Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16541 del 14/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 14/07/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 14/07/2010), n.16541

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.B.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GERMANICO 146, presso lo istudio dell’avvocato VERALDI STEFANIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato IOELE LORENZO, giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1445/2005 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 09/09/2005 R.G.N. 1495/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/03/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Salerno ha rigettato il gravame proposto da D.B.M.A. avverso la sentenza di prime cure che aveva condannato l’appellante al pagamento, in favore di B. R., della somma, equitativamente determinata, di Euro 5.000,00 a titolo di differenze retributive.

La Corte territoriale riteneva in primo luogo infondato il motivo di gravame basato sulla nullità della notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, nullità, secondo l’assunto dell’appellante, derivante dal fatto che la notifica era avvenuta in luogo diverso da quello dove l’appellante stesso aveva l’agenzia presso la quale il B. asseriva di aver lavorato. Premesso che era risultato, all’esito dell’attività istruttoria espletata, che la notifica era avvenuta presso la sub-agenzia della moglie dell’appellante e che la copia del ricorso era stata consegnata a mani di una dipendente di quest’ultima, riteneva la validità di siffatta notifica in quanto eseguita presso un soggetto e in un luogo collegati da un chiaro e netto riferimento con la parte destinataria della notificazione.

Sotto altro profilo osservava che anche a voler ammettere la nullità della notifica, questa era stata sanata ex tunc, dalla costituzione in giudizio del convenuto.

Nel merito riteneva che correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto la sussistenza della prova di un rapporto di lavoro subordinato.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il D.B. M.A. affidato a 4 motivi; B.R. è rimasto intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione falsa applicazione degli artt. 43 e 45 cod. civ., artt. 138, 139 e 140 cod. proc. civ..

Deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto corretta la notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Sostiene che la notifica era avvenuta non già all’indirizzo dell’agenzia di cui era titolare e dove il B. assume di aver lavorato, ma al diverso indirizzo della sub agenzia della moglie del ricorrente. Non poteva considerarsi rilevante in proposito la circostanza che i due uffici erano vicini e collegati da un sistema di telecamere a circuito chiuso per motivi di sicurezza.

Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 157 cod. proc. civ., con riferimento alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha affermato che la costituzione in giudizio aveva sanato la nullità della notifica del ricorso. Sottolinea in proposito che tale costituzione non era avvenuta per effetto dell’atto nullo ma per effetto di un atto diverso successivo e cioè la notifica della riassunzione a seguito della cancellazione del procedimento instaurato con l’atto non ritualmente notificato.

Col terzo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2094 cod. civ., nonchè vizio di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione. Deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato sulla base di deposizioni testimoniali che avevano riferito lo svolgimento, da parte del B., di alcune attività all’interno dell’agenzia.

Sotto altro profilo deduce che erroneamente la corte territoriale aveva posto a carico di esso ricorrente l’onere di provare la sussistenza di elementi idonei a escludere la subordinazione.

Col quarto motivo il ricorrente denuncia violazione falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., con riferimento al rilievo attribuito dalla corte di merito alla mancata comparizione del convenuto in primo grado per rendere il libero interrogatorio.

Il Collegio premette, con riferimento ai primi due motivi del ricorso, che, come evidenziato in narrativa, la Corte territoriale ha ritenuto la validità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado sulla base di una doppia ratio decidendi, ciascuna delle quali è sufficiente da sola a sorreggere la decisione impugnata; ed infatti, sotto un primo profilo, rilevato che la notifica era avvenuta presso la subagenzia della moglie dell’appellante e che la copia del ricorso era stata consegnata a mani di una dipendente di quest’ultima, riteneva la validità di siffatta notifica in quanto eseguita presso un soggetto e in un luogo collegati da un chiaro e netto riferimento con la parte destinataria della notificazione. Sotto altro profilo osservava che anche a voler ammettere la nullità della notifica, questa era stata sanata ex tunc, per effetto del raggiungimento dello scopo dell’atto, dalla costituzione in giudizio del convenuto a seguito della notifica dell’atto di riassunzione anche se tale costituzione era stata effettuata solo al fine di eccepire la predetta nullità.

Secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità, nell’ipotesi di decisione basata su distinte rationes decidendi, è sufficiente che una sola di esse resista alle censure svolte nei suoi confronti perchè il ricorso debba essere rigettato; in questi termini si è espressa, in particolare, Cass. 24 maggio 2006 n. 12372, secondo la quale, infatti, quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi, ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate; con la conseguenza che, ove venga rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta.

Nel caso di specie il soccombente ha censurato le due distinte rationes decidendi, ma una delle due censure, quella di cui al secondo motivo di ricorso, deve ritenersi infondata (con conseguente inammissibilità della censura concernente il primo motivo).

Premesso in fatto che, come risulta dalla sentenza impugnata, nel corso del giudizio di primo grado la causa, dopo essere stata cancellata dal ruolo, è stata riassunta, e che a seguito dell’atto di riassunzione, notificato al D.B. mediante consegna, a mani proprie, questi si è costituito in giudizio, sia pur dichiarando di non accettare il contraddittorio in ordine al merito della causa, deve ritenersi che, nonostante tale dichiarazione, il contraddittorio si sia ritualmente formato. Rilevato che, secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr. Cass. 10 luglio 2008 n. 19030, in motivazione) la riassunzione non comporta l’instaurazione di un nuovo processo, bensì costituisce la prosecuzione di quello originario, deve sottolinearsi che, come rilevato dalla Corte di merito, l’atto di riassunzione conteneva tutti gli elementi previsti dall’art. 125 disp. att. cod. proc. civ..

La parte non ha pertanto ricevuto alcun pregiudizio non essendo configurabile alcuna violazione del suo diritto di difesa, peraltro nemmeno ritualmente eccepito.

Anche il terzo ed il quarto motivo che, in quanto logicamente connessi, devono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Deve premettersi che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. 3 marzo 2009 n. 5079 e Cass. 11 febbraio 2004 n. 2622), le statuizioni del giudice del merito circa l’esistenza del vincolo della subordinazione sono censurabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – come tale incensurabile in tale sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice di merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale.

Nel caso di specie i motivi di ricorso non contengono alcuna idonea censura relativa alla determinazione dei suddetti criteri (che la Corte territoriale ha individuato, in particolare, nella continuità delle prestazioni, nell’osservanza di un orario di lavoro, nell’inserimento del prestatore di lavoro nella struttura organizzativa dell’impresa, nell’assenza di rischio economico e di organizzazione imprenditoriale in capo al prestatore medesimo) ma si risolvono, in sostanza, nella critica alla motivazione concernente la valutazione delle prove fatta dalla Corte di merito per stabilire la sussistenza, o meno, di un rapporto di lavoro subordinato.

Deve osservarsi in proposito che, secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. 21 aprile 2006 n. 9368), in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).

Alla luce dei principi sopra ricordati i motivi di ricorso sono del tutto infondati in quanto la motivazione della Corte, circa la valutazione delle prove ai fini della configurabilità, nel caso di specie, di un rapporto di lavoro subordinato, deve ritenersi adeguata e immune da vizi logici e giuridici.

Va osservato inoltre che correttamente, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., comma 2, la Corte territoriale ha ritenuto che, a fronte del quadro probatorio esistente in atti, ritenuto idoneo a dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, sarebbe stato compito del convenuto in primo grado fornire elementi di valutazione idonei a sminuire la rilevanza degli elementi di valutazione acquisiti.

Sotto altro profilo, con riferimento al quarto motivo di ricorso, deve ritenersi che lo stesso sia inconferente e pertanto inammissibile, atteso che, a prescindere da ogni altra considerazione, appare evidente dalla motivazione della sentenza impugnata, che alla mancata comparizione del convenuto all’udienza, successiva alla riassunzione, per rendere l’interrogatorio libero, non è stato attribuito carattere determinante ai fini della decisione.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Nulla deve essere disposto in ordine alle spese del giudizio di cassazione, atteso il mancato svolgimento di attività processuale da parte del B., rimasto intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2010

 

 

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