Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16528 del 31/07/2020

Cassazione civile sez. II, 31/07/2020, (ud. 11/07/2019, dep. 31/07/2020), n.16528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5300-2017 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICOTERA,

29, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ASSUMMA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO MARIA

MASTRACCHIO;

– ricorrente –

contro

CONSOB, elettivamente domiciliato in ROMA, V.MARTINI GIOVANNI

BATTISTA 3, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PROVIDENTI, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CHIARA FERRARO,

PAOLO PALMISANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 272/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 29/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/07/2019 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MASTRACCHIO Franco Maria, difensore del ricorrente

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PALMISANO Paolo, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.E., quale componente del Consiglio d’Amministrazione della Abbacus SIM, ebbe a proporre opposizione avverso il provvedimento d’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria per l’importo di Euro 12.500,00 irrogatagli dalla CONSOB in dipendenza di infrazioni alla normativa che imponeva la predisposizione di apposite procedure e misure atte a garantire la correttezza della gestione dei servizi ed attività d’investimento a tutela della clientela ed ad identificare i conflitti d’interesse potenzialmente nocivi alla stessa. Resistendo la Consob, la Corte d’Appello di Genova con il decreto impugnato ebbe ad accogliere parzialmente l’opposizione esposta dal C. – esclusione della contestazione riguardante il conflitto d’interesse – ed a, conseguentemente, ridurre ad Euro 10.000,00 la sanzione inflitta e disciplinare le spese del procedimento.

Osservava la Corte ligure come le censure mosse dal ricorrente al provvedimento opposto afferenti la contestazione di mancata adozione delle opportune procedure in tema di resa del servizio nell’interesse della clientela, sia sotto il profilo formale che sostanziale, fossero prive di pregio.

Avverso il citato decreto ha proposto ricorso per cassazione C.E. articolando sette motivi, illustrando anche le difese con memoria.

Ha resistito con controricorso la Consob, che pure ha depositato nota difensiva. All’odierna udienza pubblica sentite le conclusioni del P.G. – rigetto del ricorso – e dei difensori delle parti, la Corte ha adottato soluzione siccome illustrato nella presente sentenza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dal C. va rigettato in quanto privo di fondamento giuridico.

Con la prima ragione di doglianza il ricorrente deduce sospetto d’illegittimità costituzionale delle norme D.Lgs. n. 72 del 2015, ex art. 5, comma 15 ed art. 6, comma 8 ed art. 195 TUF per contrasto con gli artt. 76,3,111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1.

Ad opinione del ricorrente, la Corte ligure non ha rilevato come la norma portata nel decreto delegato non trovava supporto nel testo delle legge delega poichè sul piano processuale sono state introdotte innovazioni non consentite dalla mera attività di coordinamento delle disposizioni portate nella legge delega.

La censura appare articolata in due profili di sospetta illegittimità costituzionale in effetti autonomi, sicchè vanno esaminati separatamente.

In primo luogo il C. osserva come la Legge Delega n. 154 del 2014, in forza della quale risulta emanato il Decreto Delegato n. 75 del 2015 di riforma del TUF per adeguarlo alle nuove direttive emanate al riguardo in ambito U.E., non conteneva norma che consentisse la modifica della disciplina processuale dell’opposizione alle sanzioni emanate ex art. 195 TUF, bensì solamente la modifica dell’ammontare di dette sanzioni.

Dunque si configurava, in relazione alla norma di applicazione immediata – la pubblicità dell’udienza – una discrasia di rilevanza costituzionale tra legge delega e decreto delegato, questione non superata dall’osservazione della Corte ligure che la legge delega prevede espressamente la possibilità di modifiche al ” procedimento sanzionatorio ” poichè l’intervento attuato ex art. 5 di ampiezza rilevante rispetto ad una situazione di mero ” riempimento ” per dar piena attuazione alla norma delegante nella disposizione delegata.

L’argomentazione critica s’appalesa siccome irrilevante per parte e pel resto priva di fondamento.

Difatti il Collegio genovese ha messo in rilievo come la disciplina processuale D.Lgs. n. 72 del 2015, ex art. 5 non trovava applicazione nella specie, sicchè la questione di sospetta costituzionalità non appariva rilevante, mentre ha ritenuto coerente con la finalità della legge delega – attuazione delle nuove disposizioni U.E. in materia – la trasformazione dell’udienza in camera in consiglio, avanti la Corte d’Appello in sede di opposizione, nella forma di udienza pubblica.

Un tanto di fatti consegue alla precisa indicazione impartita al riguardo dalla CEDU, e per altro semplicemente muta la forma di celebrazione della già prevista udienza avanti la Corte in sede di procedimento di opposizione.

Dunque correttamente il Collegio ligure ha posto in evidenza che l’innovazione, oltre ad esser di impalpabile consistenza – l’udienza era sempre prevista ma con mere forme diverse -, soprattutto era coerente con le indicazioni Europee che la legge delega intendeva attuare.

Il C. osserva, poi, come in specifica relazione alla norma D.Lgs. n. 72 del 2015, ex art. 6, comma 8 aveva sollevato ulteriori profili di illegittimità costituzionale che però specificatamente non menziona limitandosi a richiamare la sua memoria difensiva avanti la Corte ligure.

