Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16539 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/06/2021, (ud. 08/04/2021, dep. 11/06/2021), n.16539

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13351/2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi

12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

EVERCOM HOLDING S.r.l., gia TIMO HOLDING S.r.l;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6158/15/17 della Commissione tributaria

Regionale del Lazio, depositata il 24/10/2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 8/4/2021 dal

Consigliere Dott. Stefano Pepe.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. Con avviso di liquidazione l’Agenzia delle entrate richiedeva alla TIMO HOLDING S.r.l., ora EVERCOM HOLDING S.r.l., il pagamento dell’imposta proporzionale del 3% ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, e art. 9 Tariffa Parte prima allegata sull’atto di finanziamento corrispondente al credito da essa vantato nei confronti della Studio Link s.r.l., società partecipata, enunciato nella delibera di aumento di capitale di quest’ultima avvenuto grazie alla rinuncia del suindicato credito.

2. Con sentenza n. 6158/15/17, depositata il 24/10/2017, la Commissione tributaria regionale del Lazio (CTR) accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) che, in accoglimento del ricorso della contribuente, aveva ritenuto che la rinuncia operata dalla società contribuente non si configurava quale enunciazione di un finanziamento autonomamente tassabile.

La CTR, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, osservava che l’atto dispositivo della società contribuente disvelava l’intento di finanziamento della prima a favore della seconda e, dunque, doveva essere sottoposto all’imposta di registro in misura fissa D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa allegata, Parte prima, ex art. 4, comma 1, n. 5.

2. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

3. La contribuente non si è costituita.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del principio tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. nonchè di quello ex art. 342 c.p.c., comma 1, avendo la CTR posto a fondamento del proprio decisum l’operazione economica giuridica derivante dall’integrazione tra compensazione del credito precedentemente vantato dalla società contribuente nei confronti della partecipata e aumento di capitale sottoscritto in conseguenza della prima con le disponibilità realizzata per effetto di essa.

Tale decisione non avrebbe tenuto conto del fatto che il presupposto impositivo posto a fondamento dell’avviso di liquidazione non era da rinvenirsi nella ricapitalizzazione o compensazione del credito tra le due società, ma nel pregresso finanziamento concesso alla società partecipata che parzialmente era stato utilizzato in compensazione ai fini dell’aumento di capitale oggetto della delibera. L’atto enunciato non era, quindi, da individuarsi nella rinuncia al proprio credito da parte della contribuente verso la sottoscrizione del maggiore capitale sociale, ma nell’atto presupposto con il quale questa aveva finanziato la società partecipata conseguendo da ciò un credito oggetto di parziale restituzione indicata nella delibera di aumento di capitale.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, comma 1, in combinato disposto con medesimo decreto, Tariffa allegata, Parte prima, art. 4, comma 1, n. 5) e art. 9.

A parere dell’Amministrazione finanziaria la CTR sarebbe incorsa nel vizio denunciato assumendo all’uopo rilievo la circostanza che le parti del finanziamento enunciato nel verbale di aumento di capitale, atto soggetto a imposta di registro, erano le stesse del finanziamento in esso enunciato.

3. Il primo motivo è fondato.

Per come risulta dal ricorso, l’Agenzia delle entrate ha emesso l’avviso di liquidazione a seguito del verbale di assemblea della Studio Link S.r.l in cui si era deliberato “un aumento di capitale da Euro 11.000,00 ad Euro 600.000,00, l’intero aumento di capitale veniva sottoscritto dalla soc. “Evercom spa”, che rinunciava per il medesimo importo di Euro 589.000,00 al credito da essa vantato nei confronti della società “Studio Link srl”, ammontante complessivamente ad Euro 2.165.409,00. Pertanto, dopo tale rinuncia, il credito della Evercom spa risultava pari ad Euro 1.576.409,00. Con l’avviso di liquidazione (…) recuperava l’imposta di registro dovuta e non versata in relazione all’atto di riconoscimento di debito relativo all’enunciazione del finanziamento”.

