Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16542 del 14/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 14/07/2010, (ud. 27/04/2010, dep. 14/07/2010), n.16542

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI

180, presso lo studio dell’avvocato BRASCHI FRANCESCO LUIGI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROMANO ALESSANDRO,

giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore avv.to

S.G.P., in proprio e quale mandatario della S.C.CI. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

CORETTI ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, MARITATO LELIO, giusta mandato

in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 158/2006 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 20/06/2006 r.g.n. 635/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato BRASCHI FRANCESCO LUIGI;

udito l’Avvocato ANTONINO SGROI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 16.3/20.6.2006 la Corte di appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Brescia n. 97/05, impugnata da R.A., che rigettava l’opposizione da quest’ultimo proposta al precetto notificato dall’INPS il 6.3.2004 per il pagamento di contributi afferenti agli anni 1979/1981, con riferimento ai quali erano stati emessi tre decreti ingiuntivi, divenuti irrevocabili.

Osservava in sintesi la corte territoriale che, nel corso del tempo, vi erano stati ripetuti pagamenti (con conseguente riconoscimento dei relativi debiti) di difficile collocazione temporale, ma sicuramente anche dopo la notificazione dell’istanza di fallimento del (OMISSIS), e che, in assenza di specifiche allegazioni dell’opponente, non era possibile individuare quali fossero gli importi residui riferibili ai vari decreti ingiuntivi, i pagamenti parziali e la relativa collocazione temporale, sicchè non poteva ritenersi provata l’eccepita prescrizione.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso R.A. con tre motivi.

Resiste con controricorso l’INPS.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2953 c.c., ed, al riguardo, rileva che, potendo l’interruzione della prescrizione del diritto di procedere all’esecuzione del giudicato di condanna far seguito solo alla notifica dell’atto di precetto, e non anche di diversi atti stragiudiziali di costituzione in mora, nel caso l’effetto interruttivo poteva ricollegarsi solo all’atto di precetto notificato l’11.11.1991 (con riguardo al terzo decreto ingiuntivo, n. 634/82) e al precetto del 6.3.2004, opposto nel presente giudizio( nel quale venivano richiamati anche i primi due decreti, n. 507/79 e 177/80).

Con il secondo motivo il ricorrente prospetta insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’accertamento dei fatti interruttivi della prescrizione, che non erano stati provati dall’INPS, specie con riferimento al tempo degli asseriti pagamenti parziali.

Con l’ultimo motivo, infine, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2697 c.c., il ricorrente si duole che la sentenza impugnata aveva ritenuto che fosse onere dell’opponente provare l’esistenza dei pagamenti parziali, sebbene fosse onere dell’INPS provare l’eccepita interruzione della prescrizione, laddove l’Istituto non aveva dato dimostrazione degli asseriti pagamenti parziali, nè aveva dedotto, e tanto meno provato, gli asseriti riconoscimenti di debito, nè dimostrato il “quando”. Il primo motivo è inammissibile.

Trattasi, infatti, di censura che non risulta esaminata nella decisione impugnata e che i ricorrenti non hanno documentato, per come imposto dalla regola della necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, di aver prospettato nei precedenti gradi del giudizio e che, pertanto, dovendosi apprezzare come nuova, risulta in questa sede inammissibile.

Il secondo motivo è fondato nei termini che saranno specificati. Per come già accennato in narrativa, la corte territoriale ha ritenuto di dover rigettare l’eccezione di prescrizione avanzata dal ricorrente sulla base essenzialmente della considerazione che dal raffronto fra l’importo del credito risultante nel precetto del 6.3.2004, oggetto della presente controversia (e pari ad euro 53.284,02), e quello desumibile dai precedenti atti di diffida (nei quali viene indicato, con riferimento ai tre decreti ingiuntivi, un diverso e maggiore importo), si desume che “nel corso degli anni vi sono stati pagamenti parziali (come dichiarato dallo stesso INPS) … pagamenti/riconoscimenti di debito di difficile collocazione temporale precisa, ma sicuramente anche dopo la notificazione dell’istanza di fallimento e la convocazione del debitore in camera di consiglio”. Ha soggiunto la corte territoriale che, in assenza di specifiche allegazioni dell’opponente, risultava impossibile “individuare quali sono gli importi residui riferibili all’uno o all’altro decreto ingiuntivo, come debbono essere imputati e quando sono intervenuti i pagamenti parziali (con interruzione del termine) …”.

