Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16542 del 28/07/2011

Cassazione civile sez. III, 28/07/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 28/07/2011), n.16542

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA GIULIANA 74, presso lo studio dell’avvocato PORPORA

RAFFAELE, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce al

ricorse;

– ricorrente –

contro

INA ASSITALIA già LE ASSICURAZIONI D’ITALIA S.P.A in persona del

procuratore speciale dell’Amministratore Delegato p.t., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. FERRARI 35, presso lo studio

dell’avvocato VINCENTI MARCO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PACILEO PAOLO giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

TORO ASSICURAZIONI SPA, A.O. OSPEDALI RIUNITI TRIESTE, F.

L., AZIENDA SANITARIA LOCALE/(OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 410/2008 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, 2^

SEZIONE CIVILE, emessa il 5/3/2008, depositata il 22/10/2008, R.G.N.

890/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2011 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato RAFFAELE PORPORA;

udito l’Avvocato ANGELA CARMELA DONATACCIO per delega dell’Avvocato

MARCO VINCENTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 19 agosto 2003 il Tribunale di Trieste nel giudizio promosso da G.B. nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) con atto di citazione del 21 maggio 1999 rigettava la domanda risarcitoria proposta da G.B. e compensava le spese di lite.

Il 4 novembre 2005 lo stesso Tribunale adito dal G. con atto di citazione del 6 giugno 2001 nei confronti di F.L., ortopedico che aveva eseguito un intervento di artrodesi tibio- tarsica l’11 dicembre 1997, rigettava le domande di risarcimento danni proposta e compensava le spese di lite.

Le due decisioni venivano appellate, in via principale, dal G. e, in via incidentale, dalla Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Trieste e dalla Toro Assicurazioni s.p.a..

La Corte di appello di Trieste il 22 ottobre 2008, riuniti gli appelli, confermava integralmente le sentenze impugnate e rigettava anche gli appelli incidentali della Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Trieste e della Toro Assicurazioni s.p.a.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il G., affidandosi a nove motivi.

Resiste con controricorso la INA ASSITALIA s.p.a.,chiamata in causa dalla Toro Assicurazione s.p.a., a sua volta chiamata in causa dall’Azienda ospedaliera Ospedali Riuniti nel giudizio incoato con la citazione del 21 maggio 1999, in quanto unica interlocutrice processuale in forza del DPGR. n. 453 del 1996.

Il ricorrente ha depositato memoria e note di replica alle conclusioni rassegnate dal P.G. di udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-In punto di fatto, con i due giudizi di merito il G. assumeva che, essendo affetto da poliomelite acuta con conseguente piede sinistro varo ed equino e recurvato del ginocchio, su consiglio del Dr. F., ebbe a sottoporsi ad un intervento operatorio l’11 dicembre 1997 nella divisione ortopedica dell’Ospedale Maggiore di Trieste, in presenza di algie di natura artrosica al piede sinistro.

A seguito dell’intervento la situazione sarebbe peggiorata, con il piede sinistro in posizione profondamente equina, per cui decise di sottoporsi ad un nuovo intervento di artrodesi tibio-tarsica il 7 gennaio 1999 presso l’Ospedale San Vito al Tagliamento, in quanto deambulava solamente con l’aiuto di due stampelle e senza appoggiare l’arto operato. Pertanto, chiamava in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS), avanti al Tribunale di quella città per sentirla condannare al risarcimento del danno quantificato in L. 263.230.200.

Nel giudizio si costituiva l’Azienda Ospedaliera Ospedali riuniti di Trieste, come unica interlocutrice processuale in forza del Dprg. n. 453 del 1996.

La domanda veniva respinta non avendo ravvisato il Tribunale la responsabilità dei sanitari che avevano effettuato l’intervento chirurgico l’11 dicembre 1997. Il G. appellava la decisione e in fase di appello si costituivano l’Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) e l’Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Trieste, la quale dispiegava appello incidentale, circa le spese di lite.