Da quanto sopra, nonchè dal fatto che l’imposta proporzionale richiesta al 3% di Euro 64.492,00 corrisponde al credito di cui la contribuente era originariamente titolare nei confronti della società partecipata (Euro 2.165.409,00), discende l’erronea individuazione da parte della CTR del presupposto impositivo oggetto dell’avviso di liquidazione, non potendosi esso individuarsi in quello di Euro 589.000,00 (quota parte del maggior credito sopra indicato) utilizzato ai fini dell’aumento di capitale della società partecipata e sulla cui base i giudici di merito si sono pronunciati.

La CTR, infatti, ha posto a fondamento della propria decisione la natura giuridica ed economica della complessiva operazione finanziaria posta in essere dalla contribuente e rappresentata dalla compensazione del pregresso credito da essa vantato con il conseguente aumento di capitale sociale della società partecipata debitrice, applicando a tale complessa fattispecie l’imposta di registro in misura fissa stabilita per i conferimenti in capitale e per qualsiasi altra forma di finanziamento a favore dell’ente societario. La sentenza impugnata risulta, dunque, di tutta evidenza, essere incorsa nella violazione denunciata con il motivo di ricorso.

4. Il secondo motivo è fondato.

La soluzione del quesito proposto non può prescindere dalla prodromica individuazione degli esatti contorni della nozione giuridica di “enunciazione” nell’ambito della disciplina relativa all’imposta di registro. In linea generale si applica l’imposta di registro per enunciazione nell’ipotesi in cui un atto non registrato viene “enunciato” in un atto sottoposto a registrazione. La disciplina della tassazione per enunciazione è contenuta nel D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, i cui connotati si ravvisano nei seguenti: 1) qualora in un atto vengano enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati, a tali disposizioni viene applicata l’imposta di registro per “enunciazione”; 2) conditio sine qua perchè le suddette disposizioni soggiacciano a tassazione è che le stesse siano contenute in atti scritti o contratti verbali formati dalle medesime parti dell’atto sottoposto a registrazione; 3) per “enunciazione”, pertanto, deve intendersi una dichiarazione dei contraenti riferita ad altri atti giuridici non registrati, precedenti il contratto sottoposto a registrazione ed in esso richiamati e di cui erano parti; 4) se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la sanzione pecuniaria (cfr. D.P.R. n. 131 del 1986, art. 69); 5) non può farsi luogo all’applicazione dell’imposta qualora vengano enunciati contratti verbali i cui effetti siano già cessati ovvero cessino in virtù dell’atto enunciante; 6) l’enunciazione di un atto non soggetto a registrazione in termine fisso contenuta in un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria (D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 37) è tassabile limitatamente alla parte dell’atto enunciato non ancora eseguita.

La ratio della norma risulta chiara ed evidente: la disciplina della enunciazione è finalizzata a essere una misura di contrasto all’elusione in quanto, altrimenti, sarebbe facile ai contraenti stipulare un contratto, non registrarlo e poi acclararne l’esistenza in un contratto successivo, pretendendo la salvezza da tassazione del contratto enunciato.

Secondo questa Corte, in tema di imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, comma 1, stabilisce che se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. In particolare, si è affermato che va assoggettato ad imposta di registro il finanziamento soci, già inserito tra le poste passive del bilancio, enunciato in un atto di ripianamento delle perdite del capitale sociale e sua ricostituzione mediante rinuncia dei soci ai predetti finanziamenti in precedenza effettuati nei confronti della società, e ciò a prescindere dall’effettivo uso del finanziamento medesimo (ex plurimis e da ultimo Cass. n. 32516 del 12/12/2019 Rv. 656035 – 01).

Più in particolare, in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto del presente scrutinio la Corte (Cass. n. 15585 del 30/06/2010 Rv. 613766 – 01) ha affermato che “In tema di imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, comma 1, stabilisce che se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate; ne consegue che va assoggettato ad imposta di registro il finanziamento soci, già inserito tra le poste passive del bilancio, enunciato in un atto di ripianamento delle perdite del capitale sociale e sua ricostituzione mediante rinuncia dei soci ai predetti finanziamenti in precedenza effettuati nei confronti della società, e ciò a prescindere dall’effettivo uso del finanziamento medesimo”.

