Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1653 del 23/01/2018


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Cassazione civile, sez. un., 23/01/2018, (ud. 21/11/2017, dep.23/01/2018),  n. 1653

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza dell’8-26/3/2013, la Corte d’appello di Torino ha respinto l’impugnazione proposta da R.C.C., R.S.A. e T.M., anche in qualità di eredi di R.M.R.P., nei confronti della Banca Sella s.p.a., avverso la sentenza del Tribunale, che aveva rigettato le domande avanzate dai R.- T. intese ad ottenere la nullità o l’annullamento o in subordine la risoluzione per inadempimento, con le consequenziali condanne restitutorie, dei contratti/ordini di finanziamento e di investimento/disinvestimento, riconducibili all’ operatività di un complesso rapporto finanziario, iniziato nel marzo 1997.

La Corte territoriale, considerato che nel contratto di gestione CAP-consulenza ed amministrazione di portafogli- sottoscritto dai R. e dalla T. il 20/4/1998, ma privo della sottoscrizione del funzionario della banca, risultava apposta l’espressa dichiarazione degli investitori del seguente tenore: “dichiariamo che un esemplare del presente contratto ci viene rilasciato debitamente sottoscritto per accettazione dai soggetti abilitati a rappresentarvi”, ne ha tratto il perfezionamento del mandato di gestione mediante lo scambio della modulistica comportante, secondo la prassi, il trattenimento da ciascuna delle parti della copia sottoscritta dall’altra, e ha riscontrato l’effettivo incontro della volontà negoziale delle parti, dando rilievo alla sottoscrizione degli investitori ed alla pacifica esecuzione da parte della banca di numerose operazioni di investimento/disinvestimento su incarico dei clienti.

Ciò posto, la Corte del merito, premesso che la sanzione di nullità relativa, invocabile solo dal cliente, non era prevista nel precedente L. n. 1 del 1991, art. 6, che la forma scritta e la relativa sanzione, non prescritte dalle fonti comunitarie (art. 11 Direttiva n.93/22/CEE del 10 maggio 1993, e art.19 Direttiva 2004/39/CE del 21/4/2004, cd. Direttiva MIFID), sono state introdotte dal D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, art. 18, con disposizione successivamente trasfusa nel D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, ha ritenuto di dovere interpretare dette prescrizioni, a ragione dello scopo e della funzione delle stesse, in maniera non conforme alla disciplina generale della nullità contrattuale per difetto di forma ad substantiam, attesa la prevalenza nell’ambito dell’intermediazione finanziaria dell’esigenza di eliminare le asimmetrie informative che pongono, di per sè, il cliente in una posizione di inferiorità e di debolezza contrattuale.

La causa di nullità di cui si tratta, continua il Giudice del merito, a fini peraltro meramente classificatori, potrebbe realisticamente accostarsi per alcuni aspetti all’annullabilità del contratto ed alla nullità di protezione del codice del consumoD.Lgs. n. 206 del 2005, ex art. 36, e la peculiarità della nullità in oggetto è riscontrabile, volta che si consideri che, a ritenere la nullità per vizio genetico, l’investitore non potrebbe selettivamente far valere detto vizio solo per alcune operazioni, pena l’esercizio strumentale ed abusivo del diritto.

Per la Corte torinese, pertanto, non è invocabile dall’investitore la nullità per difetto di forma, stante il pacifico perfezionamento della volontà negoziale e la sottoscrizione da parte del cliente del contratto, con la relativa consegna a sue mani di un esemplare.

Nè rilevava che il contratto-quadro del 20/4/1998 in oggetto fosse intervenuto alcuni mesi dopo l’inizio del rapporto di cui al “primo” contratto – quadro del 12/3/1997, nè poteva ritenersi che il contratto del 1998 fosse privo delle indicazioni obbligatorie per legge e regolamento.

Il Giudice del merito ha inoltre escluso che le singole operazioni di investimento potessero essere nulle per difetto di forma scritta, per essere atti meramente esecutivi del mandato costituito dal contratto-quadro (nè le parti avevano previsto per le stesse la forma scritta in via convenzionale) e che la banca avesse travalicato i limiti del mandato di gestione, vista l’attribuzione alla stessa del potere/dovere di compiere nell’interesse dei clienti ogni tipo di operazione rientrante nelle linee di gestione prescelte.

