Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16545 del 14/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 14/07/2010, (ud. 27/05/2010, dep. 14/07/2010), n.16545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentato ed difeso

dall’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.S., S.A., C.A.,

G.G., M.T., S.B.,

V.A.C., F.P., L.S.R.,

C.G., F.V., M.G., R.

S., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 23,

presso lo studio dell’avvocato AURICCHIO FEDERICA, rappresentati e

difesi dagli avvocati SACCO MARIA ANTONIETTA, FANARA CRISTINA,

CANNIZZARO GIUSI, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 303/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 03/05/2007 R.G.N. 881/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/05/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega GRANOZZI GAETANO;

udito l’Avvocato FANARA CRISTINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 26.4/3.5.2007 la Corte di appello di Catania, in riforma della sentenza resa dal Tribunale di Catania il 7.12.2004, impugnata dagli intimati indicati in epigrafe, dichiarava sussistere fra le Poste Italiane e i predetti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dalla data delle rispettive assunzioni.

Osservava la corte territoriale che doveva escludersi che la mancata reazione dei lavoratori all’estromissione dall’azienda, per un periodo, peraltro, non particolarmente lungo, fosse da qualificare come un comportamento concludente della volontà di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro e, per il resto, che, trattandosi di contratti stipulati successivamente al 30.4.1998, si doveva ritenere che gli accordi sindacali intervenuti successivamente all’accordo del 25.9.1997 non fossero meramente ricognitivi del perdurare delle esigenze legittimanti le assunzioni a tempo determinato, ma erano piuttosto volti a stabilire precisi limiti di scadenza all’autorizzazione alla stipulazione di contratti a tempo determinato, con la conseguenza che era inibito alle parti di autorizzare retroattivamente, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica, la stipulazione di contratti a termine non più legittimati per effetto della durata in precedenza stabilita.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane con dieci motivi.

Gli intimati resistono con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo ed il secondo motivo, svolti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, 1175, 1375, 2697, 1427, 1431 c.c., nonchè vizio di motivazione, osservando come la corte territoriale avesse erroneamente trascurato di considerare che la risoluzione consensuale dei rapporti di lavoro era resa palese dal contegno di prolungata ed ininterrotta inerzia assunto dopo la scadenza dei contratti a termine, oltre che dallo svolgimento di attività lavorativa per altri datori di lavoro.

Con il terzo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 99, 112, 414, 345 e 437 c.p.c., art. 1421 c.c., la ricorrente prospetta che il giudice di appello ha dichiarato la nullità della clausola di durata apposta ai contratti in esame, ritenendo che la stessa non possa trovare fondamento nella previsione integrativa dell’accordo del 25.9.1997, sebbene i ricorrenti non avessero prospettato in primo grado tale questione, non contestando la perdurante vigenza e validità di tale accordo.

Con il quarto e quinto motivo la società ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) della L. n. 56 del 1987, art. 23, dei criteri di ermeneutica contrattuale in relazione agli accordi collettivi intercorsi, nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), deduce che il potere normativamente attribuito alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle già stabilite dall’ordinamento, poteva essere esercitato senza limiti di tempo, non prevedendosi alcun limite temporale al riguardo, con la conseguenza che agli accordi c.d. attuativi del contratto del 25.9.1997 non poteva che riconoscersi una funzione meramente ricognitiva della permanenza delle esigenze sottese alla necessità di stipulare ulteriori contratti a termine.

Con il sesto e settimo motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, in relazione alla L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. c) e degli artt. 1362 e 1363 c.c., per avere la corte territoriale omesso di valutare, una volta esclusa l’applicabilità della L. n. 56 del 1987, la sussistenza di una delle ipotesi di legittima apposizione del termine ai sensi della L. n. 230 del 1962, ed, in particolare, di quella prevista nell’art. 1 comma secondo lettera e della stessa, essendo stata l’assunzione a termine operata “per far fronte all’attuazione di una “opera” di ristrutturazione aziendale …”.

