Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16531 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 05/08/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 05/08/2016), n.16531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28323-2010 proposto da:

CREDIT SECURITIZATION LLC, (P.I. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 22, presso l’avvocato ALESSANDRO FUSILLO, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE DEI BENI CEDUTI AI CREDITORI DELLA

FEDERCONSORZI IN CONCORDATO PREVENTIVO, (C.F. (OMISSIS)), in persona

del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso l’avvocato GREGORIO IANNOTTA, che la

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1769/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2016 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato A. FUSILLO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Credit Securitization Llc ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la Liquidazione giudiziale dei beni ceduti ai creditori della Federazione italiana dei consorzi agrari s.c.r.l. in concordato preventivo ed ha chiesto, in via principale, di vedersi aggiudicato, ai sensi dell’art. 2932 c.c., un lotto di crediti, vantati da Federconsorzi nei confronti del Ministero delle Politiche Agricole, sul presupposto che, nel maggio 2003, esso fosse stato messo all’asta dalla Liquidazione giudiziale, domandando, in via subordinata, la condanna della stessa Liquidazione a procedere alla effettuazione di una gara tra gli offerenti, ovvero, in via di ulteriore subordine, al risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale.

A fondamento della domanda la società attrice ha riferito di aver partecipato ad una procedura d’asta, bandita dalla Liquidazione Federconsorzi, avente ad oggetto il menzionato lotto di crediti e di aver presentato la migliore offerta, che, tuttavia, la stessa Liquidazione non aveva accettato, adducendo l’inadeguatezza del corrispettivo offerto.

2. – Nel contraddittorio con la Liquidazione Federconsorzi, che ha resistito alla domanda ed ha chiesto condanna dell’attrice al risarcimento per lite temeraria, il Tribunale di Roma, con sentenza del 10 settembre 2005, ha rigettato sia la domanda dell’attrice, sia la domanda di danni ex art. 96 c.p.c. della convenuta.

3. – Credit Securitization Llc ha proposto appello al quale la Liquidazione Federconsorzi ha resistito e che la Corte d’appello di Roma ha respinto con sentenza del 26 aprile 2010.

La Corte territoriale ha osservato:

-) la Liquidazione Federconsorzi, nel procedere alla monetizzazione del proprio credito nei confronti del Ministero delle Politiche Agricole, aveva operato legittimamente, in conformità al decreto con cui il Tribunale di Roma aveva ordinato al Liquidatore di provvedere con la massima sollecitudine possibile alla vendita al miglior offerente dei cespiti residui per singoli lotti mediante trattative private, perseguendo altresì il massimo contenimento dei costi ed il massimo realizzo;

-) difatti, l’attività di liquidazione cui la convenuta era tenuta non era caratterizzata da alcuna rigidità, se non quella derivante dall’osservanza del menzionato provvedimento, in vista del raggiungimento di un risultato economicamente conveniente attraverso l’attività gestionale svolta;

-) perciò, il regolamento predisposto dal Liquidatore, che concerneva un invito ad offrire, non poteva essere censurato per il fatto che riservava alla Liquidazione la facoltà di accettare o rifiutare offerte pur formalmente e tempestivamente formulate;

-) nè, d’altronde, poteva ritenersi che la condotta della Liquidazione avesse violato ciò che Credit Securitization Llc aveva qualificato come “legittimo affidamento circa la serietà delle intenzioni manifestate”, giacchè la società sapeva bene che il credito vantato da Federconsorzi nei confronti del Ministero, pur ancora oggetto di contenzioso, ammontava a circa 10 volte l’importo offerto;

-) non era pertinente il richiamo alle disposizioni processuali in tema di vendite coattive, sia perchè l’assimilazione delle modalità delle vendite fallimentari a quelle del processo esecutivo poteva ricorrere solo in presenza di gare su offerte, sia perchè il Liquidatore deve attenersi alle modalità di vendita stabilite dal Tribunale;

-) la legittimità della clausola contenuta nel regolamento predisposto dalla Liquidazione, che consentiva alla medesima di valutare discrezionalmente se accettare o no le offerte ricevute, rendeva superflua qualsiasi ulteriore osservazione sulle eventuali conseguenze nascenti dalla ipotetica invalidità della medesima;

-) non sussisteva alcuna responsabilità precontrattuale della Liquidazione, sia perchè non vi era stata alcuna rottura ingiustificata delle trattative, sia perchè la disciplina di altre e diverse procedure di aggiudicazione non poteva essere assunta a regola generalmente valida;

-) il Tribunale, infine, aveva correttamente liquidato le spese di lite.

