie, in cui non vi è contrasto sulla circostanza che la casa padronale e le immediate pertinenze avessero perso tale vocazione già al momento del preliminare; ne consegue che, per consentire la valutazione della convenienza alla prelazione da parte del confinante, nel preliminare trasmesso – come poi è stato fatto nel definitivo – sarebbe stato necessario distinguere il prezzo della parte agricola e il prezzo della villa e delle pertinenze, non essendo sufficiente l’indicazione che, in caso di prelazione, le promittenti venditrici avrebbero dovuto restituire ai promittenti acquirenti L. 60 milioni.

Quanto all’estensione dei terreni oggetto di retratto, e quindi a vocazione agricola, è irrilevante la pertinenza con la villa ritenuta dal ctu (rispetto alle part. 126, 151 e 152), individuate come giardino e parco circostante, perchè di tale nesso pertinenziale non vi è traccia nel preliminare (dove tali particelle sono individuate come terreno agricolo), atteso che il retratto è antecedente alla consulenza, e sarebbe stato onere dell’acquirente dimostrare che tale nesso pertinenziale esisteva già al momento del preliminare; della mancanza di tale nesso si ha conferma dalla circostanza che, nel novembre 2002, il L. ha presentato denunzia di variazione a giardino di tali particelle.

Quanto alla qualifica di coltivatore diretto al momento dell’esercizio del diritto e rispetto a dichiarazioni del N. in altro procedimento, esclusa la valenza confessoria, e ritenuta la necessità di valutazione con altre risultanze testimoniali, tale dichiarazione va inserita nell’episodio dell’incidente avvenuto e non può esserle attribuito il significato di una perdita definitiva della idoneità alla coltivazione; nè può essere significativo quanto riferito da testi, secondo i quali a seguito all’incidente non fu visto lavorare, perchè, essendo state assunte le testimonianze a distanza temporale dall’incidente, non costituiscono prova sicura di una perduranza dell’invalidità.

3. Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione il L. con tre motivi di ricorso, corredati da quesiti e illustrati da memoria. Resistono con controricorso, esplicato da memoria, gli eredi di S.N., eccependo la violazione dell’art. 330 cod. proc. civ., comma 1, per non essere stato il ricorso notificato al domicilio eletto dai S. con la notifica della sentenza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il collegio ha disposto l’adozione di una motivazione semplificata.

2. Preliminarmente va detto che non ha pregio l’eccezione sollevata dai S., atteso che l’essersi gli stessi difesi con controricorso nel processo sana ogni possibile vizio della notifica del ricorso per cassazione (Cass. 11 giugno 2004, n. 11140).

3. E’ applicabile ratione temporis l’art. 366 bis cod. proc. civ..

3.1. Con il primo motivo si denuncia “Violazione ed erronea applicazione della L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, n. 2, in relazione alla L. 26 maggio 1965, n. 590, artt. 8 e 31, sulla mancanza di qualità di coltivatore diretto in capo all’attore- appellato S.N.. Insufficiente, erronea e illogica motivazione della sentenza sul punto decisivo della controversia, relativo alla qualifica di coltivatore diretto del fondo confinante al momento della stipula del preliminare in relazione alle prove documentali ed orali, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Violazione ed omessa applicazione dell’art. 2735 c.c., in relazione alle prove documentali ed all’interrogatorio formale reso, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, con erronea, illogica e contraddittoria motivazione, anche in relazione a quanto scritto in comparsa di risposta in appello dalla difesa di parte appellata”.

Il motivo si conclude con il seguente quesito: “Accerti la Corte se nella motivazione riportata nella sentenza impugnata a pag. 4 paragrafi 3, 3/a e 3/b, la Corte d’Appello di Roma sia incorsa in vizio di motivazione per insufficienza, erroneità e contraddittorietà, nel negare valore confessorio alle prove documentali prodotte dal convenuto e innanzi riportate, rese in altro giudizio tra le stesse parti, nonchè nell’erroneo, insufficiente e illogico esame delle prove testimoniali e nel mancato esame di quanto riconosciuto a metà di pag. 9 della comparsa di risposta dell’appellato in Corte d’Appello, in relazione ai requisiti della qualità di coltivatore diretto del S., come richiesti dalla L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, n. 2, in relazione alla L. 26 maggio 1965, n. 590, artt. 8 e 31, con conseguente violazione di tali norme”.

3.2. Con il secondo motivo si denuncia “In subordine: violazione ed omessa applicazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, comma 4 (nel testo modificato dalla L. n. 817 del 1971, art. 7) sulla decadenza dell’azione di riscatto, dalla notifica del preliminare di compravendita con racc. in data 15/4/97 (v. doc. 4 fase. 1 grado), per l’acquisto della tenuta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo si conclude con due quesiti.

Il primo quesito è il seguente: “Accerti la Corte se nella motivazione riportata nella sentenza, la Corte d’Appello di Roma sia incorsa in violazione ed omessa applicazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, comma 4 (nel testo modificato dalla L. n. 817 del 1971, ad. 7) sulla decadenza dell’azione di riscatto, dalla notifica del preliminare di compravendita con racc. in data 15/4/97, per l’acquisto della tenuta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il secondo quesito è il seguente: “Accerti altresì la Corte se nella motivazione riportata nella sentenza impugnata a metà pag. 3 paragrafo 2, la Corte d’Appello di Roma sia incorsa in vizio di motivazione per insufficienza, erroneità e contraddittorietà, nell’affermare quanto innanzi riportato secondo cui”la prelazione può essere esercitata anche solo per parte dell’appezzamento (denominato “tenuta”) se i fabbricati e le parti ad essi strettamente pertinenziali non abbiano vocazione agricola”; e che non vi sarebbe stato “contrasto sul fatto che la casa padronale e le immediate pertinenze avessero perso, alla data della notifica del preliminare, la propria vocazione di asservimento al restante fondo”; in contrasto con quanto risulta dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato dall’Ufficio Tecnico del Comune di Cantalupo in Sabina, in data 9/7/97 allegato all’atto di vendita 15/7/97 prodotto dall’attore, e al medesimo certificato rilasciato al sig. L. in data 9/1/99, allegato alla C.T.P. del convenuto, in ordine alle particelle catastali oggetto dell’intera compravendita della tenuta.”.

