Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16537 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/06/2021, (ud. 08/04/2021, dep. 11/06/2021), n.16537

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. DI PAOLOANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35594-2019 proposto da:

E.R., domiciliato ope legis in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato TIZIANA TALARICO,

– ricorrente –

contro

REGIONE CALABRIA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIMA 28, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE COSCO, rappresentata e difesa dall’avvocato

ALFREDO GUALTIERI:

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 334/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 15/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANNALISA

PAOLANTONIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l. la Corte d’Appello di Catanzaro ha respinto l’appello di E.R. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso proposto nei confronti della Regione Calabria, volto ad ottenere l’accertamento del diritto a percepire per l’incarico di studio svolto presso l’Avvocatura Regionale la retribuzione di posizione dell’importo di Euro 40.519,26 annuali e la conseguente condanna dell’ente, che aveva corrisposto la minor somma di Euro 33.416,15, al pagamento delle differenze retributive con decorrenza dal 4 giugno 2014;

2. la Corte territoriale ha premesso che l’appellante, inizialmente assegnato al Dipartimento Urbanistica quale dirigente di Servizio, rivendicava il diritto a conservare la retribuzione di posizione nella misura in precedenza riconosciuta, sul rilievo che l’incarico di studio successivamente ricevuto dovesse essere equiparato alla direzione del Servizio e, quindi, non potesse essere ricondotto alla 4″ fascia per la quale la delibera della Giunta Regionale n. 180/2014 aveva previsto la minor somma sopra indicata;

3. il giudice d’appello ha precisato che nelle more del giudizio era intervenuta la modifica del contratto individuale e l’amministrazione aveva riconosciuto il diritto con decorrenza dal 12 giugno 2015 ma, secondo quanto accertato dal Tribunale senza che il capo della decisione venisse specificamente censurato dall’appellante, ciò era avvenuto in conseguenza di un nuovo assetto organizzativo adottato dalla Regione e, pertanto, non si era in presenza di un riconoscimento di debito;

4. la Corte territoriale, richiamata giurisprudenza sulla natura della retribuzione di posizione e sulla necessità che la stessa venga quantificata all’esito della graduazione delle funzioni, ha ritenuto che l’appellante non avesse alcun titolo per rivendicare la maggiorazione in quanto la Del. n. 148/2014, oggetto anche di rilievi in occasione di verifica ispettiva contabile disposta dal Ministero delle Finanze, aveva natura programmatica e rimandava ad atti successivi che non erano stati adottati, sicchè era mancato il completamento dell’iter previsto per la “pesatura”;

5. ha aggiunto che il ricorrente non poteva fare leva sulla L.R. n. 7 del 1996, art. 3, e sull’art. 2 Reg. 21 novembre 2012, perchè la legge regionale prevedeva solo la possibilità di equiparare l’incarico di studio alla direzione del Servizio ed il regolamento, che stabiliva la conservazione della posizione economica originaria per il personale assegnato al Settore Ufficio Legislativo, non si riferiva a quello dirigenziale per il quale opera il principio secondo cui il dirigente non ha diritto a mantenere il trattamento accessorio in caso di passaggio ad altre funzioni;

6. per la cassazione della sentenza E.R. ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi, ai quali la Regione Calabria ha opposto difese con tempestivo controricorso;

7. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

8. entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo del ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, “violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4” ed addebita alla Corte territoriale di avere contraddittoriamente affermato, da un lato, l’inapplicabilità della Del. n. 148/2014, dall’altro la validità del contratto individuale, con il quale la retribuzione di posizione era stata determinata nella misura contestata in applicazione della delibera citata, sebbene la stessa non contenesse la graduazione delle funzioni;

2. la seconda censura denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa valutazione di fatto controverso e decisivo per la decisione perchè il giudice di merito non avrebbe tenuto conto della coincidenza fra l’importo della retribuzione di posizione corrisposta nel periodo giugno 2014/giugno 2015 e quello stabilito per gli incarichi di 4a fascia nella deliberazione ritenuta inapplicabile;

