Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16544 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 05/08/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 05/08/2016), n.16544

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7780-2015 proposto da:

Z.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA PO 25/B STUDIO PESSI, presso lo studio degli avvocati MAURIZIO

SANTORI, DANIELE MARIANI, che la rappresentano e difendono giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

ADVERTISING S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PARAGUAY 5, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO RIZZO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 444/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/01/2015 R.G.N. 5164/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l’Avvocato MARIANI DANIELE;

udito l’Avvocato RIZZO CLAUDIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma con la sentenza n. 444 del 2015, decidendo sede di reclamo nel procedimento promosso ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 48 e ss. confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato l’impugnativa proposta da Daniela Z. avverso il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole con lettera del 3/12/2012 da Advertising s.r.l.

Riferiva la Corte d’appello che il licenziamento della Z., avente qualifica di quadro del C.C.N.L. commercio con mansioni di responsabile commerciale Centro Italia e successivamente di responsabile dell’Area centro-sud Italia, era stata licenziata per il dichiarato calo del fatturato pubblicitario nell’ambito della più ampia flessione del fatturato aziendale, che aveva determinato la decisione di sopprimere la struttura commerciale demandata alla sua responsabilità e di affidare la raccolta pubblicitaria ad una rete di vendita costituita esclusivamente da agenti di commercio. Nella lettera di licenziamento si offriva alla Z. l’immediato inserimento nella rete degli agenti di commercio alle condizioni che sarebbero state stabilite di comune accordo, ove ella avesse manifestato interesse a tale prospettiva nel termine di cinque giorni dal ricevimento della lettera stessa.

Riteneva la Corte che correttamente il Tribunale avesse ritenuto sussistere il giustificato motivo oggettivo di licenziamento, in quanto contestualmente al licenziamento della Z. erano state licenziate anche le due dipendenti che componevano la struttura commerciale di Roma, nè poteva sindacarsi l’affidamento della raccolta pubblicitaria ad agenti di commercio (in particolare, la stipulazione in data 1 gennaio 2013 con il signor Fernando Gagliardi di un contratto di agenzia avente ad oggetto l’impegno di promuovere l’acquisizione di proposte d’ordine pubblicitarie da inserire nei mezzi radiofonici in concessione alla mandante, con contestuale affidamento allo stesso dell’attività di coordinamento degli agenti della sede di (OMISSIS) in tutte le regioni del centro-sud). La scelta di sopprimere la struttura commerciale non appariva peraltro pretestuosa, in considerazione dei dati relativi all’andamento degli utili del fatturato e dei costi della società, dai quali si evinceva un costante considerevole calo degli stessi negli ultimi anni 2010 2011 e 2012; la correttezza e buona fede del datore di lavoro era dimostrata dall’offerta fatta alla lavoratrice di inserimento nella rete degli agenti di commercio, nè alcuna violazione dell’obbligo di repèchage poteva rinvenirsi, tenuto conto che la Z. non aveva indicato nessuna collocazione alternativa nell’ambito di Advertising (collocazione alternativa peraltro insussistente, come comprovato dalla mancata successiva assunzione da parte della società di altro personale), che la società aveva proposto la formalizzazione di un rapporto di tipo agenziale e che, benchè Advertising fosse concessionaria della raccolta di pubblicità per conto di Radio dimensione suono s.p.a., non erano emersi dall’istruttoria testimoniale svolta in primo grado elementi dai quali desumere che le due società costituissero un unico centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive, mentre l’attività svolta da Radio dimensione suono relativa alla trasmissione di programmi radiofonici è del tutto diversa rispetto a quella esercitata dalla Advertising s.r.l., di acquisto e vendita di spazi pubblicitari, con l’impossibilità di adibire la Z. allo svolgimento di analoghe mansioni nell’ambito di RDS. Neppure poteva censurarsi la pronuncia del Tribunale laddove non aveva ammesso i testi in ordine alle circostanze di fatto tendenti a dimostrare il motivo illecito o ritorsivo, in quanto la sussistenza del giustificato motivo escludeva che l’intento discriminatorio.

Per la cassazione della sentenza Z.D. ha proposto ricorso, affidato a sette motivi, cui ha resistito con controricorso la Advertising s.r.l. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso possono essere così riassunti:

1.1. Come primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 1, 3 e 5 dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, dell’art. 41 Cost..

1.2. Come secondo motivo, deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5 dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, dell’art. 41 Cost..