Di conseguenza la censura sotto detto profilo pecca di aspecificità poichè questa Corte non messa in condizioni di esattamente comprenderne il contenuto ed esaminare la questione sollevata.

Con la seconda ragione di doglianza il C. deduce violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195 ed art. 7 regolamento congiunto Consob-Banca d’Italia;

violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. ed art. 111 Cost., comma 7;

omesso esame di fatto decisivo;

nullità del provvedimento impugnato per motivazione inesistente ovvero apparente per violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195 ed art. 132 c.p.c.;

nullità per omessa pronunzia su eccezione di parte ex art. 112 c.p.c. tutti vizi correlati alla statuizione del Collegio ligure circa la – ritenuta – tempestività delle contestazioni.

Nel dettaglio il ricorrente osserva come le condotte ritenute illecite erano state già assodate dagli ispettori dell’Organo di vigilanza bancaria al momento del deposito della loro relazione – che secondo le disposizioni del regolamento congiunto doveva essere rimessa quanto prima alla Consob per le determinazioni di sua competenza – sicchè entro il febbraio 2013 doveva ritenersi definito l’accertamento anche per la Consob e, non già, al momento – successivo – del ricevimento del rapporto esteso dalla Banca d’Italia ossia il 2.5.2013, siccome ritenuto dai Giudici liguri.

Inoltre, osserva il C., la Corte ligure ha ritenuto di individuare un termine iniziale del computo del termine di decadenza ancora diverso rispetto a quello – inizialmente – fissato dalla stessa Consob al ricevimento del rapporto dalla Banca d’Italia.

L’articolata censura mossa s’appalesa siccome priva di fondamento e va rigettata.

Con relazione alla dedotta nullità per omessa motivazione sul punto ovvero sua mera apparenza, basta rilevare come invece il Collegio genovese ebbe a puntualmente esaminare la questione e motivatamente disattenderla sicchè la censura elevata sul punto si rivela siccome meramente assertiva.

Con relazione alla dedotta nullità per omessa pronunzia su specifica eccezione basta rilevare come la deduzione di detto vizio non rispetti i parametri indicati da questa Suprema Corte – Cass. sez. 2 n 3845/18 – per la denunzia di siffatto vizio poichè in effetti il C. lamenta che la Corte ligure non abbia valutate le sue “deduzioni” difensive circa il ritardo nella trasmissione della relazione conclusiva dell’ispezione da parte della Banca d’Italia alla Consob e l’irrilevanza d’un tanto ai fini del computo del termine di decadenza.

Difatti nè viene puntualmente illustrata l’eccezione mossa nè indicato l’atto processuale di sua veicolazione nel procedimento, bensì sottolineato come la lamentela attiene a valutazione di dati probatori utili al riguardo.

Con relazione alla dedotta violazione delle regole di diritto, l’argomentazione critica esposta si compendia nella contrapposizione della propria tesi difensiva alla ricostruzione fattuale e giuridica, circa la ritenuta tempestività della contestazione siccome operata dalla Corte distrettuale, così elaborando in effetti una contestazione afferente la congruità della motivazione estesa dalla Corte di merito sul punto, che non s’appalesa patentemente incongrua – Cass. sez. 1 n 3124/05, Cass. sez. 2 n 19591/10 -.

Come sottolineato dal P.G., la motivazione esposta dalla Corte genovese non appare incisa dalle critiche portate dal ricorrente, poichè ragionevole circa l’individuazione del momento in cui ebbe a concretizzarsi l’accertamento nel caso specifico, siccome adeguatamente motivato da parte del Giudice di merito.

Difatti i Giudici liguri hanno puntualmente sottolineato come la Consob ebbe a disposizione la relazione degli ispettori solo il 3.5.2013 – termine rispetto al quale comunque la contestazione del 17.10.2013 risulta tempestiva – sicchè il termine non poteva fattualmente decorrere da tale momento, posto il chiaro insegnamento sul punto di questa Suprema Corte citato dalla Corte territoriale. Inoltre la Corte distrettuale non già ha fissato preciso momento dell’accertamento – così scostandosi dalla stessa posizione della Consob sul punto – bensì s’è limitata a ritenere congruo il tempo scorso tra l’acquisizione della contezza dei fatti illeciti e la contestazione.

Dunque il Collegio ligure non solo ha esaminata partitamente la questione ma ha pure supportato la sua conclusione con adeguata motivazione ancorata a precisi dati di fatto.

Quanto al denunziato omesso esame di fatti rilevanti – ricezione del verbale ispettivo e parere sulla liquidazione coatta della SIM – in effetti la questione si compendia in una ricostruzione secondo la tesi difensiva di elementi fattuali posto che, come dianzi ricordato, il 2 maggio 2013 la Consob ricevette il verbale ispettivo redatto dall’Organo di Vigilanza bancaria sicchè appare ragionevole che fu necessario ulteriore spazio temporale per l’esame dello stesso e per formulare le conseguenti valutazioni circa il ricorrere di illeciti rientranti nella sfera di sua competenza.