Secondo la Corte torinese, la banca aveva fornito la prova di avere adempiuto agli obblighi informativi sulla stessa gravanti, D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 23 e artt. 28 e 29 del Regolamento Consob 11522/98, sia con riferimento alla profilatura dei clienti che alla natura degli strumenti finanziari ed al loro elevato livello di rischio, visti gli specifici contenuti degli artt. 3, 5 e 8 del contratto- quadro del 1997, le precipue indicazioni di cui al contratto sostitutivo del 1998, gli adeguamenti e gli aggiornamenti informativi nel corso del rapporto, nonchè la stessa lettera inviata da R.M. alla banca il 26/3/1997, riferita al rapporto di intermediazione intestato anche agli altri componenti della famiglia.

Le scelte di investimento effettuate dalla banca nell’ambito del mandato erano state altresì adeguate ed in linea con gli obiettivi di investimento e con la propensione al rischio dei clienti, come anche riscontrabile dalle telefonate dell’investitore R.M., a nome e per conto anche dei familiari.

Quanto infine al conflitto di interessi, la Corte del merito, posta la previsione di cui all’art. 8 del contratto- quadro, con cui gli investitori avevano autorizzato la banca ad eseguire operazioni nelle quali questa aveva direttamente o indirettamente interessi in conflitto, ha escluso la sussistenza del nesso causale tra le operazioni ed il danno in relazione alle negoziazioni in contropartita diretta ed alla posizione di finanziatrice della Banca; ha ritenuto infondata la doglianza relativa all’asserito inadempimento all’obbligo di comunicazione delle perdite, difettando l’indicazione dei periodi nei quali queste sarebbero maturate, tanto più considerata la durata del rapporto, così come quella intesa a far valere l’inadempimento a quanto disposto dall’art. 32, commi 4 e 5, del Regolamento Consob 11522/1998.

La Corte ha infine aggiunto che non era stato provato dai sigg. R.- T. il nesso causale tra i pretesi inadempimenti e le perdite subite.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, C.C. e R.S.A., nonchè T.M..

Si è difesa la Banca Sella s.p.a. con controricorso, illustrato con la memoria ex art. 378 c.p.c..

Alla pubblica udienza del 12/4/2017, il P.G. ha chiesto la rimessione alle sezioni unite, in subordine, il rigetto del ricorso.

Con ordinanza interlocutoria n. 10447 del 27/4/2017, la prima sezione ha rimesso la causa al primo presidente, per l’eventuale rimessione alle sezioni unite, sulla “questione di massima di particolare importanza se, a norma del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, il requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga, accanto a quella dell’investitore, anche la sottoscrizione ad substantiam dell’intermediario”.

Il primo presidente ha disposto l’assegnazione del ricorso alle sezioni unite.

In prossimità dell’udienza pubblica, i R.- T. hanno depositato la memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. I ricorrenti, col primo motivo, denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1321,1325,1350 e 1418 c.c., del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23 e del Regolamento Consob n.11522/98.

Premesso che, a ritenere che il modulo prodotto in atti costituisca proposta dei clienti ovvero accettazione degli stessi di una precedente proposta della banca, mancherebbe pur sempre la parte di contratto che la banca avrebbe dovuto sottoscrivere, i ricorrenti denunciano le violazioni indicate per avere la Corte del merito ritenuto non necessaria la sottoscrizione del contratto- quadro da parte della banca, in quanto lo scopo della norma sarebbe solo quello di permettere al cliente di conoscere le regole e le modalità di svolgimento del rapporto, degradando sostanzialmente la nullità ad annullabilità ed introducendo la figura del contratto obbligatorio per una sola delle parti, tra l’altro quella che assume i principali obblighi. Nè, secondo i ricorrenti, la banca si potrebbe avvalere del principio di equipollenza tra la mancata sottoscrizione e la produzione in giudizio, visto che su tale punto la stessa non ha appellato; inoltre, il modulo prodotto dalla banca è solo una parte del contratto, che si sarebbe dovuto concludere per scambio di corrispondenza, ed il contratto non è solo il documento col quale una parte rende note all’altra le condizioni convenute, ma è l’accordo che deve avere nel caso la forma scritta ad substantiam.