Con entrambi i motivi, sostiene che, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, nel caso non si fosse verificata un’ esternalizzazione della struttura commerciale di Roma, in quanto la sua posizione era stata assunta da altro lavoratore, il signor Gagliardi, con il quale la società aveva stipulato il 1 gennaio 2013 due contratti di lavoro, il primo di agenzia e il secondo, definito complementare e accessorio, di coordinamento, prevedenti la nomina a capo area centro sud Italia, che pochi giorni dopo il suo licenziamento aveva preso il suo posto anche fisicamente, occupando la stessa scrivania e lo stesso numero di telefono ed aveva provveduto a gestire gli stessi agenti F. e S.) già da tempo da lei formati e coordinati. Neppure quindi sussisteva il nesso di causalità tra il suo licenziamento e la soppressione della struttura organizzativa che era stata prospettata per motivarlo.

1. 3. Come terzo motivo, lamenta violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 1, 3 e 5, dell’art. 18 Stat. lav., degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., dell’art. 41 Cost. e sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, il fatturato della Advertising non era calato negli ultimi anni, bensì era rimasto pressochè stabile, ed aggiunge che occorrerebbe fare riferimento non solo ai dati di bilancio relativi al fatturato, ma anche ai costi agli utili, e che i costi del personale avevano avuto incidenza minima. La scelta pertanto appariva finalizzata soltanto ad un incremento del profitto, non essendo stata comprovata alcuna esigenza di riorganizzazione o di effettiva esternalizzazione, di crisi economica o di risparmio effettivo.

1. 4. Come quarto motivo, lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1375, 1345 c.c., degli artt. 1322, 1324 e 1325 c.c., degli art. 1742 c.c. e ss., degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione alla L. 604 del 1966, artt. 1, 3 e 5 all’art. 18 Stat. lav., agli artt. 1, 3 e 36 Cost. Lamenta che la Corte territoriale abbia valorizzato la proposta che le era stata fatta, di inserimento nella rete di agenti di commercio della società, offerta che tuttavia era generica prevedeva il solo ruolo di agente, senza menzionare gli incarichi che le sarebbero stati affidati, e che era stata comunicata solo dopo la risoluzione del rapporto e prevedeva un tempo di risposta di soli cinque giorni, in contrasto con i principi di correttezza e buona fede contrattuale.

1. 5. Come quinto motivo, lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 1, 3 e 5 della L. n. 300 del 1970, art. 18, degli artt. 1175, 1375 e 1345 c.c., degli artt. 1322, 1324 e 1325 c.c., degli artt. 1742 c.c. e ss., degli artt. 115 e 116 c.p.c. in ordine all’obbligo di repechage. Sostiene che la società non avrebbe dimostrato l’impossibilità di ricollocazione, considerato che le sue mansioni erano state affidate al Gagliardi subito dopo il suo licenziamento e che non era stata esperita alcuna verifica di ricollocazione nell’ambito del gruppo RDS, del quale Advertising è una mera divisione commercio.

1.6. Come sesto motivo, deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 5, L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 8, degli artt. 815 e 816 c.p.c., D.Lgs. n. 29 del 1993, dell’art. 249 c.c., art. 235 c.c. e ss. art. 2359 c.c., art. 2462 c.c. e ss., art. 2497 c.c. – art. 2977 c.c. e ss.. Lamenta che la Corte d’appello non abbia riconosciuto l’unicità dell’organizzazione produttiva di RDS, pur avendo ammesso che l’ufficio personale di RDS gestiva anche il personale di Advertising e considerato che le prove testimoniali e documentali avevano dimostrato che tra le due società sussiste l’unicità della struttura organizzativa e produttiva, l’integrazione tra le attività esercitate ed il correlativo interesse comune, il coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario, l’utilizzazione vicendevole, promiscua e contemporanea della prestazione lavorativa di più dipendenti (tra cui la Z.), sicchè le diverse attività confluivano verso uno scopo comune.

1.7. Come settimo motivo, deduce violazione degli artt. 115, 116, 420, 421 e 437 c.p.c., nonchè della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 57 e 60, dell’art. 24 Cost., con riferimento alla prova testimoniale (non ammessa) in relazione le circostanze allegate nel ricorso di primo grado, che tendevano ad acclarare la sussistenza di un comportamento datoriale finalizzato ad indurre la lavoratrice alle dimissioni e quindi il motivo illecito del licenziamento determinato dalla volontà di “sbarazzarsi” della lavoratrice.