4. – Contro la sentenza Credit Securitization Llc ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi.

La Liquidazione giudiziale dei beni ceduti ai creditori della Federazione italiana dei consorzi agrari s.c.r.l. in concordato preventivo ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. – Il ricorso contiene sette motivi.

5.1. – Il primo motivo denuncia: “Violazione della L. Fall., art. 105 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La società ricorrente, dopo aver rammentato che alla Liquidazione Federconsorzi continua ad applicarsi il vecchio testo della L. Fall., art. 105, ha sostenuto che la Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare che l’assimilazione tra vendite fallimentari e vendite effettuate in sede di esecuzione forzata ricorresse solo in caso di utilizzazione di gare su offerte, potendo altrimenti il liquidatore del concordato con cessione dei beni ai creditori operare con la massima discrezionalità, senza alcun vincolo derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito. Nel motivo vengono richiamate alcune decisioni le quali dimostrerebbero l’erroneità della soluzione adottata dalla Liquidazione (Cass. 7 giugno 2002, numero 8278; Cass. 23 marzo 2001, numero 4184; Cass. 18 luglio 1996 numero 6478).

5.2. – Il secondo motivo denuncia: “Violazione della L. Fall., artt. 182 e 185 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo è volto a sostenere che il Liquidatore si sarebbe discostato dal provvedimento più volte menzionato del Tribunale, “il quale imponeva la vendita all’asta al miglior offerente e vietava, quindi, il ricorso alla anomala procedura dell’invito ad offrire” (pagina 16 del ricorso).

5.3. – Il terzo motivo denuncia: “Violazione del combinato disposto degli art. 1324, 1419 e 1355 c.c., art. 537 c.p.c., L. Fall., artt. 182 e 185 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

il motivo è diretto a sostenere che la Corte d’appello avrebbe violato le indicate norme laddove aveva respinto l’eccezione di nullità concernente la procedura dell’invito ad offrire, che consentiva sostanzialmente al Liquidatore di rifiutare la conclusione dell’aggiudicazione a suo mero ed insindacabile arbitrio.

5.4. – Il quarto motivo denuncia: “Violazione dell’art. 2932 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con esso viene dedotta omessa pronuncia sulla domanda di esecuzione in forma specifica che, secondo la ricorrente, dovrebbe essere accolta in sede di legittimità a mente dell’art. 384 c.p.c. con pronuncia sul merito.

5.5. – Il quinto motivo denuncia: “Insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (violazione del decreto del 24-26 aprile 2003) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.”.

Si sostiene che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il regolamento predisposto dalla Liquidazione costituisse violazione del decreto del Tribunale.

5.6. – Il sesto motivo denuncia: “Insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (legittimo affidamento all’aggiudicazione determinato dal decreto del 24-26 aprile 2003) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Secondo la ricorrente la Corte d’appello avrebbe motivato solo in parte sulla questione dell’affidamento riposto nell’aggiudicazione, non avendo considerato che il lotto aveva ad oggetto un credito senza garanzia di bonitas e veritas nominis, dichiarato come non dovuto da una sentenza del Tribunale di Roma.

5.7. – Il settimo motivo denuncia: “Violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.”.

Secondo la ricorrente la Corte d’appello avrebbe liquidato le spese di lite a suo solo carico senza considerare la circostanza della reciproca soccombenza e della domanda di risarcimento del danno per lite temeraria proposta dalla controparte.

6. – Il ricorso va respinto.

6.1. – Il primo motivo è inammissibile.