2.2. Col secondo mezzo, i sigg. R.- T. si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1366 c.c., D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 23 e 24, artt. 30, 32, 33, 34, 35, 36 e ss., artt. 37 ss., art. 47 Regolamento Consob n.11522/98, per avere la Corte d’appello ritenuto quale contratto- quadro quello del 20/4/1998; sostengono che la cd. gestione patrimoniale è un contratto tipico e nominato nell’ambito dei contratti bancari, caratterizzato da funzione gestoria, disciplinato dal t.u.f. e dal Regolamento Consob 11522/1998 (artt. 37, 38, 39, 40 e 41 e 42) e solo in via residuale, dalle norme sul mandato; rilevano che il contratto in oggetto avrebbe richiesto a monte una stipulazione più ampia e corrispondente alle caratteristiche fissate dagli artt. 23 t.u.f. e 30-47 del Regolamento Consob cit..

2.3. Col terzo mezzo, fanno valere il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 21 e 23 t.u.f., 28 e 29 del Regolamento Consob n.11522/1998, per avere la Corte torinese ritenuto provato dalla banca l’assolvimento degli obblighi informativi, basandosi su documenti inidonei allo scopo.

In particolare, i ricorrenti rilevano che la banca ha prodotto tre schede di cd. propensione al rischio datate 2002 e 2006 (successive all’inizio delle operazioni di investimento, incomplete e contraddittorie), e due attestati di ricezione del documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari(irrilevanti, non essendo noto il contenuto del documento sui rischi generali); che dalla apparente profilatura dei clienti non poteva conseguire alcuna attenuazione dell’obbligo informativo, nè il mancato adempimento dell’obbligo informativo poteva essere sanato da dichiarazioni ex post, come ritenuto dalla Corte di merito col riferimento al prospetto riassuntivo senza data a firma di R.M., relativo ad operazione del periodo maggio 2001-settembre 2002, ed alla dichiarazione dello stesso alla banca del 26/3/1997, non costituente confessione.

2.4. Col quarto motivo, i ricorrenti denunciano il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1222 e 2697 c.c. e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, sostenendo che è in re ipsa il nesso eziologico tra gli inadempimenti ed il danno conseguente al carattere omissivo della condotta ex art. 1222 c.c., sostanziandosi l’illecito nella violazione dell’obbligo.

3.1. Prima di affrontare l’esame della questione sottoposta a queste sezioni unite dall’ordinanza di rimessione e che è correlata al primo motivo di ricorso, va esaminato il secondo motivo, che prospetta prioritariamente l’errore della Corte del merito, consistente nell’avere ritenuto il contratto del 1998 quale contratto-quadro, mentre, a detta dei ricorrenti, la gestione di portafogli di investimento avrebbe richiesto una stipulazione a monte più ampia, in accordo con quanto disposto dall’art. 23 t.u.f. e art. 30-47 del Regolamento Consob 11522/1998, rispetto alla quale la gestione patrimoniale si pone come un’ulteriore specificazione (tant’è che gli artt. 37 e 47 del Regolamento per detta tipologia di contratto prevedono ai rispettivi punti sub 1) che “In aggiunta a quanto previsto dall’art.30, il contratto con gli investitori deve indicare…”).

Per la Corte territoriale, invece, il contratto esaminato contiene tutte le indicazioni obbligatorie per legge e per regolamento, in particolare, le prescrizioni di cui all’art. 30 del Regolamento Consob 11522, e presenta l’analitica descrizione delle condizioni del mandato di gestione di portafogli di investimento (sez. 2), e delle caratteristiche delle linee di investimento perseguibili (sez. 3).