3.3. Con il terzo motivo si denuncia “Erroneo e illogico scorporo del terreno dalla casa padronale e sue pertinenze (magazzino – v. punto due preliminare -, box per cavalli, e fienile) e omesso esame della documentazione planimetrica ed urbanistica, allegata all’atto di vendita dell’attore e alla CTP del convenuto (sulla destinazione agricola dell’intero fondo con costruzioni), nonchè della richiesta istruttoria di rinnovazione della CTU, in ordine ad un più esatto accertamento delle particelle catastali 127 e 27 (con documenti in atti) contenenti le servitù di conduttura di acqua dal pozzo, nonchè di acque chiare e acque nere, gravanti sul terreno per la casa padronale, e di riscaldamento a gas, per il magazzino/casa del custode e fienile, costituente fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”. Il motivo si conclude con il seguente quesito: “Accerti la Corte l’omesso esame, da parte della Corte d’appello, della richiesta istruttoria di rinnovazione della C.T.U. in ordine ad un più esatto accertamento delle particelle catastali 126 e 27 (con documenti in atti), contenenti le servitù di conduttura di acqua da pozzo, fontane preesistenti, nonchè di acque chiare e acque nere, con le relative condutture di acque chiare che alimentano la casa o villa (e quelle nere per gli scarichi di liquami), e le condutture di gas interrato a beneficio del locale magazzino/casa del custode, box per cavalli e fienile (che viene a trovarsi in parte sulla particella 126 e in parte sulla particella n. 27), servitù gravanti sul terreno per la casa padronale, per il locale magazzino/casa del custode, box per cavalli e fienile, costituente fatto controverso e decisivo per il giudizio, il cui omesso esame e omesso accertamento ha condotto ulteriormente scorporo del terreno nella casa padronale, e fabbricati pertinenziali, che, invece, ove accertato con la rinnovazione della c.t.u., avrebbe potuto influire con certezza sulla decisione impugnata, in modo tale che la ratio decidendi si sarebbe venuta a trovare priva di fondamento”.

4. Il ricorso è inammissibile, stante la inammissibilità di tutti i motivi in cui si articola, per violazione degli art. 366 bis e art. 366 cod. proc. civ., n. 6.

4.1. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che “il quesito non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della S.C. in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. La Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare” (Sez. Un. 14 febbraio 2008, n. 3519).

Quanto alla formulazione dei motivi nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, si è sottolineato che la censura di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (che svolge l’omologa funzione del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Un 1 ottobre 2007, n. 20603; 14 ottobre 2008, n. 25117; 30 ottobre 2008 n. 26014). Secondo tali approdi giurisprudenziali, il relativo requisito deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato quando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Sez. Un. 12 maggio 2008 n. 11652). In altri termini, perchè la formulazione del motivo si possa ritenere in questo caso appropriata, si richiede che l’illustrazione del motivo venga corredata da una sintetica esposizione del fatto controverso, degli elementi di prova valutati in modo illogico o illogicamente trascurati, del percorso logico in base al quale si sarebbe dovuti pervenire, se l’errore non vi fosse stato, ad un accertamento di fatto diverso da quello posto a fondamento della decisione.

4.2. Quanto all’art. 366 cod. proc. civ., n. 6, è consolidato il principio secondo cui “In tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento;

c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso”. (Sez. Un. 25 marzo 2010, n. 7161, ribadito anche dalla sesta sezione, Cass. 30 luglio 2010, n. 17915).

4.3. Nella specie i quesiti non rispondono ai requisiti suddetti.

Nel primo, concernente la qualifica di coltivatore diretto, già nella rubrica si riscontra una commistione tra la denuncia di violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, pur richiamando solo l’art. 360 cod. proc. civ., n. 5. Commistione che si traduce, nel quesito – articolato come richiesta di accertamento della fondatezza delle censure sviluppate – nella prospettazione di erroneità nella motivazione di profili giuridici, in una con vizi di motivazione nella valutazione delle prove. Il due quesiti in cui si articola il secondo motivo (in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3), concernente la pretesa decadenza dalla prelazione, sono articolati come richiesta di accertamento della fondatezza delle censure sviluppate. Il secondo quesito, che pecca anche di autosufficienza facendo riferimento a varia documentazione non riprodotta, nè indicata, è anche strutturato come difetto di motivazione per erroneità della motivazione giuridica.

Il quesito che conclude il terzo motivo del ricorso (in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5), concernente l’estensione dei terreni oggetto di retratto, denuncia in realtà l’omessa pronuncia sulla richiesta di rinnovazione della ctu, mentre nella parte esplicativa del motivo si denunciano, insieme, vizi nella valutazione delle prove documentali; il tutto, anche in violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

5. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna L.M. al pagamento, in favore di B.E., S.G., S.S. e Se.St., delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2011

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