Con l’ottavo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 3 e dell’art. 2697 c.c., rilevando che una corretta interpretazione dei principi sull’onere della prova portavano a ritenere, diversamente da quanto affermato dal giudice di appello, che gravasse sul lavoratore l’onere di dimostrare l’assenza di specifica incidenza sulla posizione di lavoro dello stesso delle esigenze poste a fondamento dell’assunzione a termine.

Con il nono e decimo motivo, infine, la società ricorrente censura la sentenza impugnata, prospettando violazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 2049, 2099 c.c., nonchè vizio di motivazione, per aver omesso di verificare se vi fosse stata effettiva costituzione in mora da parte degli intimati ed, in particolare, per avere assegnato tale efficacia al ricorso introduttivo di primo grado, pur privo di alcuna offerta della prestazione di lavoro.

1. Va, innanzi tutto, dato atto che è stata depositata copia dei verbali di conciliazione sindacale stipulati fra le parti il (OMISSIS) ( M.G., M. e S.), (OMISSIS) ( R.), (OMISSIS) ( V.), (OMISSIS) ( F.), (OMISSIS) ( C.) e (OMISSIS) ( S.) Il ricorso va, pertanto, dichiarato in parte qua inammissibile.

Dai verbali di conciliazione prodotti in copia risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo in conformità alle previsioni degli accordi collettivi in tema di consolidamento dei rapporti di lavoro degli assunti a tempo determinato riammessi in servizio per ordine del Giudice del lavoro, in esito al quale gli intimati sono stati assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, rinunciando agli effetti giuridici ed economici della sentenza di riammissione in servizio, nonchè ad azionare ogni rivendicazione ricollegabile ad eventuali ulteriori rapporti intercorsi con la società, seppur diversi da quello preso a riferimento nella sentenza citata nel verbale medesimo, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.

Osserva il Collegio che i suddetti verbali di conciliazione si palesano idonei a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. n. 25278/2006, Cass. n. 16341/2009).

Stante l’esito del processo, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti in questione le spese di causa.

2. Con riferimento alle restanti posizioni processuali, non meritevoli di accoglimento appaiono il primo ed il secondo motivo del ricorso, che, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente..

Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. n. 26935/2008, Cass. n. 20390/2007, Cass. n. 23554/2004, Cass. n. 15621/2001).

Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre, che, come pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. n. 17070/2002).

Circostanze che, con corretta motivazione, la corte territoriale ha ritenuto nel caso non provate, alla luce dell’impossibilità di arguirle, secondo la giurisprudenza di questa Corte, solo dal decorso del tempo (nel caso, peraltro, non particolarmente eccessivo) maturatosi prima della proposizione del ricorso o dalla ricerca di nuove occasioni di lavoro a seguito della cessazione dei precedenti rapporti di lavoro per causa diversa dalle dimissioni (v. ad es.

Cass. n. 839/2010).

3. Non meritevole di accoglimento è anche il terzo motivo.

Basti, al riguardo, osservare che, per come risulta ampiamente documentato in seno al controricorso, gli intimati avevano, in realtà, prospettato, già nel ricorso di primo grado, quale concorrente causa di nullità dell’assunzione a termine la delimitata efficacia temporale dell’accordo del 25 settembre 1997 e che tale circostanza emerge anche dalla sentenza impugnata, nella quale, riepilogando il contenuto del ricorso di primo grado, si riferisce che i ricorrenti “deducevano la nullità e/o illegittimità del termine sotto vari profili (nullità dell’accordo integrativo del 25.9.1997 perchè in contratto con le disposizioni di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23 e della L. n. 230 del 1962; scadenza dell’accordo 25.9.1997…)”.

Ne discende che l’eccezione di novità della censura risultava, in realtà, fondata su un presupposto di fatto inesistente, sì da rendere inutile la qualificazione della stessa nei termini di mera difesa o di eccezione in senso proprio.

4. Improcedibile sono, invece, il quarto ed il quinto motivo.

I motivi si fondano, infatti, sull’asserita erronea interpretazione di disposizioni della contrattazione collettiva di settore, senza che la ricorrente abbia, tuttavia, provveduto a depositare contestualmente al ricorso il testo integrale del contratto, per come prescritto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., allorchè si tratti, come nella specie, di contratti collettivi nazionali di diritto privato, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di questa Corte in svariate conformi pronunce (cfr.