Inoltre è la stessa parte ricorrente, non già, ad affermare che la Consob il 3.5.2013 ebbe a formulare parere circa la richiesta di messa in liquidazione della SIM Abbacus in dipendenza delle irregolarità riscontrate, bensì che “era già in grado di dare il suo parere” ovvero formula una mera valutazione di parte e non già espone un fatto storico, siccome chiesto dalla norma invocata a sostegno del vizio denunziato.

Con il terzo mezzo d’impugnazione il C. lamenta violazione del disposto ex art. 195 TUF, L. n. 262 del 2005, art. 24 e L. 23 marzo 1865, all. E, art. 5 nonchè violazione di norme costituzionali, nullità del decreto impugnato per violazione del disposto ex art. 112 c.p.c., poichè la Corte distrettuale ha ritenuto irrilevante che il procedimento in sede amministrativa non era rispettoso della disciplina del contraddittorio, siccome che non fu rispettato il principio della separazione tra soggetto accertatore ed decidente la sanzione, così violando le norme sopra richiamate.

In particolare il C. segnala non tanto una lesione dei principi convenzionali, bensì della norma ex art. 195, comma 2 TUF, siccome modificata dalla L. n. 262 del 2005, che impone il rispetto del contraddittorio nel procedimento in sede amministrativa nonchè la distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie. Dunque erroneamente la Corte ligure ha ritenuto che la sola irregolarità palesata dal procedimento in sede amministrativa dalla stessa esaminata – separazione tra funzione inquirente e decidente mentre ha omesso ogni esame della questione afferente la violazione del contraddittorio – non incide sul provvedimento sanzionatorio poichè la possibilità di un pieno contraddittorio, anche sul merito della questione, avanti il Giudice comporta l’irrilevanza della questione posta.

Il ricorrente parte dal presupposto della violazione del giusto procedimento, richiamando le sentenze del Consiglio di Stato che hanno affermato come il procedimento sanzionatorio della Consob violasse il principio del contraddittorio, il principio di conoscenza degli atti istruttori, il principio della distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie di cui sopra e la giurisprudenza della Corte Edu, che a sua volta ha ritenuto non equo il suddetto procedimento sanzionatorio in particolare nel caso noto come Grande Stevens ricorso numero 18640 del 2010. La Consob, peraltro, recentemente ha modificato il proprio procedimento sanzionatorio in termini maggiormente garantisti a tutela dei soggetti interessati prevedendo la preventiva comunicazione della proposta per l’organo deliberante in merito alla sussistenza e gravità delle violazioni contestate, nonchè la possibilità per gli interessati di presentare memorie difensive scritte sulla proposta del competente ufficio sanzioni amministrative, direttamente all’Organo decidente permettendo così l’interlocuzione diretta con tale Organo.

Inoltre, l’illegittimità del procedimento sanzionatorio non può essere sanata dal successivo procedimento giudiziario che, seppur formalmente rispettoso dei principi del giusto processo, sarebbe comunque influenzato dagli esiti di un procedimento amministrativo viziato. In ogni caso nel nostro ordinamento l’articolo sei della convenzione imporrebbe che il procedimento amministrativo sanzionatorio rispettasse i principi del giusto procedimento a prescindere dalla successiva eventuale fase giudiziale. Ciò ai sensi dell’art. 195 TUF, comma 2, ed ai sensi della L. n. 262 del 2005, art. 24, comma 1.

Prima di procedere allo scrutinio del motivo, conviene sottolineare che esso non si fonda sul disposto dell’art. 6 CEDU (non lamenta, cioè, uno scostamento della disciplina legale del procedimento sanzionatorio della Consob, dettata dagli artt. 195 T.U.F. e L. n. 262 del 2005, art. 24 dai principi convenzionali cui il legislatore nazionale deve adeguarsi ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 1), ma si muove interamente nell’orizzonte dell’ordinamento interno, denunciando lo scostamento del procedimento sanzionatorio della Consob – quale risultante dalla disciplina regolamentare anteriore alle modifiche introdotte con la Delib. stessa Consob 29 maggio 2015 – dai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori e della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie fissati dalla disciplina legale dettata dai menzionati art. 195 T.U.F. e L. n. 262 del 2005, art. 24.

In effetti poi la Corte ligure non già ha omesso – come denunziato – di esaminare entrambi i profili della questione posta dal C. bensì li ha esaminati in modo unitario sotto il profilo che le irregolarità palesate eventualmente dal procedimento amministrativo non hanno rilievo qualora il soggetto sanzionato abbia – come nella specie – la piena facoltà di adire, anche per quanto concerne il merito delle contestazioni, Giudice terzo ed imparziale, all’uopo puntualmente richiamando insegnamento della CEDU.

Ciò premesso, la doglianza relativa alla violazione dei principi del contraddittorio nel procedimento interno all’Organo di Vigilanza va disattesa per un duplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, il Collegio rileva come detta doglianza non viene accompagnata dall’indicazione di alcun specifico pregiudizio che dalla suddetta violazione sarebbe derivato al diritto di difesa del ricorrente, salvo il generico riferimento alla possibilità di focalizzare l’attenzione dell’Organo deputato ad irrogare la sanzione sulle sue tesi difensive.