3. con la terza critica il ricorrente si duole della violazione della L.R. Calabria n. 7/1996, art. 3, comma 4, erroneamente interpretata dalla Corte territoriale in quanto il legislatore regionale se, da un lato, ha previsto come eventuale la costituzione di posizioni di livello dirigenziale aventi ad oggetto funzioni di studio, dall’altro ha stabilito l’equiparazione doverosa dell’incarico, ove istituito, a quello di direzione del Settore, del Servizio o dell’Ufficio;

4. il quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la violazione del Regolamento della Giunta della Regione Calabria approvato con Del. n. 504 del 71/11/2012 che, all’art. 2, prevede per il personale assegnato all’Ufficio legislativo la conservazione della posizione giuridica ed economica in godimento;

5. infine con la quinta critica è censurato il capo della sentenza impugnata relativo al regolamento delle spese di lite, poste a carico dell’appellante, asseritamente in violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, sebbene sussistessero elementi di fatto e di diritto sufficienti a giustificare una pronuncia di compensazione;

6. i motivi presentano profili comuni di inammissibilità nelle parti in cui fanno leva su atti deliberativi e negoziali rispetto ai quali non risulta assolto l’onere di specifica indicazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6;

6.1. nel giudizio di cassazione, a critica vincolata ed essenzialmente basato su atri scritti, essendo ormai solo eventuale la possibilità di illustrazione orale delle difese, i requisiti di completezza e di specificità imposti dall’art. 366 c.p.c. perseguono la finalità di consentire al giudice di legittimità di avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, e, pertanto, qualora la censura si fondi su atti o documenti è necessario che di quegli atti il ricorrente riporti il contenuto, mediante la trascrizione delle parti rilevanti, precisando, inoltre, in quale sede e con quali modalità gli stessi siano stati acquisiti al processo;

6.2. non è sufficiente che la parte assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., n. 4, perchè l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5, riguarda le condizioni di ammissibilità del ricorso mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento, sempre che lo stesso sia stato specificamente indicato nell’impugnazione (Cass. n. 19048/2016);

6.3. i richiamati principi sono stati ribaditi dalle Sezioni Unite in recente decisione con la quale si è affermato che “in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità” (Cass. S.U. n. 34469/2019);

6.4. il ricorrente non ha riportato nel ricorso, neppure nelle parti essenziali, le delibere n. 148/2014 e n. 184/2015, in relazione alle quali si è limitato ad indicare la sede di produzione, e tanto basterebbe a far ritenere inammissibili tutte le censure che si incentrano sugli atti in questione e sull’interpretazione che degli stessi è stata data dalla Corte territoriale;

7. non sussiste la denunciata contraddittorietà della sentenza impugnata, della quale il ricorrente non coglie la ratio decidendi fondata sull’insussistenza di un titolo che legittimasse la pretesa azionata in giudizio in assenza di una corretta graduazione delle posizioni dirigenziali, da effettuare nel rispetto della disciplina dettata dalla contrattazione collettiva;

7.1. la Corte ha, in sintesi, evidenziato, da un lato, che la Regione Calabria non aveva adottato l’atto di graduazione delle funzioni dirigenziali, che costituisce un indispensabile presupposto per l’attribuzione della retribuzione di posizione, e, dall’altro, che il dirigente passato ad altro incarico non ha un diritto soggettivo a conservare il trattamento accessorio nella misura in precedenza goduta e da ciò ha desunto che facevano difetto nella fattispecie gli elementi costitutivi del diritto azionato;