Trattenuta in decisione la causa il 13 dicembre 2006 a tale giudizio veniva riunita altra causa intentata dal G. con atto del 6 giugno 2001 nei confronti del F. onde ottenere un risarcimento del danno parimenti quantificato in L. 250 milioni ossia Euro 129.114, 225.

All’esito, il Tribunale di Trieste rigettava la domanda, compensando le spese di lite.

Avverso siffatta decisione il G. proponeva appello principale e la Toro appello incidentale, circa le spese di lite.

Riuniti i gravami la Corte di appello di Trieste rigettava tutti gli appelli.

2.-Osserva il Collegio che per priorità logico-giuridica va esaminato il secondo motivo del ricorso (nullità della sentenza per vizio di composizione del Collegio – artt.79, 114 disp. att.c.p.c., artt. 174 e 158 c.p.c. – nullità ex art. 360 c.p.c., n. 4).

In sostanza, il ricorrente lamenta che il Collegio, che aveva respinto un’istanza di integrazione documentale da parte del CTU, aveva una composizione diversa da quello originario per il mutamento temporaneo, in quanto limitato a tale atto, di un suo componente.

Di qui il relativo quesito di diritto.

Il motivo va disatteso.

Come è giurisprudenza consolidata di questa Corte, da cui non è il caso di discostarsi, la nullità sussiste solo quando si cambia il magistrato dell’udienza che ha assistito alla discussione con quello che decide o fa parte del collegio che emana la decisione (in termini Cass. n. 6681/81; Cas. n. 2207/88; Cass. n. 4368/97).

3.-Ciò posto, con il primo motivo (sulla mancata convocazione del CTU in camera di consiglio per le decisioni del caso – artt.112, 345, 346 c.p.c. al cospetto dell’art. 197 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), il ricorrente lamenta la insussistenza di ogni provvedimento da parte del giudice dell’appello sulla sua istanza di convocare il CTU in camera di consiglio. Il motivo nella sua stesura è infondato e va disatteso, e ciò a prescindere dalla formulazione del quesito. Infatti, come è noto, se il giudice non risponde esplicitamente ad una richiesta della parte, si deve ritenere che l’abbia implicitamente respinta; per di più l’assenza di una decisione esplicita su di una domanda istruttoria, come nella specie, non configura alcun vizio di cui all’art. 112 c.p.c..

4.-Con il terzo motivo (falsa applicazione da parte di un giudice non specializzato di norme processuali attinenti il diniego al CTU dell’esercizio della sua facoltà da giuramento di accertare questioni tecniche e di risolvere problemi clinico-scientifici in presenza di rilevi clinici tempestivi e rituali mossi dall’appellante – art. 352, comma 1 e art. 356 al cospetto degli artt. 191 e ss.

c.p.c. – sotto il profilo della ricorribilità ex art. 360 c.p.c., n. 3) il ricorrente sembra lamentarsi del fatto che il giudice dell’appello abbia respinto la sua richiesta di integrazione documentale.

In realtà, il motivo è tortuosamente formulato ed esposto, mentre il relativo quesito è generico, senza trascurare che il giudice dell’appello ha ritenuto sufficienti, ai fini della decisione, i documenti di causa ritualmente acquisiti al processo.

Pertanto, la doglianza è inammissibile.

5. – Con il quarto motivo (erronea valutazione delle risultanze tecniche medico-legali di causa per falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 1228, 2236 e 2797 c.c. combinati con gli artt. 116, 115 comma 2, artt. 196 e 201 c.p.c., al cospetto di rituali e circostanziate argomentazioni giuridiche e tecniche del periziando, contrarie all’adesione incondizionata alle conclusioni del CTU, privato del dovere acquisitivo dalla stesso giudice di appello, all’uopo da lui medesimo interessato con istanza, sotto il profilo della ricorribilità ex art. 360 c.p.c., n. 3), in buona sostanza, il ricorrente si duole della presunta errata valutazione delle risultanze tecnico-legali, qualificate come vizi rilevanti ex art. 360 c.p.c., n. 3, per concludere che la colpa sarebbe stata attribuita a chi si attende giustizia (p. 31 ricorso).