Ciò posto, va rilevato che, ai sensi del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 1, comma 5, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi della L. 6 febbraio 1996, n. 52, artt. 8 e 21, nella formulazione applicabile ratione temporis (la chiusura del rapporto di gestione risale all’autunno 2006), anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 164 a decorrere dal 1/11/2007, costituiscono “servizi di investimento”, quando hanno ad oggetto strumenti finanziari:

“(a) negoziazione per conto proprio;

(b) negoziazione per conto terzi;

c) collocamento con o senza preventiva sottoscrizione o acquisto a fermo, ovvero assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente;

d) gestione su base individuale di portafogli in investimento per conto terzi;

e) ricezione e trasmissione di ordini nonchè mediazione”.

Ai sensi dell’art. 23 del t.u.f., nella formulazione applicabile nella specie e per la parte che qui interessa: “1.I contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. La Consob, sentita la Banca d’Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma…”.

L’art. 24 del t.u.f. prevede specifiche regole che si applicano al servizio di gestione di portafogli.

L’art. 30 del Regolamento Consob 11522/1998 dispone che “1. Gli intermediari autorizzati non possono fornire i propri servizi se non sulla base di un apposito contratto scritto; una copia di tale contratto è consegnata all’investitore.

2. Il contratto con l’investitore deve:

a) specificare i servizi forniti e le loro caratteristiche;

b) stabilire il periodo di validità e le modalità di rinnovo del contratto, nonchè le modalità da adottare per le modificazioni del contratto stesso;

c) indicare le modalità attraverso cui l’investitore può impartire ordini e istruzioni;

d) prevedere la frequenza, il tipo e i contenuti della documentazione da fornire all’investitore a rendiconto dell’attività svolta;

e) indicare e disciplinare, nei rapporti di negoziazione e ricezione e trasmissione di ordini, le modalità di costituzione e ricostituzione della provvista o garanzia delle operazioni disposte, specificando separatamente i mezzi costituiti per l’esecuzione;

f) indicare le altre condizioni contrattuali eventualmente convenute con l’investitore per la prestazione del servizio.

3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alla prestazione dei servizi:

a) di collocamento, ivi comprese quelli di offerta fuori sede e di promozione e collocamento a distanza;

b) accessori, fatta eccezione per quelli di concessione di finanziamenti agli investitori e di consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari”.

Seguono al capo 2 le norme specifiche per la prestazione dei singoli servizi e nella sezione 4, Gestione di portafogli, l’art. 37 prevede gli ulteriori contenuti del contratto in oggetto ” In aggiunta a quanto stabilito dall’articolo 30…”.

Ora, dal contenuto specifico ed ulteriore che per norma regolamentare deve avere il contratto di gestione di portafogli rispetto al contenuto base fissato dall’art. 30, i ricorrenti vorrebbero far discendere una duplicazione contrattuale, che non trova alcuna base normativa, dato che la disciplina regolamentare si limita a prescrivere un contenuto aggiuntivo per il tipo di contratto di cui si tratta, rispetto a quello dettato per il contratto-quadro di base.

Ed infatti, la previsione normativa della stipulazione di un contratto-quadro, cui far seguire atti negoziali esecutivi(concepita essenzialmente per i servizi di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini), non esclude la possibilità di compendiare in un unico documento contrattuale il contenuto del contratto-quadro e quello del contratto di gestione di portafogli, a condizione che il documento contenga anche gli elementi necessari di detto ultimo contratto, che per sua natura ben può venire in essere nel momento stesso in cui si realizza il primo contatto negoziale tra l’intermediario ed il cliente.

Come sopra evidenziato, l’art. 37 del Regolamento Consob cit. si limita a prescrivere un contenuto aggiuntivo per il tipo di contratto di cui si tratta, rispetto a quello dettato per il contratto di base, senza affatto prevedere la necessità – che del resto sarebbe priva di un qualche fondamento razionale – di una duplicazione dei documenti contrattuali.

Ne consegue che, avendo la Corte del merito accertato che, nella specie, il contratto di gestione di portafoglio stipulato dalle parti aveva il contenuto normativamente prescritto anche per il contratto-quadro, la doglianza dei ricorrenti appare destituita di fondamento.