In proposito deve osservarsi che il C. ha potuto svolgere le sue difese sui punti dianzi richiamati dinanzi al giudice dell’opposizione, nel rispetto pieno di tutte le regole del contraddittorio, di parità delle parti e terzietà del giudice, e dunque in concreto non si è determinata alcuna violazione del suo diritto di difesa – Cass. sez. 2 n 8046/19 -.

Pertanto, va qui ribadito il principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 20935/09, che la doglianza relativa alla violazione del diritto al contraddittorio presuppone la deduzione di una lesione concreta ed effettiva del diritto di difesa, specificamente conculcato o compresso nel procedimento sanzionatorio. Detto principio, più volte ripetuto nella giurisprudenza di legittimità (ex multis, per l’applicazione delle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia, sent. n. 27038/13 e, per l’applicazione delle sanzioni irrogate dalla CONSOB, sent. n. 24048/15), merita conferma e seguito, giacchè, come sottolineato in Cass. 8210/16, esso si colloca nella medesima prospettiva ermeneutica suggerita dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 24823/15, ove, in tema di contraddittorio nel procedimento tributario (in materia di tributi “armonizzati”), si è affermato che “la violazione del diritto al contraddittorio comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere”. Tale affermazione privilegia una lettura sostanzialistica (della tutela del) del diritto al contraddittorio, che richiama il pragmatico canone giuspubblicistico della strumentalità delle forme e risulta in piena sintonia con il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con gli approdi della giurisprudenza elaborata dalla Corte di giustizia sull’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali (cfr. CGUE sentt. 3.7.2014, Kamino International Logistics, ove si afferma che la violazione dei diritti di difesa, in particolare del diritto ad essere sentiti prima dell’adozione di provvedimento lesivo, determina l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, detto procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso”; nello stesso senso, si veda anche la sentenza 26.9.2013, Texdata Software).

Deve, pertanto darsi continuità all’orientamento secondo cui, in tema di vigilanza sul mercato dei titoli mobiliari, il procedimento di irrogazione di sanzioni amministrative, postula solo che, prima dell’adozione della sanzione, sia effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell’interessato; pertanto, non è violato il principio del contraddittorio nel caso di omessa trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio addetto all’istruttoria o di sua mancata audizione innanzi alla Commissione, non trovando d’altronde applicazione, in tale fase, i principi del diritto di difesa e del giusto processo, riferibili solo al procedimento giurisdizionale (cfr. Cass. 4.9.2014, n. 18683; Cass. 22.4.2016, n. 8210).

In tal senso si veda anche Cass. n. 1205/2017 che, in risposta alla deduzione secondo cui l’articolazione del procedimento sanzionatorio dinanzi alla CONSOB soffrirebbe una ingiustificabile cessazione dell’interlocuzione consentita all’interessato proprio alle soglie della fase decisionale, quando l’interesse allo svolgimento delle proprie ragioni è massimo, non essendogli data la possibilità di formulare deduzioni sulla proposta dell’Ufficio Vigilanza Intermediari (che non gli viene trasmessa), nè tantomeno essendo ammesso ad una qualsivoglia forma di contraddittorio dinanzi alla Commissione, nel richiamare i principi già a suo tempo esposti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 20935 del 2009, in tema di rispetto del principio del contraddittorio, ha ritenuto che gli stessi vadano mantenuti fermi, nonostante le indicazioni offerte dalla Corte EDU con la sentenza 4 marzo 2014 Grande Stevens c. Italia.

Infatti, depone a favore di tale soluzione la circostanza che nella medesima sentenza, sulla scorta della pregressa giurisprudenza della stessa Corte EDU, si è precisato che le carenze di tutela del contraddittorio che caratterizzino un procedimento amministrativo sanzionatorio non consentono di ritenere violato l’art. 6 della Convenzione EDU quando il provvedimento sanzionatorio sia impugnabile davanti ad un giudice indipendente ed imparziale, che sia dotato di giurisdizione piena e che conosca dell’opposizione in un procedimento che garantisca il pieno dispiegamento del contraddittorio delle parti (punti 138 e 139).

In secondo luogo, nel presente giudizio non possono assumere rilievo le affermazioni svolte nelle pronunce del Consiglio di Stato (in particolare quella n. 1596/15) in ordine alla illegittimità del procedimento sanzionatorio proprio della CONSOB (v., ancora, il citato precedente di questa Corte n. 8210 del 2016), tanto più che dette valutazioni non si sono tradotte in alcuna statuizione di annullamento del regolamento contenente la previgente disciplina del procedimento sanzionatorio CONSOB, giacchè il decisum della sentenza del Consiglio di Stato n. 1596/15 si risolve in una declaratoria di inammissibilità del ricorso delle parti private per carenza di interesse.

Inoltre non possono esser condivise le valutazioni espresse dai Giudici amministrativi a sostegno della loro statuizione circa l’individuazione del corretto concetto di garanzia del contraddittorio alla base della decisione dianzi evocata. Difatti l’equiparazione della garanzia del contraddittorio da osservare nell’ambito del procedimento amministrativo con quella propria del processo penale non appare riposare sul dato testuale della norma di legge a disciplina della questione.