In realtà, la ratio decidendi posta a sostegno della decisione impugnata non misura la legittimità dell’operato della Liquidazione alla disciplina della L. Fall., art. 105 che, a dire il vero, nella sentenza impugnata non è affatto menzionato, nè direttamente, nè indirettamente, bensì al decreto del Tribunale che aveva imposto alla Liquidazione di vendere.

La Corte d’appello, cioè, ha ritenuto che detto decreto avesse ordinato al Liquidatore “di provvedere con la massima sollecitudine possibile alla vendita al miglior offerente del cespiti residui per singoli lotti mediante trattative private” (pagina 4 della sentenza), e che dunque il Liquidatore dovesse semplicemente attenersi ad esso: e cioè che dovesse vendere non all’asta, ma a trattativa privata, essendo in altri termini quella che la società ricorrente ha indicato come procedura d’asta, volta alla aggiudicazione del lotto, nient’altro che un invito a formulare offerte di acquisto del lotto in discorso, e cioè proposte contrattuali, proposte che, poi, la Liquidazione avrebbe potuto accettare oppure no, secondo la propria valutazione, ossia “tenendo anche presente il massimo contenimento dei costi ed il massimo realizzo” (pagina 4 della sentenza).

In altri termini, la Corte d’appello ha ritenuto che, all’esito dell’invito ad offrire, la Liquidazione potesse accettare l’offerta più vantaggiosa, se ritenuta conveniente, oppure non accettarla, se giudicata inadeguata, come è poi effettivamente avvenuto (la Corte d’appello sottolinea che l’offerta era di 25.000.000 di euro a fronte di un credito superiore di circa 10 volte; mentre la liquidazione, in verità, evidenzia a pagina 4 del controricorso che la Corte d’appello di Roma, con sentenza numero 5020 del 2004, avrebbe quantificato il credito al 30 giugno 2004 nel ben più cospicuo importo di Euro 511.878.997,39).

Ed in effetti il Tribunale, con il citato decreto, aveva per l’appunto ordinato al liquidatore di provvedere “con la massima sollecitudine possibile, alla vendita, al miglior offerente, dei cespiti residui per singoli lotti mediante trattative private, a seguito di adeguate misure di pubblicità senza che occorra, in ogni caso, alcuna ulteriore autorizzazione” (il decreto è trascritto alle pagine 24 e seguenti del ricorso, il brano che precede è tratto dal punto 1.3.)

Va da sè che la doglianza mira a censurare non già la valutazione compiuta dalla Corte d’appello in ordine all’operato della Liquidazione, bensì la scelta del Tribunale, operata con il menzionato decreto, ed alla quale la Liquidazione si è attenuta, di disporre la vendita a trattativa privata e, cioè, secondo una modalità che, dal punto di vista della ricorrente, la L. Fall., art. 105, nel testo applicabile, non consentirebbe.

Ma il sindacato di detto provvedimento si colloca al di fuori del tema della lite, non risultando che esso sia stato mai investito dall’originaria domanda attrice, e, in ogni caso, il suo esame è precluso, avuto riguardo al principio secondo cui i provvedimenti emessi in tema di vendita dei beni del debitore, nella fase esecutiva di un concordato preventivo per cessione dei beni costituiscono atti di giurisdizione esecutiva, assolvendo ad una funzione corrispondente a quella dei provvedimenti di analogo tenore emessi nell’ambito della liquidazione fallimentare, sono suscettibili di impugnazione – che in questo caso non risulta esservi stata – a norma degli artt. 617 e 618 c.p.c. (Cass., Sez. Un., 16 luglio 2008, n. 19506).

6.2. – Il secondo motivo è inammissibile.

Esso muove dall’assunto che il Tribunale avesse imposto “la vendita all’asta al miglior offerente” (pagina 16 del ricorso), mentre nel detto provvedimento è scritta una cosa completamente diversa, come si è già visto: “il liquidatore provvederà alla vendita al miglior offerente mediante trattative private”. Dunque senz’altro il liquidatore poteva adottare il congegno dell’invito ad offrire, esclusivamente volto ad individuare, tra gli altri, il miglior possibile acquirente, ferma restando la successiva stipulazione del contratto in esito alla valutazione di convenienza anche della migliore delle offerte proposte.