3.2. Il secondo motivo pone la questione di diritto per la quale sono state investite le sezioni unite.

Va a riguardo premesso che, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, nella formulazione applicabile nella specie, e per la parte che qui rileva “1.I contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. La Consob,sentita la Banca d’Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo.

2. E’ nulla ogni pattuizione…

3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 la nullità può essere fatta valere solo dal cliente…”.

Detto disposto normativo pone la questione, specifico oggetto di rimessione da parte della 1 sezione civile con l’ordinanza del 27/4/2017, n. 10447, “se il requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga, oltre alla sottoscrizione dell’investitore, anche la sottoscrizione ad substantiam dell’intermediario”.

Ai fini della compiuta valutazione del profilo che qui specificamente interessa, va ricordato che il contratto agli atti, su cui si è sviluppato il contenzioso tra le parti, denominato “contratto di gestione CAP, consulenza ed amministrazione di portafogli” del 20/4/1998 porta la sola sottoscrizione dei clienti, e vi è contenuta la dichiarazione degli stessi del seguente tenore: “dichiariamo che un esemplare del presente contratto ci viene rilasciato debitamente sottoscritto per accettazione dai soggetti abilitati a rappresentarvi”.

Il contratto-quadro, già previsto dal L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6 nonchè dal successivo D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, art. 18, così qualificato in quanto destinato a costituire la regolamentazione dei servizi alla cui prestazione si obbliga l’intermediario verso il cliente, è stato ritenuto nella giurisprudenza di legittimità accostabile per alcuni aspetti al mandato, derivandone obblighi e diritti reciproci dell’intermediario e del cliente, e le successive operazioni sono state considerate quali momenti attuativi dello stesso(così le pronunce Sez.U. 19/12/2007, nn.26724 e 26725).

Per costante giurisprudenza, il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, laddove parla di forma scritta a pena di nullità, si riferisce ai contratti-quadro e non ai singoli servizi di investimento o disinvestimento, la cui validità non è soggetta a requisiti formali, salvo la diversa previsione convenzionale nel contratto-quadro (in tal senso, si richiamano le pronunce del 9/8/2017, n. 19759; del 2/8/2016, n. 16053; del 29/2/2016, n. 3950, del 13/1/2012, n. 384 e del 22/12/2011, n.28432).

Ne consegue che la questione della nullità per difetto di forma scritta nell’intermediazione finanziaria riguarda, salvo eccezioni del regolamento negoziale, unicamente il contratto-quadro, che è alla base delle singole operazioni concluse nel tempo.

Per la nullità del contratto- quadro qualora sia prodotto, come nella specie, un modulo sottoscritto solo dall’investitore, si è pronunciata ripetutamente la sezione semplice, con le recenti pronunce del 24/2/2016, n. 3623; del 24/3/2016, n. 5919; dell’11/4/2016, n. 7068; del 27/4/2016, nn. 8395 e 8396; del 19/5/2016, n. 10331 (da ultimo, la decisione del 3/1/2017, n. 36 si è espressa in senso conforme in relazione all’analoga disposizione di cui al D.Lgs. 24 settembre 1993, n. 385, art. 117).

In particolare, nell’ampia e complessa motivazione, la sentenza 5919/2016, premesso che ben si sarebbe potuto provare il contratto in forma scritta anche in presenza di sottoscrizioni delle parti contenute in documenti distinti, purchè risultante il collegamento inscindibile tra gli stessi, così da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo, ha applicato il principio di carattere generale, secondo cui se è prevista la forma scritta ad substantiam, il contratto deve essere provato a mezzo della produzione in giudizio; si è poi concentrata sulla possibilità, negata, di desumere la conclusione del contratto dalla dichiarazione sottoscritta dalla cliente di avere ricevuto copia del contratto sottoscritta dal soggetto abilitato a rappresentare la banca; ha di seguito ritenuto preclusa la prova testimoniale, non ricorrendo il caso della perdita incolpevole ex art. 2724 c.c., n. 3, quella per presunzioni ex art. 2729 c.c., ed a mezzo del giuramento ex art. 2739 c.c.; ha escluso infine che potesse invocarsi nella specie il principio secondo il quale la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l’ha sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione, dato che si sarebbe in tal modo potuto ritenere perfezionato il contratto, ma solo con effetti “ex nunc” e non “ex tunc”.