Invero il dettato legislativo si limita a disporre l’osservanza del contraddittorio senza anche caratterizzarla in modo peculiare, sicchè postulare siccome prescritta una specifica tipologia – quella processual-penalistica – appare conclusione non fondata sulla lettera della legge.

Per tale ragione la garanzia difensiva è data dalla possibilità di ricorso al Giudice con cognizione piena circa il merito della condotta illecita, poichè in tale ambito potrà dispiegarsi appieno il contraddittorio di tipo orizzontale di fronte a soggetto terzo ed indipendente, sicchè tale possibilità consente di ritenere non rilevante il grado di garanzia del contraddittorio presente nel procedimento amministrativo teso all’irrogazione della sanzione, anche ala luce della giurisprudenza della CEDU.

Infine non va omesso di rilevare che in presenza di garanzia al contraddittorio pari a quella del procedimento penale nell’ambito del procedimento amministrativo rimarrebbe svilita la fase processuale avanti il Giudice, che si ridurrebbe a mera esame della legittimità del procedimento anzichè alla piena cognizione anche del merito della questione.

Conseguentemente non appare censurabile la scelta della Consob di connotare la garanzia del contraddittorio in ambito del procedimento amministrativo secondo parametri meno pregnanti rispetto a quello in sede di procedimento penale contrariamente a quanto reputato dal Giudice amministrativo.

Nemmeno assume rilievo in tale ottica l’intervenuta modifica del Regolamento interno circa le nuove modalità di espletamento delle facoltà difensive nell’ambito del procedimento amministrativo.

Difatti trattasi di elemento anodino in relazione al vizio denunziato, siccome argomentato dianzi in punto irrilevanza delle modalità di dispiegamento delle facoltà difensiva in ambito procedimentale, in presenza della possibilità di sottoporre al Giudice con effetto integralmente devolutivo la questione.

Le argomentazioni dianzi illustrate superano anche il denunziato vizio sotto il profilo della mancata separazione tra il soggetto accertatore e quello decidente la sanzione posto che – come rettamente sottolineato dalla Corte di Genova – la questione rimane superata dalla possibilità di piena difesa avanti il Giudice.

Con il quarto mezzo d’impugnazione il C. lamenta cumulativamente: vizio, ex art. 360 c.p.c., n. 3 di violazione delle norme ex artt. 6,8,21,190 e 195 TUF, delle norme ex artt. 15 e 16 Reg. cong. Consob-Banca d’Italia ed artt. 39 e 40 Reg. Intermediari, delle regole L. n. 689 del 1981, ex artt. 1, 3, 14 e 22 norme L. n. 241 del 1990, ex art. 3 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6 disposizione ex art. 2697 c.c. e dei principi sull’onere della prova;

nullità per motivazione inesistente od apparente;

omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente lamenta che il Collegio ligure ha ritenuto non generiche le contestazioni elevate, nonchè le stesse dimostrate dagli elementi acquisiti in atti, contrariamente a quanto da esso sostenuto e rilevabile dal coretto esame degli atti di causa.

In particolare il C. rileva come la Corte distrettuale abbia dato alla norma D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 21 una lettura formale in materia espressamente dalla legge lasciata all’autonomia organizzativa dell’intermediario, nonchè fatta propria la valutazione formulata dal funzionario addetto all’ispezione circa la non congruità delle procedure effettivamente adottate in materia dall’azienda, siccome richiesto dalla regolamentazione Consob, senza nemmeno esprimere un’autonoma valutazione al riguardo.

Inoltre la Corte ligure ha, bensì, riportato arresto di legittimità riguardante la materia trattata, ma ha omesso di esaminare il caso concreto alla luce di detto insegnamento posto che non ha spiegato – vizio di motivazione assente – la ragione per la quale l’adozione delle procedure e strutture aziendali conseguenti alle disposizioni regolamentari – pacificamente materia riservata alla discrezionalità dell’imprenditore – non erano da ritenersi adeguate ai fini perseguiti dalla richiamata normativa secondaria – Cass. sez. 5 n 7062/14 -.

Poi il ricorrente rileva come la Corte abbia ritenuto provati fatti in difetto concreto di prova e così applicato il canone afferente la presunzione di colpa onerandolo della prova liberatoria al riguardo.

Infine il C. osserva come per circa due lustri la società, circa le procedure oggetto della sanzione, ebbe ad inviare alla Consob apposita relazione senza mai ricevere osservazioni critiche e come i suggerimenti formulati dall’Unione Fiduciaria erano stati immediatamente seguiti con adozione di appositi provvedimenti di emenda, sicchè le criticità – poi sanzionate – erano state già eliminate autonomamente dalla SIM.

La censura, dianzi riassunta, s’appalesa siccome inammissibile poichè attinge l’apprezzamento degli elementi fattuali acquisiti in atti richiedendo a questa Corte di legittimità un non consentito apprezzamento circa il merito della questione ovvero mediante la stessa si indicano in modo generico vizi di legittimità senza un effettivo confronto con la motivazione esposta dalla Corte distrettuale.

