Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16546 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 05/08/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 05/08/2016), n.16546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11482-2015 proposto da:

ASSOCIAZIONE NAZIONALE FAMIGLIE EMIGRATI (A.N.F.E.), DELEGAZIONE

REGIONALE SICILIA, P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA TERENZIO 21, presso lo studio dell’avvocato FAUSTO MARIA

AMATO, rappresentata e difesa dall’avvocato CLAUDIA AMATO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 389/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 09/03/2015 R.G.N. 1595/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito l’Avvocato FAUSTO AMATO per delega verbale Avvocato AMATO

CLAUDIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento dell’ultimo

motivo, rigetto per il resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso L. 28 agosto 2012, n. 92, ex art. 1, comma 48, R.D. – adito il Tribunale di Palermo e premesso di aver lavorato alle dipendenze dell’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE) Delegazione regionale – impugnava il licenziamento collettivo intimato, con lettera del 27.7.2012, per riduzione di personale rilevando che tale licenziamento era stato disposto in violazione della normativa di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 ed in particolare con riferimento ai criteri di scelta, asseritamente non rispettati da parte della società datoriale. Chiedeva, pertanto, che venisse dichiarata l’illegittimità del licenziamento irrogato, con reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente occupato. Il Tribunale ha accolto la domanda del lavoratore, annullando il licenziamento intimato al ricorrente, respingendo altresì l’opposizione promossa dall’Associazione. Avverso tale sentenza proponeva appello l’Associazione lamentandone la nullità (per identità del giudice dell’opposizione e di quello della fase sommaria) e l’erroneità in considerazione della correttezza della procedura di riduzione del personale e chiedendone la riforma. La Corte di Appello di Palermo, con sentenza in data 9.3.2015, dichiarava nulla la sentenza emessa dal Tribunale in sede di opposizione L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51, per il profilo attinente all’identità del giudice delle due fasi (quella sommaria e quella dell’opposizione) e, decidendo nel merito, rigettava il gravame.

Avverso questa sentenza propone ricorso per Cassazione l’Associazione con quattro motivi di impugnazione, illustrati altresì con memoria ex art. 378 c.p.c.. Il lavoratore è rimasto intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’Associazione denuncia violazione e falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 5, deducendo di aver applicato a tutti i dipendenti i criteri stabiliti in sede sindacale senza prevalenza di qualcuno sull’altro al fine di ottenere un elenco rigido con i dipendenti ordinati per provincia, funzione, per anzianità di servizio e con l’indicazione per ciascuno dei carichi familiari. Precisa, peraltro, che il criterio dei carichi di famiglia ha avuto una funzione determinante solamente nell’ipotesi in cui vi siano stati due dipendenti nella medesima provincia, con identica funzione e data di assunzione (con riguardo alla maggiore anzianità di servizio continuativa all’interno del compatto Formazione). L’Associazione, inoltre, segnala che la Corte di appello di Palermo ha adottato due pronunce di segno contrario (nn. 1734/2014 e 2262/2014) con le quali è stato ritenuto che i criteri concordati in sede sindacale, applicati “in concorso tra loro e quindi contemporaneamente a ciascun lavoratore, identificato in base alla provincia di appartenenza, alla funzione (qualifica, declaratoria, livello), data di assunzione storica nella formazione professionale e numero complessivo del nucleo familiare” hanno seguito “un ordine che risulta del tutto logico e razionale”.

2. Con il secondo motivo di ricorso l’Associazione deduce error in procedendo nonchè vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5) avendo, la Corte territoriale, omesso di analizzare gli elenchi numerici dei lavoratori consegnati alle organizzazioni sindacali e prodotti in giudizio e pervenendo, pertanto, alla conclusione – errata – di un uso arbitrario ed incontrollato del potere di selezione. L’Associazione ha osservato di aver effettuato un uso residuale del criterio delle esigenze tecnico-organizzative, avendo trovato applicazione in soli sette casi (pari al 4% dei recessi operati), evidenziati nell’elenco numerico, sottoposti e discussi con le organizzazioni sindacali nell’ambito dell’esame congiunto del 19.7.2012. Aggiunge, inoltre, l’Associazione la carenza di interesse ad agire (violazione degli artt. 81 e 100 c.p.c.) del lavoratore in quanto risultato in esubero esclusivamente per effetto dell’applicazione dei criteri, in concorso tra loro, della mansione, del livello territoriale, dell’anzianità e dei carichi di famiglia, senza alcun riverbero determinante dell’applicazione del criterio tecnico-organizzativo.