Su detto ultimo profilo, vale la pena di segnalare la difforme pronuncia del 22/3/2012, n. 4564, che, in relazione al contratto di conto corrente bancario, disciplinato dall’analoga normativa D.Lgs. n. 385 del 1993, ex artt. 117 e 127, ha escluso la nullità per difetto di forma, rilevando che il contratto aveva avuto pacifica esecuzione, visti gli ordini di investimento e la comunicazione degli estratti conto, e richiamando il principio secondo il quale la produzione in giudizio del contratto realizza un valido equivalente della sottoscrizione mancante, purchè la parte che ha sottoscritto non abbia in precedenza revocato il proprio consenso ovvero sia deceduta.

A detto precedente si è rifatta l’ordinanza del 7/9/2015, n. 17740, per ritenere valida la clausola compromissoria prevista nel contratto di intermediazione finanziaria.

Dette due pronunce sono sostanzialmente isolate, tanto che la questione che qui specificamente interessa è stata correttamente portata all’attenzione delle sezioni unite come di massima di particolare importanza ex art. 374 c.p.c., comma 2, e non per dirimere un contrasto tra le sezioni semplici o all’interno della stessa sezione.

Tanto premesso, deve aversi in primis riguardo al profilo della nullità, come prevista dalla normativa richiamata, ponendosi, solo ove debba concludersi per il vizio radicale, l’ulteriore questione dell’equipollenza a mezzo della produzione in giudizio della scrittura.

A riguardo, pur non attribuendosi alla formulazione letterale della norma efficacia dirimente, va evidenziato che nell’art. 23 t.u.f. si enfatizza la redazione per iscritto, e, per dato normativo chiaramente espresso, si considerano sullo stesso piano detta redazione e la consegna di un esemplare al cliente, che è l’unica parte che può far valere la nullità.

Si è quindi in presenza di un precetto normativo che in modo inequivoco prevede la redazione per iscritto del contratto relativo alla prestazione dei servizi di investimento e la consegna della scrittura al cliente, a cui solo si attribuisce la facoltà di far valere la nullità in caso di inosservanza della forma prescritta.

Le previsioni in oggetto rendono ben chiara la ratio della norma.

La nullità per difetto di forma è posta nell’interesse del cliente, così come è a tutela di questi la previsione della consegna del contratto, il cui contenuto, previsto di base dall’art.30 del Regolamento Consob, siccome prevedente le modalità di svolgimento del rapporto, deve rimanere a disposizione dell’investitore.

Si coglie quindi la chiara finalità della previsione della nullità, volta ad assicurare la piena indicazione al cliente degli specifici servizi forniti, della durata e delle modalità di rinnovo del contratto e di modifica dello stesso, delle modalità proprie con cui si svolgeranno le singole operazioni, della periodicità, contenuti e documentazione da fornire in sede di rendicontazione, ed altro come specificamente indicato, considerandosi che è l’investitore che abbisogna di conoscere e di potere all’occorrenza verificare nel corso del rapporto il rispetto delle modalità di esecuzione e le regole che riguardano la vigenza del contratto, che è proprio dello specifico settore del mercato finanziario. Va da sè che la finalità protettiva nei confronti dell’investitore si riverbera in via mediata sulla regolarità e trasparenza del mercato del credito.

L’avere individuato la ragione giustificatrice della prescrizione normativa non vale peraltro a risolvere di per sè la questione che qui interessa, ma sostanzialmente ad indirizzare l’interpretazione dei profili che qui si pongono, e cioè il rapporto tra il perfezionamento del contratto e la forma con cui questo si estrinseca, e tra il documento in forma scritta come espressione della regolamentazione del rapporto e la sottoscrizione come riferibilità dell’atto.

Il vincolo di forma imposto dal legislatore (tra l’altro composito, in quanto vi rientra, per specifico disposto normativo, anche la consegna del documento contrattuale), nell’ambito di quel che è stato definito come neoformalismo o formalismo negoziale, va inteso infatti secondo quella che è la funzione propria della norma e non automaticamente richiamando la disciplina generale sulla nullità.