Viceversa la Corte ligure nel decreto impugnato analizza puntualmente la questione mettendo in evidenza le condotte, tutte attinenti all’organizzazione aziendale della società intermediaria di spettanza degli Amministratori in relazione alla predisposizione di norme e procedure di controllo interno per efficiente svolgimento dei servizi ed attività, nonchè adozione delle procedute atte a garantire trasparenza e correttezza nella gestione dei servizi resi alla clientela.

Puntualmente il Collegio genovese al riguardo ha richiamato arresto di questa Suprema Corte per metter in rilievo come le regole portate nell’art. 21 TUF risultano strutturate in maniera tale da non prefigurare uno specifico modello organizzativo, da ritenersi corretto, bensì siano formulate per indicare all’intermediario, che poi dovrà agire nell’ambito della sua autonomia organizzativa, le finalità da perseguire nell’interesse ed a garanzia della clientela. Dunque le plurime censure elevate in effetti appaiono tese ad ottenere da questa Corte di legittimità nuova valutazione della questione nel merito nonostante il Collegio ligure abbia già sottolineato come non risulti disciplinato una struttura aziendale ritenuta corretta in base alla disciplina regolamentare, bensì come deve risultare tutelato lo scopo perseguito dal legislatore, riguardo al quale la Corte ha puntualmente motivato anche se con argomentazione non gradita dalla difesa.

In effetti il C. non si confronta specificatamente con l’analisi fattuale operata dal Collegio ligure afferente alle specifiche irregolarità rilevate dagli ispettori – assenza di adeguato profilo rischio della clientela, assenza di criteri generali per compilazione modulo MIFID, incoerenza tra obiettivo dichiarato dal cliente e perseguito effettivamente dal Gestore del risparmio assenza di regolamento del Comitato di gestione – limitandosi a contestazione astratta fondata su opinione contraria alla ricostruzione giuridico fattuale elaborata dal Giudice del merito.

Non concorrono in effetti le violazioni di legge denunziate, nè la nullità afferente la carenza di motivazione nè l’omesso esame di fatto rilevante, nemmeno invero specificatamente indicato, posto che l’articolata argomentazione difensiva appare in concreto diretta a contestare la motivazione esposta dalla Corte di merito sul punto con argomenti – quali la condotta Consob e l’adeguamento ai rilievi – che impingono squisitamente nel merito della valutazione delle condotte illecite.

Con la quinta doglianza il C. rileva plurime violazioni di regole giuridiche ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3:

violazione delle norme ex art. 21 TUF, degli artt. 15 e 16 del Regolamento congiunto, L. n. 689 del 1981, art. 3 dell’art. 2381 c.c., dei principi in ordine all’onere della prova, nonchè degli artt. 115 e 116 codice di rito;

nullità del provvedimento impugnato per motivazione inesistente od apparente; omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, n. 5 codice di rito.

Il ricorrente rileva come la Corte territoriale abbia ritenuto concorrere l’elemento soggettivo, rimasto non provato poichè gli illeciti fondati solamente su giudizi assiologici formulati dagl’ispettori, applicando il canone afferente la presunzione di colpa onerandolo della prova liberatoria al riguardo.

Difatti la presunzione di colpa presuppone che la condotta illecita – ossia la difformità rispetto alla norma – sia rimasta oggettivamente provata mentre nella specie – rimettendo l’art. 21 all’autonomia dell’imprenditore la strutturazione delle procedure interne di controllo atte ad evitare situazioni potenzialmente pericolose per gli interessi della clientela – gli illeciti contestati risposavano sulla mera opinione e valutazione soggettiva elaborata dagli ispettori.

Inoltre esso ricorrente aveva versato in atti elementi precisi lumeggianti la sua buona fede – come dell’intero Consiglio – e l’assenza di colpa, ossia l’immediata attivazione per l’adozione di misure tese ad emendare le criticità individuate dall’Unione Fiduciaria e che per anni sia la Consob che l’Unione fiduciaria non avessero segnalato criticità nella struttura organizzativa della SIM.

Infine erroneamente la Corte territoriale aveva apprezzato il cenno alla mancata adozione di sanzione anche a carico dell’Unione Fiduciaria, soggetto delegato appunto per il controllo dell’adeguatezza della struttura aziendale rispetto alle direttive Consob in tema di correttezza, trasparenza ed efficienza dei servizi resi, che non ineriva a prospettare situazione d’eccesso di potere, bensì l’assenza di colpa in capo ai membri del Consiglio d’Amministrazione.

La censura s’appalesa siccome inammissibile poichè richiede a questa Corte, attraverso l’utilizzo delle ipotesi tipiche disciplinate ex art. 360 c.p.c., comma 1, in effetti una nuova valutazione circa il merito della questione non consentito al Giudice di legittimità.

Il denunziato profilo afferente l’omessa prova della concorrenza in capo suo dell’elemento soggettivo poichè, trattandosi di illecito fondato sulla valutazione di inadeguatezza delle procedure aziendali di controllo e, non già, di oggettivo scostamento da condotta prescritta da norma giuridica, non vige la presunzione di colpa, lo stesso appare strettamente e funzionalmente correlato alla critica della motivazione esposta al riguardo dalla Corte.