7.2. si tratta di un iter argomentativo privo della denunciata incoerenza e che applica principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, la quale da tempo ha affermato che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24, al pari del D.Lgs. n. 93 del 1993, art. 24, pur rendendo necessaria la presenza nella retribuzione del dirigente di una parte accessoria correlata alle funzioni ed alle responsabilità, ne rimette la determinazione all’emanazione del provvedimento dell’atto di graduazione delle funzioni e poi alla negoziazione fra le parti sociali, che costituiscono presupposti indispensabili affinchè la pretesa retributiva possa essere avanzata (Cass. S.U. n. 7768/2009; cfr. fra le più recenti Cass. n. 20480/2020, Cass. 21166/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata);

7.3. il motivo, poi, è inammissibile nella parte in cui ripropone la tesi secondo cui il ripristino del trattamento economico, avvenuto in conseguenza della modifica contrattuale del 7 ottobre 2015, doveva spiegare effetti anche per il periodo giugno 2014/giugno 2015, perchè la Corte territoriale ha evidenziato, a pag. 7 della sentenza, che l’appellante non aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui, per escludere l’invocata retroattività della modifica, aveva evidenziato che la stessa era stata disposta a seguito di nuovo assetto organizzativo;

8. parimenti inammissibile è il secondo motivo perchè ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dopo l’entrata in vigore del n. 83/2012 (11 settembre 2012) si applica l’art. 348 ter c.p.c., comma 5, e, pertanto il ricorrente, per evitare l’inammissibilità del motivo, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. fra le tante Cass. n. 20994/2019 e Cass. n. 26774/2016);

8.1. va, poi, aggiunto che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, concerne solo un fatto storico (Cass. S.U. 34476/2019 e le pronunce ivi richiamate) e tale non possono essere ritenuti nè il contenuto della Del. n. 148/2014, che la Corte territoriale ha comunque valutato (pag. 10 della sentenza), nè il giudizio di comparazione fra i valori indicati nella delibera in parola e la retribuzione di posizione attribuita;

9. il terzo ed il quarto motivo, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico – giuridica, in disparte i profili di inammissibilità evidenziati in premessa, sono infondati perchè, come già anticipato al punto 7.2., il diritto soggettivo del dirigente pubblico a percepire il trattamento accessorio in una determinata misura sorge solo in presenza del necessario rispetto della contrattazione collettiva, il cui ruolo centrale è stato valorizzato dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali sullo stesso hanno fondato il principio secondo cui l’atto di deroga, anche in melius, alle disposizioni del contratto collettivo è “affetto da nullità, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perchè viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21-septies (l’ordinamento esclude che l’amministrazione possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva) ” (Cass. S. U. n. 21744/2009);

9.1. si è quindi consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui l’adozione da parte della P.A. di un atto negoziale di diritto privato di gestione del rapporto, con il quale venga attribuito al lavoratore un determinato trattamento economico, non è sufficiente, di per sè, a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, giacchè la misura economica deve trovare necessario fondamento nella contrattazione collettiva, con la conseguenza che il diritto si stabilizza in capo al dipendente solo qualora l’atto sia conforme alla volontà delle parti collettive (cfr. fra le tante Cass. n. 17226/2020; Cass. n. 21166/2019; Cass. n. 15902/2018; Cass. n. 25018/2017; Cass. 16088/2016 e la giurisprudenza ivi richiamata);

9.2. nel caso di specie, pertanto, poichè è incontestato che la Regione Calabria non avesse, all’epoca, ancora ultimato l’iter di graduazione delle funzioni dirigenziali, nel rispetto della contrattazione collettiva di comparto, correttamente il giudice d’appello ha escluso che l’appellante avesse titolo per rivendicare una retribuzione di posizione di importo maggiore rispetto a quello indicato nel contratto individuale e superiore, altresì, ai valori minimi stabiliti dal CCNI, per la dirigenza del comparto enti locali;

10. infine è inammissibile anche il quinto motivo giacchè in tema di regolamento delle spese processuali il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri motivi (Cass. n. 24502/2017 e la giurisprudenza ivi richiamata);

11. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 12, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.200,00 per esborsi ed 3.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15 % ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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