Ora, a fronte della specificità della normativa che qui interessa, correlata alla ragione giustificatrice della stessa, è difficilmente sostenibile che la sottoscrizione da parte del delegato della banca, volta che risulti provato l’accordo(avuto riguardo alla sottoscrizione dell’investitore, e, da parte della banca, alla consegna del documento negoziale, alla raccolta della firma del cliente ed all’esecuzione del contratto) e che vi sia stata la consegna della scrittura all’investitore, necessiti ai fini della validità del contratto-quadro.

Ed infatti, atteso che, come osservato da attenta dottrina, il requisito della forma ex art. 1325 c.c., n. 4 va inteso nella specie non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità propria della normativa, ne consegue che il contratto-quadro deve essere redatto per iscritto, che per il suo perfezionamento deve essere sottoscritto dall’investitore, e che a questi deve essere consegnato un esemplare del contratto, potendo risultare il consenso della banca a mezzo dei comportamenti concludenti sopra esemplificativamente indicati.

Si impone a questo punto un’ulteriore osservazione: tradizionalmente, alla sottoscrizione del contratto si attribuiscono due funzioni, l’una rilevante sul piano della formazione del consenso delle parti, l’altra su quello dell’attribuibilità della scrittura, e l’art. 2702 c.c. rende chiaro come la sottoscrizione, quale elemento strutturale dell’atto, valga ad attestare la manifestazione per iscritto della volontà della parte e la riferibilità del contenuto dell’atto a chi l’ha sottoscritto.

Tale duplice funzione è nell’impianto codicistico raccordata alla normativa di cui agli artt. 1350 e 1418 c.c., che pone la forma scritta sul piano della struttura, quale elemento costitutivo del contratto, e non prettamente sul piano della funzione; la specificità della disciplina che qui interessa, intesa nel suo complesso e nella sua finalità, consente proprio di scindere i due profili, del documento, come formalizzazione e certezza della regola contrattuale, e dell’accordo, rimanendo assorbito l’elemento strutturale della sottoscrizione di quella parte, l’intermediario, che, reso certo il raggiungimento dello scopo normativo con la sottoscrizione del cliente sul modulo contrattuale predisposto dall’intermediario e la consegna dell’esemplare della scrittura in oggetto, non verrebbe a svolgere alcuna specifica funzione.

Nè l’interpretazione qui seguita incide sulla doverosa, specifica ponderazione con cui l’investitore sceglie di concludere il contratto-quadro nè porta a concludere per un singolare contratto “a forma scritta obbligatoria per una sola delle parti e con effetti obbligatori solo per l’altra parte che nulla ha invece sottoscritto”, scenario che non tiene conto della precipua ricostruzione imposta dalla normativa e che omette integralmente di considerare che la nullità può essere fatta valere solo dall’investitore.

Nella ricostruzione che qui si è offerta, inoltre, la previsione della nullità, azionabile solo dal cliente, in caso di inosservanza dei requisiti di forma della redazione per iscritto e della consegna dell’esemplare alla parte, si palesa quale sanzione per l’intermediario, ben armonizzandosi nello stesso contesto del D.Lgs. n. 58 del 1998, che è nel complesso inteso a dettare regole di comportamento per l’intermediario, e rispetta il principio di proporzionalità, della cui tenuta si potrebbe dubitare ove si accedesse alla diversa interpretazione (e sulla rilevanza cardine del principio di proporzionalità queste sezioni unite si sono di recente espresse, sia pure nell’ambito della responsabilità civile, ai fini del riconoscimento di sentenza straniera comminatoria di danni punitivi nella pronuncia del 5/7/2017, n. 16601).

E’ stato sostenuto da autorevole dottrina che la normativa in oggetto sarebbe intesa non solo alla tutela del cliente, ma risponderebbe anche all’esigenza di garantire una buona organizzazione interna della banca, da ciò conseguendo la nullità del contratto-quadro ove privo della sottoscrizione del delegato dell’istituto di credito: tale ricostruzione, pur muovendo dall’esigenza di modificare in melius prassi organizzative non del tutto commendevoli, oltre a non trovare un solido fondamento nella normativa che qui si esamina, sembrando una sorta di giustificazione a posteriori della nullità, si muove in un’ottica esasperatamente sanzionatoria, e perviene ad un risultato manifestamente sproporzionato rispetto alla funzione a cui la forma è qui preordinata.