Il ragionamento critico si fonda eminentemente sull’asserto che, nella specie, non vige la presunzione di colpa, invece ordinariamente a fondamento del sistema delle sanzioni amministrative – Cass. sez. 2 n 9546/18, Cass. sez. 1 n 4114/16, Cass. SU n 20930/09Cass. SU n 10508/1995 -, asserto dunque contrario alla lettera della L. n. 689 del 1981, art. 3 ed al costante insegnamento di questa Corte.

Non supera detto insegnamento la mera qualificazione difensiva che le condotte illecite contestate siano sostanziate da un giudizio assiologico circa l’inadeguatezza della struttura aziendale al fine di perseguire le finalità previste dalla normativa di riferimento, posto che come già ricordato, detta valutazione si fonda sulle finalità perseguite dalla disciplina regolamentare, che funge da parametro oggettivo alla qualificazione della situazione siccome illecita.

Quanto poi all’evidenziazione della mancata sanzione dell’Ente, cui era affidato la vigilanza circa il rispetto delle direttive portate nel regolamento Consob, rettamente il Collegio ligure ne evidenzia l’irrilevanza poichè l’eventuale scarsa diligenza del controllore non esimeva il Consiglio d’Amministrazione dal rilevare, ex se, le deficienze poste in risalto dall’ispezione, oggettivamente rilevabili stante la loro inerenza alla stessa funzionalità e compiti propri dell’Organo di amministrazione.

Quindi anche detto profilo di censura si compendia nella contrapposizione di propria lettura e valutazione della questione alla ricostruzione fattuale e giuridica formulata dalla Corte ligure.

Con il sesto articolato mezzo d’impugnazione il C., con riguardo alle singole statuizioni sul merito delle contestazioni mossegli, lamenta cumulativamente vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3:

violazione norma ex artt. 21,190 e 195 TUF, dell’art. 15 del Regolamento congiunto ed artt. 39, 40, 45 e segg. regolamento Intermediari violazione artt. 115 e 116 c.p.c., L. n. 241 del 1990, art. 3 ed L. n. 689 del 1981, artt. 1,3 e 14 nonchè i principi che regolano l’onere della prova;

omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

nullità per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 195, comma 7 TUF, art. 111 Cost. ed artt. 132 e 135 c.p.c., violazione dell’art. 2381 c.c.

La censura s’appalesa siccome inammissibile poichè, attraverso l’utilizzo delle ipotesi tipiche disciplinate ex art. 360 c.p.c., comma 1, in effetti ripropone le medesime argomentazioni difensive già sviluppata avanti la Corte di Genova – e dalla stessa disattese – così chiedendo a questa Corte di legittimità una non consentita nuova valutazione circa il merito della questione.

Difatti il Collegio genovese ha puntualmente preso in esame le varie condotte ricomprese nelle due contestazioni principali – ritenute provate – mosse e motivatamente respinte le obiezioni avanzate dal C. con puntuale motivazione in relazione ad ogni contestazione, sicchè il denunziato vizio di omesso esame ovvero di motivazione inesistente ovvero apparente s’appalesa quale mera valutazione di parte del compendio probatorio da ritenere preferibile a quella operata dalla Corte territoriale.

In particolare con relazione alle condotte rientranti nella prima contestazione il C. lamenta come la Corte territoriale abbia ritenuto irrilevanti le sue affermazioni difensive circa il rispetto del Manuale delle Procedure, l’assenza di rilievi da parte degli Enti di vigilanza sulla compliance, la mancata valutazione della pronta azione di emenda, nonchè circa il livello di informalità dell’agire del Comitato di gestione, l’inoltro alla clientela dei rendiconti in modalità diversa dalla spedizione mediante servizio postale e le altre condotte ritenute non in linea con le indicazioni regolamentari.

In linea generale su ognuna delle condotte contestate e puntualmente esaminate la Corte ligure ha bensì concluso per la non decisività delle argomentazioni critiche svolte dal C., ma con apposita motivazione relativamente alla quale il ricorrente non si confronta specificatamente, limitandosi a riproporre le sua argomentazioni e sostenendo che la Corte ligure ha errato.

Viceversa i Giudici genovesi hanno messo in rilievo come il Manuale delle Procedure, approvato dal Consiglio d’Amministrazione, era lacunoso poichè regolamentava solo alcuni aspetti dell’azione del Comitato di Gestione; come l’emenda delle irregolarità avvenne dopo che erano state rilevate dagli ispettori anche se prima dell’invio della lettera di contestazione, sicchè i fatti illeciti sussistevano; come l’eventuale inerzia egli Organi di controllo – ma non a ciò deputati – non incideva sulla mancanza posta in esser dagli Organi sociali effettivi destinatari delle prescrizioni di legge e regolamento, proprio per il rispetto dovuto all’autonomia imprenditoriale.