Sulla base di tali dati, deve, dunque, rilevarsi che il giudice di appello ha riconosciuto l’esistenza di validi atti interruttivi della prescrizione; ha valorizzato, a tal fine, circostante allegate dall’INPS (quali l’esistenza di pagamenti parziali), ancorchè prive di requisiti (il tempo dei pagamenti) qualificanti ai fini di una loro adeguata allegazione; ha ritenuto, peraltro, che la collocazione temporale dei pagamenti fosse non solo incerta, ma anche di difficile individuazione, e, nondimeno, non ha offerto alcuna giustificazione in ordine alle ragioni che rendevano insuperabile l’obiettiva incertezza circa i tempi dei pagamenti parziali (e, quindi, dei relativi riconoscimenti del debito): pur trattandosi di circostanza sicuramente rilevante, se non proprio dirimente, per l’attribuzione di una effettiva valenza probatoria agli atti interruttivi su cui il giudice stesso aveva fondato il rigetto dell’eccezione di prescrizione.

La motivazione così offerta dalla corte di appello trascura, però, di considerare che i fatti interruttivi della prescrizione, in quanto riferibili ad una eccezione distinta e non omogenea a quella di prescrizione, possono essere si rilevati anche d’ufficio dal giudice in qualunque stato e grado del processo, ma sulla base di allegazioni e di prove ritualmente acquisite o acquisibili al processo e dei poteri istruttori legittimamente esercitabili dal giudice anche d’ufficio (cfr. SU. n. 15661/2005; v. anche Cass. n. 2035/2006; Cass. n. 13783/2007), ivi compreso l’esercizio del potere-dovere che l’art. 421 c.p.c., comma 2, attribuisce al giudice del lavoro ai fini dell’accertamento della verità dei fatti rilevanti ai fini della decisione.

Sulla base del principio, reiteratamente affermato da questa Suprema Corte, che è caratteristica precipua del processo del lavoro il contemperamento del principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale, sicchè, in presenza di risultanze di causa che offrono significativi dati di indagine, sussiste per il giudice che reputi insufficienti le prove e le risultanze già acquisite il potere-dovere di provvedere anche d’ufficio agli atti istruttori sollecitati dal materiale probatorio acquisito ed idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti di causa o di già intervenute decadenze o preclusioni, in quanto la prova disposta d’ufficio costituisce solo un approfondimento, ritenuto indispensabile al fine di decidere, di elementi probatori già obiettivamente esistenti nella realtà del processo (v. ad es., SU n. 11353/2004; Cass. n. 278/2005; Cass. n. 22305/2007).

Il che vale quanto dire che l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio appare doveroso in presenza di un quadro probatorio che non consente di ritenere sicuramente insussistente un fatto costitutivo o impeditivo e tale incertezza possa essere rimossa attraverso opportune iniziative istruttorie sollecitate dal giudice, per come appare evidente nel caso in esame.

Il giudice del gravame, infatti, non ha evidenziato per quale motivo non abbia inteso esercitare i suoi poteri di ufficio, non svolgendo, al riguardo, alcun argomento. E tutto ciò assume particolare rilievo, se si considera da un lato, che è incontroverso (per come emerge dalla stessa sentenza impugnata) che, con riferimento almeno ai primi due decreti ingiuntivi del 1979 e del 1980, il termine di prescrizione è stato interrotto prima con l’istanza per la dichiarazione di fallimento del (OMISSIS) e, quindi, solo con la diffida del 27.7.1995 (e,cioè, ad oltre dieci anni di distanza dalla prima); dall’altro, che vi sono stati pagamenti parziali anche dopo l’istanza di fallimento, ma in date che sono rimaste imprecisate.

La corte bresciana ha dato atto di questa situazione di incertezza, ma ha trascurato di considerare – ed è questo il dato rilevante – che si trattava di circostanze (i pagamenti parziali) che, allegate dall’INPS e nemmeno escluse dalla controparte, erano accettabili dal giudice, nella loro esatta valenza probatoria (e, quindi, con riferimento ai relativi tempi), attraverso gli opportuni atti di impulso e di sollecitazione istruttoria dallo stesso esercitagli, e comunque non ha fornito alcuna adeguata motivazione in ordine alle ragioni che rendevano tale accertamento impossibile.

L’accoglimento del secondo motivo porta all’assorbimento dell’ultimo.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e la causa rimessa ad altro giudice di merito, che si individua nella stessa Corte di appello di Brescia in diversa composizione, la quale la deciderà attenendosi ai criteri indicati e provvedendo anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2010

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