Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16541 del 11/06/2021
Cassazione civile sez. I, 11/06/2021, (ud. 16/04/2021, dep. 11/06/2021), n.16541
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 17936/2019 r.g. proposto da:
A.R., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta
in calce al ricorso, dall’Avvocato Maria Antonio Angelilli, presso
il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via Alberico II
n. 4.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale
rappresentante pro tempore il Ministro.
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Messina, depositato in data
16.4.2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
16/4/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
Fatto
RILEVATO
Che:
1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Messina ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da A.R., cittadino del Bangladesh, dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.
Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato a (OMISSIS), di professare la religione musulmana e di appartenere alla etnia bangla; ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese per ragioni economiche.
Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, perchè, pur essendo credibile il racconto del richiedente, non ricorrevano i presupposti applicativi dell’invocata protezione di matrice internazionale perchè era stato lo stesso richiedente a confessare che alla base delle decisione di espatrio vi erano solo ragioni economiche; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Bangladesh, paese di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perchè il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano e perchè la vicenda allegata riguardava solo problematiche personali e familiari, non potendo rilevare a tal fine neanche l’esperienza in Libia quale mero paese di transito del migrante.
2. Il decreto, pubblicato il 16.4.2019, è stato impugnato da A.R. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’amministrazione intimata non ha svolto difese.
Diritto
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al diniego della richiesta protezione umanitaria.
2. Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del decreto impugnato per violazione dell’art. 115 c.p.c..
3. Il ricorso è inammissibile.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente e vanno dichiarati entrambi inammissibili.
3.1 Il ricorrente articola invero censure su profili (da un lato, transito in Libia e, dall’altro, condizioni di povertà) che, per come formulati, attingono questioni del tutto irrilevanti per la decisione sui presupposti applicativi dell’invocata protezione umanitaria.
3.1.1 Sotto il profilo da ultimo accennato, non può essere dimenticato che, sulla base della qui condivisa giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimità, ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie (nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, applicabile “ratione temporis”), l’accertamento della condizione di vulnerabilità deve avvenire alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel paese d’origine del richiedente e, dall’altro, del percorso di integrazione sociale da quest’ultimo intrapreso nel paese di destinazione, sicchè le dedotte ragioni di solitudine e di indigenza economica, in caso di rientro nel paese di origine, non possono essere poste a fondamento del rilascio del menzionato permesso, in quanto non integranti una grave violazione dei diritti umani (cfr. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 17118 del 13/08/2020; Sez. 1, Ordinanza n. 18443 del 04/09/2020).
3.1.2 In relazione al secondo profilo sopra accennato, giova ricordare anche in tal caso l’insegnamento espresso da questa Corte (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa), secondo cui l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018).
Situazione quest’ultima neanche prospettata da parte del ricorrente che, peraltro, non ha neanche allegato e descritto particolari pregiudizi collegati alla permanenza in Libia che possano aver determinato conseguenze sulla condizione psico-fisica rilevante per il rilascio del permesso di soggiorno per finalità umanitarie.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.
Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021