A ben vedere, il motivo ed il relativo quesito sembrano denunciare un vizio di motivazione, incongrua, illogica circa un fatto asseritamente ritenuto decisivo e controverso per il giudizio.

Ne consegue che il motivo è inammissibile.

Peraltro, è sufficiente leggere la motivazione della sentenza per rendersi conto che il motivo non coglie nel segno e non vi è stata alcuna inversione dell’onere della prova.

Infatti, attingendo alla CTU del dr. D.M. e dell’altro consulente d’ufficio in relazione alle condizioni del G., il giudice dell’appello , preso atto dell’estrema chiarezza del ragionamento adottato e dell’intrinseca logicità delle compiute osservazioni, ha potuto affermare che il successivo intervento all’Ospedale di San Vito al Tagliamento si presentava utile ed opportuno al fine dell’insorta pseudoartrosi, e che ben poco ha inciso come “si evince anche dall’eloquente documentazione fotografica (in particolare radiogrammi inseriti a pag. 19 della CTU D.M.) sull’esito della compiuta artrodesi, atteso che l’angolo tra tibia e profilo dorsale risulta pressocchè costante, in esito al primo nonchè al secondo intervento di artrodesi tibio-tarsica.

Non solo, ma ha esaminato la documentazione prodotta dallo stesso attuale ricorrente sia per affermare che il secondo intervento, eseguito in San Vito al Tagliamento, ha avuto ad oggetto la pseudoartrosi e non certamente una nuova artrodesi, ovvero una correzione dell’equinismo siccome inizialmente prospettato nella prima visita specialistica, risalente al mese di maggio 1998, per quanto ha posto in rilievo che l’operazione di artrodesi fu operazione consigliata, sostanzialmente riuscita, e che non poteva essere condotta altrimenti in ragione delle peculiari condizioni fisiche del G., sottolineando che lo stesso avesse ammesso che dopo il secondo intervento egli aveva recuperato la deambulazione sia pure parzialmente.

Non vi è stata, quindi, una acritica condivisione delle risultanze tecnico-peritali, ma una valutazione articolata degli atti di causa e delle considerazioni dei periti di ufficio nominati.

In questi precisi termini va compresa la frase secondo la quale “a ben vedere l’odierno appellante non è stato in grado di fornire prova circa la esistenza del nesso di causalità tra le complicanze e l’operato dei sanitari triestini, in particolare, per quel che rileva, del F.” (.p.26 sentenza impugnata).

Solo ad abundantiam, va osservato che la censura attiene a quaestio facti e come tale non può trovare ingresso in sede di legittimità.

5.-Con il quinto motivo (nullità del procedimento in una controversia dipendente da questioni tecniche affidate al ctu specialista, cui hanno contraddetto i difensori tecnici e giuridici delle parti interessate, per omessa riconvocazione del ctu e per violazione dell’art. 111 Cost., al cospetto dell’avvenuta e enunciata divulgazione durante le operazioni peritali della bozza dell’elaborato per indagini compiute senza l’intervento del giudice, in contrasto con l’art. 195 c.p.c., comma 3, sotto il profilo della ricorribilità ex art. 360 c.p.c., n. 4), il ricorrente sembra denunciare la nullità dell’intero procedimento per avere il CTU inviato a CTP nominati le veline del proprio elaborato per sollecitarne le osservazioni.

Il motivo con il pedissequo quesito, da ritenersi congruo (p. 33 ricorso), va disatteso.

Infatti, il giudice dell’appello rispondendo alla censura puntuale del ricorrente evidenzia che “non può trovare censura un’attività rivolta semmai ad utilmente estendere il contraddittorio e che il contraddittorio è stato poi rispettato” (p. 28 sentenza impugnata).

In merito, poi, alla asserita violazione dell’art. 195 c.p.c., comma 2, può trattarsi, tutt’al più, di irritualità anche perchè la violazione della norma in esame non è corredata da alcuna nullità (Cass.n.3680/99 : Cass. n. 14489/01).