A riguardo, ragionando in termini più generali, può affermarsi che nella ricerca dell’interpretazione preferibile, siccome rispondente al complesso equilibrio tra interessi contrapposti, ove venga istituita dal legislatore una nullità relativa, come tale intesa a proteggere in via diretta ed immediata non un interesse generale, ma anzitutto l’interesse particolare, l’interprete deve essere attento a circoscrivere l’ambito della tutela privilegiata nei limiti in cui viene davvero coinvolto l’interesse protetto dalla nullità, determinandosi altrimenti conseguenze distorte o anche opportunistiche.

L’interpretazione seguita è altresì in linea con le disposizioni dell’ordinamento Europeo, che nell’art. 19, par. 7 della direttiva 2004/39/CE del Parlamento e del Consiglio del 21/4/2004 (Mifid 1), recepita dal d.lgs. 17/9/2007, n.164, così come nell’art. 25, par. 5 della direttiva 2014/65/UE (Mifid 2), a cui è stata data attuazione con il D.Lgs. 3 agosto 2017, n. 129, al fine di perseguire gli obiettivi di trasparenza e di tutela degli investitori, punta l’accento sulla registrazione del o dei documenti concordati, in tal modo evidenziandosi la necessità che risulti la verificabilità di quanto concordato.

Nè la conclusione muterebbe a ritenere ancora in vigore l’art.39 della direttiva 2006/73/CE del 10/8/2006, con il riferimento all'”accordo di base scritto, su carta o su altro supporto durevole, con il cliente, in cui vengano fissati i diritti e gli obblighi essenziali dell’impresa e del cliente”.

Conclusivamente, va affermato il seguente principio di diritto:

“Il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti”.

3.3. Il terzo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.

Va innanzi tutto rilevato che la Corte d’appello ha applicato il principio di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6, ritenendo la banca gravata dell’onere di provare di avere agito con la specifica diligenza richiesta, ed ha altresì inteso tale specificità alla stregua delle norme regolamentari, di cui agli artt. 28 e 29 del Regolamento Consob 11522/98.

Partendo da tali principi, la Corte del merito ha valutato le risultanze in atti, dando conto non solo dei contenuti specifici del contratto-quadro, ma anche della lettera del 26/3/97 di R.M., riferita anche agli altri componenti della famiglia, degli aggiornamenti ed adeguamenti nel corso del rapporto, delle telefonate di R.M., di talchè è del tutto infondata la doglianza dei ricorrenti, di essere pervenuto il Giudice del merito ad una conclusione apodittica. Nel resto, il motivo è inammissibile, atteso che la parte si è limitata a sostenere un’interpretazione diversa dei fatti, a fronte della valutazione degli stessi da parte della Corte territoriale, richiedendo un nuovo giudizio di merito, laddove il controllo di legittimità non equivale alla revisione del ragionamento decisorio nè costituisce un terzo grado ove far valere la supposta ingiustizia della decisione impugnata (così le pronunce delle Sez. U., del 7/4/2014, n.8053 e del 29/3/2013, n. 7931).

E detta differente valutazione, già inammissibile come motivo di ricorso nel regime di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 anteriore alla modifica apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, lo è ancor più a seguito della riforma, applicabile nella specie ratione temporis, atteso che, come ritenuto nella pronuncia delle Sez. U. del 2/4/2014, n. 8053, è oggi denunciabile soltanto l’omesso esame di un fatto decisivo, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, nei limiti in cui l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente alla esistenza in sè della motivazione, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto delle altre risultanze processuali (nelle ipotesi quindi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” di motivazione).

3.4. Il quarto mezzo resta assorbito.

4.1. Conclusivamente, va respinto il ricorso; atteso il mutamento di giurisprudenza operato con la presente decisione, si reputa di compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte respinge il ricorso; compensa tra le parti le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2018

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