La Corte di merito, ancora, sottolinea come la stessa condotta di emenda messa in esser dalla SIM, solo dopo che ispezione aveva riscontrato le irregolarità, palesa come sussisteva situazione di illiceità e di certo tale motivata valutazione non appare superabile sulla mera scorta di quella contraria espressa dal ricorrente. Parimenti i Giudici del merito ebbero ad evidenziare come la disposizione delle condizioni generali in tema di “invio” al cliente dell’estratto conto periodico fossero coerenti con la disposizione di legge e logicamente implicasse un mezzo di inoltro diverso dalla mera consegna a mano al cliente.

Tale conclusione non viene incisa dall’opinione difensiva che il termine “invio” non escludesse la consegna brevi manu poichè la stessa si pone siccome mera elaborazione di tesi alternativa rispetto alla motivata conclusione del Giudice.

Parimenti, in relazione alla critica particolare elevata al riguardo delle altre singole condotte ritenute siccome illecite nell’ambito della prima contestazione ed afferenti ai controlli interni su persone e procedure, l’impugnante contrappone alle motivate statuizioni elaborate dalla Corte ligure la propria ricostruzione giuridico-fattuale sempre improntata sull’asserita assenza di norma che imponeva un determinato comportamento ovvero sul mancato significato della pronta attivazione per l’emenda od ancora sull’incapacità della Consob di indicare la condotta da tenere poichè ritenuta corretta.

Viceversa i Giudici liguri nel loro ampio e complessivo argomentare al riguardo hanno puntualmente messo in rilievo le norme regolamentari, adottate ex art. 21 TUF, non osservate quanto – come dianzi detto – allo scopo perseguito, e confutato le obiezioni – omologhe a quelle in questa sede elevate – mosse dal C., sicchè la censura esaminata si riduce alla richiesta a questa Corte di legittimità di una valutazione circa il merito della tesi difensiva sostenuta.

Quanto infine alla seconda contestazione, il ricorrente rileva come, con relazione al profilo di rischio ed alla coerenza degli investimenti fatti con gli obiettivi dichiarati dal cliente, il Collegio genovese ha puntualmente messo in evidenza e le norme che imponevano dette adempimenti e l’assenza di apposito intervento del Consiglio d’amministrazione al riguardo e come il parametro di valutazione in materia fosse lo scopo perseguito dalla norma legislativa concretizzato dalle norme regolamentari, sicchè le contestazioni – ancora in questa sede di legittimità mosse – si riducono alla contrapposizione di tesi giuridico fattuale alternativa a quella elaborata dal Giudice di merito.

Con la settima ragione di doglianza il ricorrente lamenta violazione della disposizione ex artt. 190 e 195 TUFL. n. 262 del 2005, art. 24,L. n. 689 del 1981, artt. 11 e 14 omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nullità del decreto per motivazione inesistente ovvero apparente.

Il ricorrente lamenta che il Collegio genovese abbia confermato la sanzione inflitta sia per l’originario addebito – in lettera di contestazione – fondato sull’appartenenza al Consiglio d’Amministrazione sia per l’addebito aggiunto nel provvedimento sanzionatorio fondato anche sull’appartenenza al Comitato di Gestione, per altro in periodi parzialmente diversi.

Inoltre il Collegio ligure non s’è confrontato con la sua richiesta di riduzione ed allineamento alle sanzioni inflitte ad altri membri de Consiglio d’amministrazione della pena a lui applicata.

In particolare il C. rileva come ad altri Consiglieri – per altro senza delega – erano state infitte sanzioni in misura inferiore rispetto alla sua; come la posizione apicale ex se non giustifica la diversità di trattamento sanzionatorio e come il cenno al fatto che la sanzione era prossima al minimo edittale non rappresenta la richiesta valida motivazione sul punto.

La censura s’appalesa per parte inammissibile e per parte infondata.

Difatti non vien contestato che una sanzione risulta tassata nel minimo edittale sicchè in effetti la Corte territoriale non poteva ridurla ulteriormente, mentre concorre motivazione circa la questione afferente l’ammontare della sanzione per l’altro illecito contestato.

Difatti il Collegio ligure ha ritenuto di non esercitare la propria facoltà moderatrice poichè ha sottolineato come la sanzione in questione già fosse stata quantificata in misura prossima al minimo edittale, sicchè implicitamente l’ha ritenuta congrua anche tenuto conto del richiamo alla quantificazione delle sanzioni agli altri membri del Consiglio d’Amministrazione, che come precisato dallo stesso C., versavano in situazione fattuale diversa rispetto alla sua. Con relazione infine al dedotto vizio ricollegabile alla mutazione della contestazione il ricorrente si limita ad apodittica affermazione circa la novità nella formulazione dei fatti d’incolpazione tra la lettera di contestazione ed il provvedimento che irroga la sanzione senza anche precisare come e quando tale questione venne sottoposta all’attenzione del Collegio ligure, con conseguente inammissibilità della censura per sua novità in questa sede di legittimità.

Al rigetto del ricorso proposto dal C. segue la sua condanna alla rifusione verso la CONSOB delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario secondo tariffa forense come precisato in dispositivo.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni per il pagamento dell’ulteriore contributo unificato.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla CONSOB resistente le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00 oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2020

 

 

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