Cass. n. 28305/ 2009, n. 28306/2009 e altre conformi, nonchè Cass. n. 19560/2007 e altre conformi con riferimento all’art. 420 bis c.p.c.; circa la riferibilità della previsione ai contratti collettivi di diritto comune e la ratio sottesa alla sanzione processuale, cfr. Cass., sez. un. n. 23329 del 2009).

Ha, in particolare, rilevato la Corte, nei suoi precedenti, che la funzione di nomofilachia, demandata al giudice di legittimità e perseguita dalle disposizioni introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, sarebbe pregiudicata ove si ritenesse che nell’ipotesi di ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., n. 3, l’interpretazione debba essere limitata alle clausole contrattuali esaminate nei gradi di merito, mentre nel caso previsto dall’art. 420 bis c.p.c. (norma – giova rilevare – che non indica il tipo di controllo cui la Corte deve procedere quando è investita del ricorso per saltum sulla questione pregiudiziale, dandolo per presupposto proprio in base al precedente art. 360 c.p.c., n. 3) l’interpretazione si possa svolgere senza alcuna limitazione, reperendo nel contratto altre clausole, non esaminate, che però potrebbero risolvere ogni margine di incertezza.

Ne deriverebbe il rischio di sentenze contrastanti, recanti, cioè, interpretazioni diverse sulla medesima questione e sulla base della medesima contrattazione collettiva, stante il diverso grado di affidabilità delle une rispetto alle altre, a causa della completezza o meno dell’indagine che la Corte ha svolto.

Ne consegue che la norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la quale prevede che gli atti processuali, i documenti e i contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda devono essere depositati insieme al ricorso a pena di improcedibilità, non risulta suscettibile di deroghe e preclude il deposito solo di stralci del contratto collettivo da interpretare e, a maggior ragione, la mera trascrizione delle clausole contrattuali che si assumono rilevanti.

5. Il sesto motivo è invece, manifestamente infondato.

Emerge, infatti, de plano dalla sentenza impugnata che il giudice di appello, dopo aver escluso la possibilità di ricondurre i contratti in esame nell’ambito della disciplina della L. n. 56 del 1987, art. 23, ha verificato la ulteriore possibilità di giustificarli alla luce della disciplina comune contenuta nella L. n. 230 del 1962, non ritenendone, tuttavia, sussistenti i presupposti.

6. Non meritevoli di accoglimento sono, poi, il settimo e l’ottavo motivo, che, per la connessione degli argomenti giustificativi, ben possono essere esaminati congiuntamente e dichiarati infondati, per svolgersi con gli stessi censure (ed, in particolare, l’omessa giustificabilità della clausola di durata alla luce della previsione della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. c) e la distribuzione del relativo onere probatorio) di cui non si ha riscontro nella sentenza impugnata e che, pertanto, in difetto di adeguata documentazione circa la loro prospettazione nei precedenti gradi del giudizio, in coerenza col canone di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, devono apprezzarsi come nuove e, quindi,in questa sede inammissibili.

7) Infondati sono, infine, anche gli ultimi due motivi.

Basti, al riguardo, osservare che la sentenza impugnata ha accertato che gli intimati hanno costituito in mora il datore di lavoro, facendo offerta delle loro prestazioni lavorative, con la notifica del ricorso introduttivo del giudizio, e che il contenuto di tale accertamento non risulta contestato in conformità al canone di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, che, come va ribadito, impone, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, alla parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie e processuali, l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla relativa trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dato che questo controllo deve poter essere compiuto dalla coorte di cassazione sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (v.

ad es. per tutte Cass. n. 10913/1998; Cass. n. 12362/2006).

Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla società ricorrente nei confronti di G.G., V.A. C., C.A., M.G., R.S., M.T., S.B., S.A., F.P. e compensa fra le dette parti le spese; rigetta nel resto il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 42,00 per esborsi ed in euro 3000,00 per onorario di avvocato, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 27 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2010

 

 

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