Anche in questo caso, dunque, la doglianza mira al riesame del provvedimento del Tribunale, riesame come si è già visto precluso in ossequio al principio formulato da Cass., Sez. Un., 16 luglio 2008, n. 19506.

6.3. – Il terzo motivo è inammissibile.

Secondo la ricorrente, in breve, il bando d’asta avrebbe contenuto una condizione di gradimento mero, come tale invalida.

Ed invece, una volta stabilito che la ratio decidendi adottata dalla Corte d’appello si riassume nella conformità dell’operato della Liquidazione al decreto del Tribunale, che ordinava la vendita a trattativa privata, sicchè la procedura di invito ad offrire era esclusivamente volta all’individuazione di possibili acquirenti con i quali eventualmente concludere il relativo contratto, non resta che osservare nuovamente come il motivo abbia in realtà ad oggetto ancora una volta, inammissibilmente, il provvedimento del Tribunale.

6.4. – Il quarto motivo è assorbito.

Dichiarata l’inammissibilità dei primi tre motivi, e stabilito che il Liquidatore doveva procedere nell’osservanza del decreto del Tribunale, nessuna obbligazione di conclusione del contratto di trasferimento del lotto in discorso, suscettibile di esecuzione specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c., poteva dirsi sorta.

6.5. – Il quinto motivo è inammissibile.

Il riferimento – contenuto nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 applicabile ratione temporis) – al “fatto controverso e decisivo per il giudizio” implicava che la motivazione della quaestio facti fosse affetta non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che fosse tale da determinare la logica insostenibilità della motivazione (Cass. 20 agosto 2015, n. 17037).

Nel caso di specie, per la verità, l’interpretazione data dalla Corte d’appello al decreto del Tribunale è del tutto conforme al dato letterale, che non sembra affatto richiedesse ulteriori approfondimenti. In ogni caso, sta di fatto che, posti i limiti al sindacato motivazionale appena richiamati, ciò che la ricorrente sollecita è un complessivo riesame del merito della vicenda evidentemente precluso alla Corte di cassazione.

6.6. – Il sesto motivo, che è inammissibile per difetto del requisito di autosufficienza, dal momento che fa riferimento ad una sentenza del Tribunale di Roma, resa in ordine alla sussistenza del credito oggetto del lotto in discussione, della quale nulla si sa, e che è ulteriormente inammissibile perchè omette totalmente di cimentarsi con la ratio decidendi espressamente indicata dalla Corte d’appello, la quale ha osservato che non vi era stata alcuna rottura ingiustificata di trattative, è in ogni caso infondato, dal momento che, rammentati i limiti del sindacato motivazionale poc’anzi evidenziati, la Corte d’appello ha soddisfacentemente osservato, inoltre, che Credit Securitization Llc non poteva attendersi di concludere con certezza l’affare, visto che aveva offerto una somma di circa un decimo del credito.

6.7. – Il settimo motivo è infondato.

La ricorrente ha fatto confusione tra la pronuncia del Tribunale quella della Corte d’appello: è il Tribunale che ha rigettato la domanda di danni per lite temeraria della Liquidazione ed ha posto le spese di lite integralmente a carico dell’originaria attrice, mentre la Corte d’appello (nella cui sentenza non c’è traccia di una domanda spiegata in appello dalla Liquidazione di danni per lite temeraria) ha invece rigettato il motivo con cui la stessa società aveva lamentato che detta statuizione fosse stata adottata.

Ciò detto, ove pure volesse ammettersi che la ricorrente abbia inteso censurare il rigetto del motivo di impugnazione e spiegato un appello in ordine alle spese, tale doglianza sarebbe chiaramente infondata, dal momento che la soccombenza reciproca non impone di compensare le spese, ma consente soltanto di farlo.

7. – Le spese seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al rimborso, in favore della Liquidazione controricorrente, delle spese sostenute per questo grado del giudizio, liquidate in Euro 38.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre Iva e quant’altro dovuto per legge.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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