Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16546 del 28/07/2011

Cassazione civile sez. III, 28/07/2011, (ud. 17/06/2011, dep. 28/07/2011), n.16546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato NUZZACI VITTORIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABRIS LODOVICO giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

O.D. (OMISSIS), O.A.

(OMISSIS), O.R. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo

studio dell’avvocato CICCOTTI SABINA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MURARO ANNA MARIA giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1918/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

SEZIONE 2^ CIVILE, emessa il 29/06/2004, depositata il 11/11/2004

R.G.N. 626/2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/06/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato CICCOTTI SABINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. S.P. e S.S., quali coniugi in comunione tacita familiare di un fondo confinante con quello del quale S.O. aveva ceduto la nuda proprietà a R., A. e O.D. – ed inoltre, S.P. anche come coltivatore del suddetto fondo – convenivano gli acquirenti O. dinanzi al Tribunale di Bassano del Grappa, esercitando l’azione di riscatto agrario (atto di citazione notificato il 29 luglio 1993).

La causa veniva decisa dal Pretore di Bassano del Grappa (sentenza del 1999), davanti al quale i coniugi S. l’avevano riassunta (con atto notificato il 18 dicembre 1997), dopo la dichiarazione di incompetenza per valore da parte del Tribunale.

Nel contraddittorio con gli O., che eccepivano la mancanza di legittimazione attiva in capo alla S. e contestavano la sussistenza di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi, la domanda veniva rigettata.

2. L’impugnazione proposta dai coniugi S. veniva rigettata dalla Corte di appello di Venezia (sentenza dell’11 dicembre 2004).

3. Avverso la suddetta sentenza P.S. propone ricorso per cassazione con due motivi. Resistono con controricorso R., A. e O.D..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Ai fini che ancora rilevano nel presente giudizio, il giudice di appello – oltre a confermare la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva dichiarato la carenza di legittimazione attiva di S. S. – rigettava l’impugnazione sulla base delle seguenti essenziali argomentazioni.

Il motivo di appello, partendo dal presupposto che il giudice di primo grado aveva riconosciuto la sussistenza degli altri requisiti di cui alla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 31 e rigettato la domanda solo per mancanza di prova in ordine al requisito della mancata vendita di fondi rustici nel biennio precedente, chiedeva la riforma della sentenza producendo documentazione (certificato della conservatoria in data aprile 2000) da cui desumere la sussistenza di tale ultimo requisito.

Il collegio, ritenuto che il giudice di primo grado si era pronunciato anche sull’assenza degli altri requisiti, e che, comunque, la presenza degli stessi era contestata anche in appello dagli O., esaminava il solo requisito della qualifica di coltivatore diretto e ne escludeva la sussistenza sulla base delle prove testimoniali, non ritenendo idonea a provare la abituale coltivazione la mera iscrizione negli elenchi dei coltivatori diretti; argomentando anche sul profilo della mancanza della forza lavorativa adeguata.

In estrema sintesi, mentre il giudice di primo grado aveva incentrato il rigetto della domanda soprattutto sulla mancanza della condizione della mancata vendita di beni nel biennio precedente, il giudice di appello, persistendo la contestazione degli acquirenti anche sulle altre condizioni dell’azione, rigettava per la mancanza della qualifica di coltivatore diretto.

2. Con il primo motivo (art. 2909 cod. civ., L. n. 590 del 1965, art. 8 e L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7) si censura la sentenza nella parte in cui, escludendo la sussistenza del requisito di coltivatore diretto, avrebbe violato il giudicato interno che si sarebbe formato sulla sussistenza dei requisiti diversi da quello della mancata vendita di fondi rustici, essendosi sugli stessi pronunciato espressamente il giudice di primo grado e non essendo stata proposta dagli O. impugnazione, in via principale o incidentale, sul relativo capo della sentenza, non essendo sufficiente la contestazione anche in appello in ordine alla sussistenza dei suddetti. In conclusione, secondo il ricorrente, il giudice di appello, preso atto del giudicato formatosi sugli altri requisiti, avrebbe dovuto accogliere la domanda essendo stata fornita in appello, mediante il deposito del certificato della conservatoria, la prova della sussistenza del requisito della mancata vendita.