3. Con il terzo motivo l’Associazione denuncia violazione del diritto di difesa (invocando l’art. 24 Cost.) lamentando la mancata ammissione della prova testimoniale idonea a dimostrare la concorde valutazione, con le organizzazioni sindacali, dell’applicazione del criterio tecnico-organizzativo (capitoli di prova riportati per esteso in ricorso).

4. Con il quarto motivo l’Associazione denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, avendo la Corte territoriale proceduto alla condanna al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato nonostante l’Associazione, pur soccombente nel merito, avesse visto accolto il motivo relativo alla declaratoria di nullità della sentenza emessa in sede di opposizione alla fase di cognizione sommaria di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48.

5. In via preliminare va precisato che al presente ricorso si applica il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, visto che la sentenza impugnata è stata depositata il giorno 9 marzo 2015 (e, quindi, dopo il giorno 11 settembre 2012). Come precisato dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. sentenze 7 aprile 2014, n. 8053 e n. 8054) e dalla successiva giurisprudenza conforme, nei giudizi per cassazione assoggettati ratione temporis alla nuova normativa, il testo novellato della richiamata disposizione ha certamente escluso la valutabilità della “insufficienza” o della contraddittorietà della motivazione, limitando il controllo di legittimità all'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, il che significa che la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 16 luglio 2014, n. 16300).

In tale prospettiva – precisato che l’asserito omesso esame di un documento (nella specie, elenchi nominativi dei lavoratori) integra un vizio di motivazione e non un error in procedendo (cfr. Cass. 5.12.2014, n. 25756; Cass. 4.3.2014, n. 4980) – va ritenuta infondata la censura relativa al vizio motivazionale di cui al secondo motivo di impugnazione, avendo, la Corte territoriale, espressamente citato più volte gli elenchi dei lavoratori “allegati agli accordi sindacali stipulati nel corso della procedura” argomentando sulla carenza della esplicitazione delle esigenze di natura oggettiva che hanno condotto all’operatività del criterio, risultato di portata decisiva”, delle “funzioni indispensabili per l’ente” (pag. 5 della sentenza impugnata). Non vi è stata, dunque, alcuna omessa motivazione.

6. L’esame congiunto dei primi tre motivi di censura – reso opportuno dalla loro intima connessione – porta al rigetto del ricorso.

Nel suo comma 1, la L. n. 223 del 1991, art. 5 stabilisce che: “L’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive e organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all’art. 4, comma 2, ovvero, in mancanza di questi contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra lorò: a) carichi di famiglia; b) anzianità; c) esigenze tecnicoproduttive ed organizzative.

Va, inoltre, rammentato che la L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, (applicabile ratione temporis alla fattispecie de qua) prevede, al secondo periodo, che “Raggiunto l’accordo sindacale ovvero esaurita la procedura di cui ai commi 6, 7 e 8, l’impresa ha facoltà di collocare in mobilità gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso. Contestualmente, l’elenco dei lavoratori licenziati con l’indicazione per ciascun soggetto del nominati del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento dell’età, del carico di famiglia, nonchè con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’art. 5, comma 1, deve essere comunicato per iscritto all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria di cui al comma 2”.

Questa Corte ha più volte affermato che la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, che si traduce in un accordo sindacale concluso dai lavoratori attraverso le associazioni sindacali che li rappresentano, deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, sanzionato dalla L. n. 300 del 1970, art. 15, ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell’obiettività e della generalità e devono essere coerenti col fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori (cfr., da ultimo, Cass. 3.7.2015, n. 13794).