6.- Con il sesto motivo (erronea “valutazione della risultanze di causa, travisamento del significato di espressioni costituenti modulo predisposto per il consenso informato, in contrasto con la specifica funzione di tale consenso destinato a stimolare l’esercizio della facoltà di non accettare lesioni personali non autorizzate per un paziente definito ” a rischio”, per violazione dell’art. 111 Cost., sotto il profilo della ricorribilità ex art. 360 c.p.c., n. 3) il ricorrente lamenta che il giudice dell’appello avrebbe errato nella valutazione delle risultanze di causa per un travisamento del significato del modello di consenso informato agli atti.

Il quesito di diritto, che correda la censura, è assolutamente astratto (v. la sua formulazione a p. 34 ricorso).

Di qui la inammissibilità.

Peraltro, il motivo è infondato non solo per quanto affermato nella sentenza impugnata sul punto, ove si trascrive quasi integralmente e comunque nella parte concernente le dichiarazioni del G. il contenuto del modulo (v. 22 sentenza impugnata), per quanto il giudice dell’appello, a fronte della documentazione contenente le dichiarazioni di consenso, ha preso atto – e in effetti nemmeno in questa sede le si contesta essere state fatte-che nulla ha dedotto il G. in senso contrario.

7.- Con il settimo, ottavo e nono motivo (tutti formulati come vizio di motivazione per omessa giustificazione afferente fatti controversi e decisivi per il giudizio, sorto il profilo dell’impugnabilità della sentenza in forza dell’art. 360 c.p.c., n. 5), che vanno esaminati congiuntamente per loro interconnessione, in estrema sintesi, si addebita al giudice dell’appello di avere rigettato l’impugnazione sulla scorta di un mero giudizio probabilistico.

I motivi, prima facie, sono inammissibili perchè mancano del necessario momento di sintesi. Peraltro, sono del tutto infondati.

Infatti, non solo il giudice dell’appello ha basato la sua decisione sulle risultanze di valutazioni medico-legali ritenute coerenti, logiche e prive di contraddizioni, e per le quali la cambra risultava ancora integra nel momento in cui il G. si rivolgeva al prof. S. – ovvero nel maggio 1998-, tanto è che tale circostanza emergeva solo in occasione dell’intervento operatorio del gennaio 1999, per quanto ha pure avuto modo di porre in rilievo che, in sede di dimissione ospedaliera, era stato comminato espressamente il divieto di carico sull’arto operato e che non sussisteva agli atti alcuna documentazione circa l’autorizzazione a procedervi, nè la visita compiuta a San Vito al Tagliamento ancora il maggio 1998 aveva evidenziato alcunchè di anormale (ancor meno con riferimento a sospetto di pseudoartosi) se non il proposito di operare nuovamente per ridurre l’equinismo.

Così come per la cambra lo stesso giudice ha dovuto prendere atto che la cambra si fosse rotta in un momento imprecisato, ma, comunque, successivo all’assunzione del paziente da parte del prof. S. e dai CTU la rottura è stata posta in riferimento con l’insorta pseudoartrosi, di cui costituisce un effetto in ragione, invero, del mancato consolidamento dell’artrodesi e, quindi, della evoluzione della situazione in pseudoartrosi.

Alla fine ha ritenuto che, essendo la cambra l’unico mezzo idoneo prescelto per la fissazione dell’articolazione, come pure riconosciuto dal CTU D.M., l’artrodesi fu operazione corretta nella situazione data e non eseguita in modo inesatto e, allo stesso tempo, non era stato possibile stabilire alcun collegamento diretto tra la pseudoartrosi, rottura della cambra ed attività del F., il quale aveva dato corso ad opportuno ed informato intervento di artrodesi tibio-tarsica nell’ambito del rapporto ospedaliere (p. 26-28 sentenza impugnata).

La sintesi fedele delle argomentazioni del giudice dell’appello produce, quindi, la manifesta infondatezza dei motivi.

Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese che seguono la soccombenza vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.800, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2011

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