I principi sopra indicati risultano pienamente applicabili anche alla fattispecie in esame, laddove dal verbale di assemblea soggetto ad imposizione è emersa l’esistenza di un finanziamento della società contribuente a favore della società partecipata – parti del verbale di aumento di capitale oggetto di registrazione utilizzato da quest’ultima, mediante rinuncia parziale del relativo credito, al fine di deliberare un aumento di capitale.

In particolare, quanto all’elemento soggettivo, la necessità dell’identità delle parti trova ragione, in primo luogo, nella suindicata ratio della disciplina in esame finalizzata a essere una misura di contrasto all’elusione in quanto, altrimenti, sarebbe facile ai contraenti stipulare un contratto, non registrarlo e poi acclararne l’esistenza in un contratto successivo, pretendendo la salvezza da tassazione del contratto enunciato. Tale disciplina non può giungere all’estremo di pretendere che un terzo veda tassato il suo contratto solo perchè il suo contraente ne faccia menzione in un altro contratto da egli stipulato con un terzo (fermo sempre restando che la enunciazione del contratto non registrato, in qualsiasi contesto essa avvenga, può ovviamente attivare la ricerca, da parte dell’Ufficio, dell’atto non registrato e la conseguente esplicazione del procedimento di registrazione d’ufficio di cui all’art. 15, T.U.R.).

Ed ancora, l’identità delle parti si fonda sullo stesso concetto di enunciazione con il quale deve intendersi l’espresso richiamo dei contraenti al negozio, contenuto in un atto scritto o un contratto verbale, dagli stessi posto in essere. Nell’enunciazione, infatti, devono essere evidenziati tutti gli elementi costitutivi dell’atto cui si fa riferimento, con una fedele ricostruzione conforme al suo contenuto e alla sua struttura originali, di modo che l’imposta possa essere applicata anche sul negozio enunciato, secondo gli effetti che è idoneo a produrre. L’enunciazione deve, cioè, contenere tutti gli elementi essenziali del contratto enunciato che servono ad identificarne la natura ed il contenuto in modo tale che lo stesso potrebbe essere registrato come atto a sè stante.

La tassazione per enunciazione, dunque, non può operare nelle ipotesi in cui l’esistenza di un negozio sia desumibile solo da elementi indiretti e non in maniera certa e diretta per il richiamo espresso a tutti i suoi elementi; richiamo che può essere compiuto, nei termini sopra indicati, solo dalle parti dello stesso le quali sono in grado di dare certezza di quel rapporto giuridico. E’ necessario, in sostanza, che nell’atto enunciante siano contenuti elementi tali da consentire di identificare la convenzione enunciata sia in ordine ai soggetti che al suo contenuto oggettivo e alla sua reale portata in modo da fornire non solo la prova della sua esistenza ma da costituirne il titolo. E’, dunque, per tali ragioni che l’art. 22 cit. prevede che la tassazione per enunciazione sia possibile solo a condizione che vi sia identità delle parti intervenute nell’atto enunciante e in quello enunciato.

Le indicate conclusioni poggiano anche sull’ulteriore argomento secondo cui, in tanto si può far luogo a tassazione, in quanto essa sia conseguenza diretta del comportamento del soggetto che la subisce.

Consegue da quanto sopra che la CTR, in conseguenza dell’errata individuazione del thema decidum, non ha poi fatto corretta applicazione dei suindicati principi.

5. In conclusione, il ricorso deve essere accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto, la controversia può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente.

6. Le spese del giudizio di merito possono essere compensate tra le parti in ragione delle diverse conclusioni delle relative decisioni; le spese di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

– Accoglie il ricorso.

– Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente.

– Le spese di lite dei gradi di merito vanno interamente compensate tra le parti, mentre la soccombente va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

 

 

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