In particolare, questa Corte ha rilevato che, non essendo richiesto, per la legittimità del licenziamento collettivo, la giusta causa od il giustificato motivo e gravando sul lavoratore licenziato l’onere di allegare e provare la violazione dei criteri di scelta (legali o convenzionali), l’effettiva garanzia per il lavoratore licenziato è proprio di tipo procedimentale: il datore di lavoro comunica il criterio di selezione adottato “con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta” ed il lavoratore può contestare che la scelta sia stata fatta in “puntuale” applicazione di tale criterio. Ma, se il datore di lavoro comunica un criterio decisamente vago, il lavoratore è privato della tutela assicuratagli dalla legge predetta, perchè la scelta in concreto effettuata dal datore di lavoro non è raffrontabile con alcun criterio oggettivamente predeterminato. Si finirebbe in realtà per predicare l’assoluta discrezionalità del datore di lavoro nell’individuazione dei lavoratori da licenziare; e tale non è certo l’impianto della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 (in tal senso, Cass. 23.12.2009, n.27165; Cass 23 8 2004 n. 16588).

Occorre quindi la “puntuale indicazione” – come prescrive l’art. 4, comma 9 citato – dei criteri di scelta e delle modalità applicative, nel senso che il datore di lavoro non può limitarsi alla mera indicazione di formule generiche, ripetitive dei principi dettati in astratto dalla disciplina contrattuale e legislativa sia pure specificamente riferiti ai singoli lavoratori che hanno impugnato il licenziamento, ma deve – nella comunicazione dallo stesso effettuata – operare una valutazione comparativa delle posizioni dei dipendenti potenzialmente interessanti al provvedimento, quanto meno con riguardo alle situazioni raffrontabili per livello di specializzazione (cfr. Cass. 10.7.2013, n. 17119; Cass. 5.8.2008, n. 21138). Tale principio è stato ribadito anche quando il criterio prescelto sia stato unico (cfr. Cass. 26.8.2013, n. 19576; Cass. 6.6.2011, n. 12196).

Emerge, insomma, dall’esame della giurisprudenza di questa Corte, il principio della “rigidità”, nel senso che, fino dalla formulazione dei criteri di scelta, il lavoratore deve essere posto in grado di sapere se sarà o meno mantenuto in servizio o sarà posto in mobilità, perchè coi criteri di scelta debbono essere individuabili le posizioni di coloro che saranno eliminati. L’indicazione dei criteri di scelta e delle loro modalità applicative deve essere effettuata in modo chiaro e trasparente.

Ebbene, la Corte territoriale, con congrua e logica motivazione, ha esattamente sottolineato come, in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, il datore di lavoro, nella comunicazione preventiva con la quale da inizio alla procedura, deve dare una “puntuale indicazione” dei criteri di scelta e delle modalità applicative, in modo che essa raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perchè lui – e non altri dipendenti – sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente.

La sentenza riporta, invero, il contenuto saliente degli accordi stipulati con le organizzazioni sindacali il 19 e il 25 luglio 2012 che prevedevano di “individuare i lavoratori da licenziare su base territoriale e secondo i criteri legali (anzianità, carichi di famiglia, esigenze tecnico produttive) solo enunciati ma rispetto ai quali non risulta espresso, ex ante, alcun parametro di ponderazione e di graduazione, non essendo stato esplicitato, a parte la generica manifestazione dell’intento di “contenere la fuoriuscita di personale con anzianità di servizio maggiore” (accordo 19/7/2012), in che modo detti criteri avrebbero operato “in concorso tra loro”, di talchè non è dato comprendere se all’anzianità e ai carichi di famiglia si sia inteso riconoscere un peso uguale o differente”.

La sentenza impugnata ha rilevato, quindi, che le parti sociali avevano individuato i criteri con cui selezionare il personale (formando degli elenchi dei dipendenti ove risultavano i dati relativi alla mansione esercitata, all’anzianità di servizio, ai carichi di famiglia) ma non hanno, poi, enucleato le specifiche modalità di applicazione di tali criteri in modo da rendere chiaro e trasparente il concreto modo di operatività della concorrenza di detti criteri.