2.1. Il motivo va rigettato.

I fatti costitutivi del diritto di (prelazione e) riscatto del fondo rustico sono previsti dalla legge (L. n. 590 del 1965, art. 8, richiamato per i proprietari confinanti dalla L. n. 817 del 1971, art. 7). Sono individuati il soggetti qualificati (coltivatore insediato a vario titolo sul fondo oggetto di retratto; proprietario coltivatore, confinante con il fondo oggetto di retratto). Sono individuate le condizioni positive (la durata temporale della coltivazione del fondo, il rapporto tra capacità lavorativa della famiglia e terreni in proprietà, comprensivi di quello per il quale il riscatto si esercita) e quelle negative (la mancata vendita di altri fondi rustici da parte dell’avente diritto alla prelazione).

Inoltre, per il proprietario confinante, il diritto è subordinato all’ulteriore condizione negativa, costituita dall’assenza di insediamenti qualificati sul fondo oggetto di retratto (L. n. 817 del 1971, art. 7).

L’accoglimento della domanda è condizionato alla esistenza di tutte le suddette condizioni dell’azione (o fatti costitutivi del diritto).

La mancanza, anche di una sola condizione dell’azione, determina il rigetto. A fronte del rigetto della domanda avanzata dal retraente gli acquirenti risultano totalmente vittoriosi. Conseguentemente, su di essi non grava l’onere dell’impugnazione, nè principale nè incidentale; nel processo di appello avviato dalla parte soccombente gli acquirenti totalmente vittoriosi, rispetto all’esito della domanda avanzata dal retraente, possono limitarsi a contestare la sussistenza delle condizioni dell’azione che il giudice di primo grado abbia eventualmente ritenuto sussistenti.

Tanto discende linearmente: dalla struttura dell’azione di (prelazione e) riscatto, per il cui accoglimento la legge richiede la presenza di plurime condizioni, con la conseguenza che non è configurabile un autonomo capo di sentenza rispetto ai diversi fatti costitutivi del diritto azionato; dai limiti dell’effetto devolutivo dell’appello, desumibili dagli artt. 345 e 346 cod. proc. civ..

Nella specie, il giudice di primo grado – dopo aver fatto l’ipotesi di poter ritenere provati gli altri fatti costitutivi del diritto azionato valutando favorevolmente le prove acquisite – aveva rigettato la domanda di riscatto per la ritenuta mancanza della condizione negativa della mancata vendita di fondi nel biennio precedente. Nel processo di appello proposto dal retraente gli acquirenti, pacificamente, si erano limitati a contestare la sussistenza dei requisiti dell’azione e non avevano proposto appello, neanche incidentale. Sulla base del principio prima enunciato, non essendo essi onerati di tale appello, non può ritenersi formato il giudicato interno sulle altre condizioni dell’azione. Ciò è sufficiente per rigettare il motivo di ricorso, restando ininfluente stabilire se il giudice di primo grado si era o meno pronunciato sugli altri requisiti, quando afferma “anche a voler considerare sufficientemente dimostrati i restanti requisiti …” e poi valuta favorevolmente agli attori le relative prove, concludendo, con “appare del tutto carente la dimostrazione della mancata vendita di terreni”.

3. Con il secondo motivo si censura per vizi motivazionali la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non raggiunta la prova in ordine alla qualità di coltivatore diretto e alla capacità lavorativa.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Secondo la giurisprudenza consolidata (da ultimo Cass. 18 marzo 2011, n. 6288), “Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ.,, n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico- formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione”.

Nelle specie, il ricorrente – già nella stessa prospettazione delle censure, nonostante deduca anche la contradditorietà – si limita a proporre una diversa lettura delle prove testimoniali, a sè favorevole e diversa da quella coerentemente sviluppata dal giudice di secondo grado, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso.

4. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato; le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna S.P. al pagamento, in favore di O.R., O.A. e D. O., delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 900,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2011

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