2. Il ricorso non è fondato.

2.1. 1 motivi dal 1 al 6, al di là della rubrica di stile, suggeriscono una diversa ricostruzione delle risultanze fattuali, in relazione: all’effettività dell’esternalizzazione della struttura commerciale di Roma (motivi 1 e 2), al collegamento causale tra detta esternalizzazione ed il calo del fatturato (motivo n. 3), alla proposta di assunzione con rapporto agenziale che era stata formulata (motivo n. 4), alla prova dell’impossibilità di ricollocazione (motivo n. 5), all’inesistenza di un unico complesso produttivo che ricomprendesse sia Advertising che RDS (motivo n. 6).

Sotto tali profili, i motivi sono però inammissibili.

Occorre infatti premettere che la disciplina speciale prevista dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 58, concernente il reclamo avverso la sentenza che decide sulla domanda di impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 va integrata con quella dell’appello nel rito del lavoro. Ne consegue l’applicabilità, nel giudizio di cassazione, anche dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5 (introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a) conv. con modif, nella L. n. 134 dello stesso anno, applicabile, a norma dell’art. 54, comma 2 medesimo decreto, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione a far data dal 11 settembre 2012 (come chiarito da Cass. n 26860 del 18/12/2014 e Cass. ord., 24909 del 09/12/2015), il quale prevede che la disposizione contenuta nel precedente comma 4 – ossia l’esclusione del vizio di motivazione dal catalogo di quelli deducibili ex art. 360 c.p.c. – si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado (cosiddetta “doppia conforme”(Cass. n. 23021 del 29/10/2014,). Nel caso, poichè la ricostruzione delle emergenze probatorie effettuata dal Tribunale è stata confermata dalla Corte d’appello, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 10/03/2014), ciò che nel caso non è stato fatto.

2.2. Inoltre, sempre con riguardo alla critica della ricostruzione delle risultanze fattuali, al presente giudizio si applica anche ratione temporis la formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo il quale la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, nè può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito. E’ però da escludere che nel caso ci si trovi innanzi a una delle indicate patologie estreme dell’apparato argomentativo, considerato che gli aspetti valorizzati nel ricorso sono stati tutti esaminati dalla Corte territoriale, ma ritenuti superati dalle ulteriori risultanze o comunque non decisivi. Ne deriva che sotto nessun profilo la motivazione può dirsi omessa, nè può quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle medesime circostanze.

2.3. Sotto il profilo della critica della soluzione giuridica adottata dalla Corte territoriale, i motivi sono infondati.

Con riferimento ai primi tre motivi, la Corte ha ravvisato nel calo del fatturato l’esistenza dei presupposti per porre in essere, nell’esercizio delle legittime scelte imprenditoriali, l’ esternalizzazione del servizio reso dall’area commerciale di Roma, affidandolo ad un agente. In tal modo, la Corte territoriale ha applicato il principio reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’ari 41 Costituzione, mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore; ne consegue che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato (cfr, ex plurimis, Cass. n. 6501 del 4/4/2016, n. 21631 del 23/10/2015, n. 24235 del 30/11/2010).

2.4. Con riferimento ai motivi n. 4 e 5, che attengono all’obbligo del repechage, la Corte territoriale ha valorizzato la mancanza di successive assunzioni di altro personale, affermazione che con riferimento al personale dipendente non viene fatta oggetto di censura, richiamando la proposta fatta alla Z. di stipulazione di un contratto di agenzia solo al fine di dimostrare la buona fede del datore di lavoro e l’effettività dell’esternalizzazione del settore commerciale soppresso.

2.5. Quanto infine al settimo motivo, occorre ribadire che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass. n. 6575 del 2016, n. 3986 del 2015, n. 4648 del 2015, n. 17087 del 2011; n. 6282 del 2011; n. 16155/09) il motivo pretesamente illecito a fini invalidanti del recesso dev’essere stato l’unico che lo ha determinato, laddove nel caso risulta esistente il giustificato motivo oggettivo posto a base dello stesso (neppure prospettandosi ragioni concrete di discriminatorietà).

3. Segue il rigetto del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

Il rigetto integrale del ricorso determina la sussistenza dei presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, primo periodo, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il raddoppio del contributo unificato dovuto per il ricorso stesso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle, ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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