La Corte ha, inoltre, rilevato che “Totalmente privo di oggettiva verificabilità è, poi, il criterio delle esigenze tecnico-organizzative espresso in termini di “funzioni indispensabili per l’ente”, locuzione che, già nella enunciazione, esprime contenuti di ampia discrezionalità certamente non consentiti nella materia che occupa”.

Invero, l’Associazione ribadisce di aver formato un elenco “rigido” dei dipendenti da licenziare, nel senso che – avendo concordato con le parti sociali di utilizzare i criteri della data di assunzione, dei carichi di famiglia, delle esigenze tecnico-organizzative in relazione alle funzioni indispensabili per l’ente – l’elenco riassumeva i dati relativi a ciascun dipendente.

La sentenza impugnata sottolinea, peraltro, correttamente, che negli accordi raggiunti con le organizzazioni sindacali non erano indicate le modalità di applicazione dei criteri prescelti (con particolare riguardo al concorso dei due criteri data di assunzione e carichi di famiglia) nè erano precisate le funzioni ritenute indispensabili per l’ente a cui dare preminenza. Se, dunque, i criteri prescelti erano rispettosi del principio di razionalità più volte sottolineato da questa Corte (e rinvenuto, nella fattispecie de quo, da ulteriori sentenze della Corte palermitana che hanno respinto le impugnazioni di altri lavoratori), le lacune evidenziate non permettevano di enucleare un metodo obiettivo ed univoco di formazione della graduatoria dei lavoratori in quanto non era precisata la modalità in cui i vari criteri concorrevano tra loro, consentendo l’esplicazione di una discrezionalità, non controllabile, da parte del datore di lavoro. Le modalità di applicazione dei criteri prescelti, nel rispetto del principio della trasparenza, dovevano emergere dagli accordi stipulati con le organizzazioni sindacali, ditalchè la Corte territoriale ha correttamente ritenuto superflua l’ammissione della prova testimoniale concernente l’esplicazione delle suddette modalità.

Il riferimento effettuato dall’Associazione – nel tentativo di dimostrare l’erroneità del rilievo dei giudici d’appello sulla inadeguatezza della procedura di licenziamento – alla previsione di “contenere la fuoriuscita di personale con maggiore anzianità”, previsione contenuta nell’accordo del 19.7.2012, è eccessivamente generico e non consente di sopper1re alla carenza della indicazione delle modalità applicative dei criteri prescelti. L’Associazione deduce di aver applicato il criterio dei carichi di famiglia solamente a parità degli altri dati e di aver utilizzato il criterio tecnico-organizzativo in via residuale, senza, peraltro, indicare in quale accordo sindacale era precisato tale modus operandi.

Infondata appare, altresì, la censura della violazione degli artt. 81 e 100 c.p.c. in quanto, esclusa la valutazione della titolarità del diritto di agire in giudizio (competendo senz’altro a ciascun lavoratore licenziato il potere di agire in giudizio), la vaghezza delle modalità di applicazione dei criteri dell’anzianità e dei carichi di famiglia determina l’insorgenza dell’interesse concreto alla legittimità della procedura di esubero.

7. Il quarto motivo è infondato.

Questa Corte – con riguardo al regolamento delle spese di giudizio – ha affermato che “Il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, sicchè viola il principio di cui all’art. 91 cod. proc. civ., il giudice di merito che ritenga la parte soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado” (Cass. ord., 18.3.2014, n. 6259; nello stesso senso, Cass. 23.8.2011, n. 17523; Cass 4 4 2006, n. 7846).

La Corte territoriale ha mostrato di applicare il principio di diritto innanzi richiamato nella misura in cui ha interpretato il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (ove è richiesto il rigetto dell’impugnazione) tenendo in considerazione l’esito globale del giudizio (che ha visto l’Associazione soccombente).

8. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla sulle spese in considerazione della mancata costituzione in giudizio del lavoratore.

9. Il ricorso è stato notificato il 7.5.2015, dunque in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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